Sit-in del sindacato sotto il Consiglio Regionale... 
"Ho letto anche io che Antonella (Elia) ha dato a Monica Setta della sleale ma credo che la sua reazione sia stata emotiva. In realtà Monica è stata sempre leale con noi e a me ha parlato con affetto di Antonella spingendomi più volte a tornare con lei". Così Pietro delle Piane, nella puntata 'Storie al Bivio' in onda il prossimo sabato 13 dicembre, risponde alle polemiche nate dopo una battuta della showgirl sulla presunta lealtà della conduttrice.
La rottura fra Delle Piane e Antonella Elia
A novembre 2025 la coppia, che pareva prossima al matrimonio (previsto per il 31 dicembre a Cortina), ha annunciato una pausa. Nella puntata del 22 novembre di 'Storie al bivio', Delle Piane ha dichiarato che Antonella lo aveva lasciato “senza spiegazioni”[1].
Secondo lui, non si è trattato di grandi tradimenti o drammi, ma semplicemente di “piccoli litigi” accumulatisi negli anni.
La versione di Antonella Elia
Qualche giorno dopo, ospite a 'La Volta Buona', Antonella Elia ha smentito la versione di Delle Piane, definendola "una barzelletta"[2]. Secondo lei, la decisione di non sposarsi sarebbe maturata per una serie di divergenze di carattere e valori, non per un abbandono “senza spiegazioni”.
La frecciata a Monica Setta
Mentre la questione della separazione turbinava sui social e in tv, Antonella Elia ha lanciato una frecciatina nei confronti di Monica Setta con un commento molto polemico: "Monica una “grande amica”…ma sulla cui lealtà…ci sarebbe molto da dire!!!", ha scritto la showgirl, ricevendo decine di domande da parte degli utenti che le hanno chiesto invano ulteriori dettagli su un'affermazione così pungente.
Con la piantumazione di 300 nuovi alberi nella Riserva Naturale di Nazzano Tevere Farfa, Nestlé Professional, attraverso il brand Nescafé, chiude il progetto triennale PiantiAmo il Futuro, avviato nel 2023 per promuovere un modello più responsabile di utilizzo delle attrezzature e di gestione delle risorse nel canale fuori casa.
L’iniziativa nasceva con l’obiettivo di piantare 500 alberi in cinque anni: un traguardo che è stato non solo raggiunto, ma anche superato, con 600 alberi messi a dimora in soli tre anni, grazie alla collaborazione con le strutture alberghiere partner che hanno scelto di rimettere in uso macchine da caffè revisionate in luogo di nuove installazioni.
Nel corso del progetto, PiantiAmo il Futuro ha portato valore in contesti italiani molto diversi tra loro: a Milano (2023), 100 alberi nell’area Balossa del Parco Nord, in una zona metropolitana ad alta fruizione; a Ferrara (2024), 200 alberi lungo la Nuova Darsena e in alcune aree verdi cittadine, grazie al coinvolgimento dei partner dell’ospitalità; a Nazzano Tevere Farfa (2025), 300 alberi tra lecci, pioppi bianchi e salici, per contribuire al recupero delle aree colpite dalla tempesta del 2025, in collaborazione con la Riserva e con Federparchi. Un percorso che ha coinvolto territori urbani, periurbani e naturali, valorizzando esigenze e caratteristiche locali differenti e lavorando a fianco delle amministrazioni pubbliche e delle realtà del territorio.
“Con PiantiAmo il Futuro abbiamo voluto trasformare un gesto tecnico, la revisione delle macchine del caffè, in un contributo concreto ai territori - dichiara Paolo Pisano, Marketing Manager Nestlé Professional Bevande - La filiera del caffè ci impegna ogni giorno, dai Paesi d’origine ai luoghi del consumo. Questo progetto riflette i principi del Nescafé Plan 2030: attenzione alla rigenerazione, supporto ai coltivatori, riduzione dell’impatto lungo tutta la catena del valore. Chiudere con 600 alberi significa aver costruito insieme ai partner un percorso importante, che lascia un segno positivo”.
“La collaborazione con le imprese è essenziale per rafforzare la capacità delle aree protette di reagire ai cambiamenti climatici - afferma Luca Santini, presidente di Federparchi - L’intervento nella Riserva di Nazzano Tevere Farfa è un contributo prezioso al recupero delle aree danneggiate dalla tempesta del 2025 e un esempio di responsabilità condivisa”.

Studiare come il ciclo profondo dello zolfo, ovvero i suoi movimenti e trasformazioni sotto la superficie terrestre, abbia plasmato l’evoluzione del pianeta, dalla formazione del nucleo alla generazione di composti necessari allo sviluppo di forme di vita.
E come questo elemento chimico possa favorire o limitare la potenziale abitabilità in tutto il Sistema Solare. È l’obiettivo del progetto di ricerca “S-Cape” (“The Earth’s Deep Sulphur Cycle from Planetary Accretion to Present”, tradotto: “Il ciclo profondo dello zolfo della Terra dall’accrescimento del pianeta fino a oggi”), coordinato da Valerio Cerantola, professore di Mineralogia al dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca, che è stato premiato dall’Unione Europea con un ERC da 3 milioni di euro, della durata di cinque anni, nella categoria Consolidator Grant. Lo si legge in una nota.
Gli Erc Consolidator Grant vengono assegnati dall’European Research Council a quei ricercatori che vantano una decina di anni di esperienza di riconosciuto valore alle spalle e che siano promotori di un progetto di ricerca ritenuto eccellente e particolarmente innovativo. Valerio Cerantola coinvolgerà un’equipe di una decina di persone, compresi tre dottorandi e tre post-doc che verranno assunti grazie al finanziamento.
Al centro del progetto “S-Cape”, lo zolfo. "Viene spesso erroneamente considerato come un costituente minore all’interno della Terra – svela il professore – nonostante sia certamente tra i primi otto elementi più abbondanti sul nostro pianeta, forse addirittura il quinto. Se grandi quantità di questo elemento sono rimaste nel nucleo terrestre quando il pianeta si è differenziato, creando i suoi strati concentrici, una frazione significativa risiede ancora oggi nella crosta e nel mantello influenzando processi geologici, geochimici e biologici del pianeta, dalle reazioni di ossidoriduzione al ciclo dei volatili fino all’evoluzione geodinamica della Terra".
S-Cape mira ad approfondire questi aspetti «studiando sperimentalmente e teoricamente la trasformazione dei composti contenenti zolfo – spiega Cerantola – a partire dalle condizioni che si verificano durante l'accrescimento terrestre, caratterizzate da impatti di pianeti e di meteoriti, a quelle degli attuali contesti geodinamici, inclusi la subduzione e gli ambienti del mantello moderno. Primo obiettivo: capire come lo zolfo sia arrivato sulla Terra, simulando diversi tipi di impatti meteoritici o di collisioni di pianeti, per capire il loro effetto sui composti di zolfo, come i solfuri, i solfati o i solfiti.
"Utilizzeremo la tecnica di compressione dinamica – precisa il professore – con laser ad alta energia che simula le onde d’urto (shock waves) causate da questi eventi risalenti agli albori del Sistema Solare. Questi esperimenti vengono svolti in grandi sorgenti a raggi X che permettono di analizzare la struttura atomica ed elettronica di questi composti nel momento in cui succede l’impatto". Secondo: capire come lo zolfo possa avere influenzato la geochimica all’inizio della formazione planetaria, provocando reazioni chimiche che hanno generato i minerali odierni. "Utilizzeremo la tecnica di compressione statica attraverso la cella a incudine di diamante che comprime i campioni simulando le pressioni dei diversi strati del pianeta, in combinazione con laser che modificano la temperatura, ricreando le diverse ere geologiche del nostro pianeta", continua il responsabile del progetto.
Terzo e ultimo punto: la vita. «Altri studi, in ambito biologico, affermano che i composti di zolfo possano avere contribuito a donare energia ai composti monocellulari che si sono formati agli albori della vita, 3,7-3,8 miliardi di anni fa. Se noi provassimo che questi composti erano stabili alle condizioni di formazione del pianeta, e quindi ben prima dei 3,8 miliardi di anni, potremmo ipotizzare che la vita si sia formata molto prima di quanto si pensi ora".
Gli esperimenti verranno condotti allo European X-Ray Free-Electron Laser di Amburgo, in Germania, e al Sincrotone Europeo di Grenoble, in Francia. All’Università di Milano-Bicocca verrà condotta la preparazione dei campioni sperimentali e sarà utilizzata la piattaforma di microscopia per studi sui materiali post-esperimento. Grazie al finanziamento ERC verrà acquisito un FIB – Focused Ion Beam, uno strumento scientifico adatto a predisporre i campioni su scala micro- e nano-metrica e la loro analisi chimica dopo la manipolazione a condizioni estreme.
"Oltre ad affinare la nostra comprensione dell'interno della Terra, prevediamo che i risultati di S-Cape rivoluzioneranno la nostra prospettiva su come lo zolfo abbia plasmato l'evoluzione planetaria e su come possa favorire o limitare la potenziale abitabilità in tutto il Sistema Solare", conclude Valerio Cerantola.
"Il progetto “The Earth’s Deep Sulphur Cycle from Planetary Accretion to Present “ di Valerio Cerantola, che si situa alla frontiera della ricerca tra geologia, fisica e chimica, è concepito per indagare il ruolo del ciclo profondo dello zolfo nell'evoluzione geologica del nostro pianeta e nella formazione dei mattoni prebiotici della vita. Nell’esprimere a Valerio le mie più vive congratulazioni per il prestigioso riconoscimento ottenuto, auspico che il suo successo possa fornire alla comunità accademica del nostro Ateneo ulteriore stimolo a continuare a condurre ricerca scientifica di alta qualità con l’obiettivo di spostare in avanti la frontiera della conoscenza", afferma il prorettore alla Ricerca dell’Università di Milano-Bicocca, Leo Ferraris
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È stato presentato 'Make America Thin Again – La Dieta Tisanoreica', il nuovo lavoro editoriale di Gianluca Mech, imprenditore della salute, divulgatore scientifico e fondatore del Metodo Tisanoreica. Un’opera dal tono personale e al tempo stesso divulgativo, dedicata alla figura di Ivana Trump, riconosciuta come una delle principali sostenitrici del metodo negli Stati Uniti. Il volume ripercorre l’idea lanciata nel 2018 insieme a Ivana Trump con il progetto 'Make America Thin Again', iniziativa nata per introdurre negli Stati Uniti una visione italiana del benessere integrato. Un percorso interrotto dagli eventi internazionali degli anni successivi e dalla scomparsa di Ivana, ma che in questo libro trova nuova luce come testimonianza, omaggio e punto di ripartenza.
Mech illustra i fondamenti della Tisanoreica, un metodo nutrizionale che combina preparazioni a base naturale, supporto fitoterapico e protocolli sviluppati nel corso del tempo. L’approccio proposto va oltre la dimensione del controllo del peso, abbracciando il benessere metabolico, il miglioramento dell’energia quotidiana, il riequilibrio funzionale e il sostegno a condizioni diffuse che possono beneficiare di un’alimentazione più strutturata, sempre nel rispetto delle competenze mediche. Al centro della filosofia presentata nel libro si trova il concetto di longevità metabolica: promuovere abitudini sostenibili che aiutino il corpo a mantenere efficienza e vitalità nel lungo periodo.
Vengono proposti strumenti pratici, indicazioni nutrizionali e strategie studiate per rispondere alle esigenze contemporanee
Accanto alla parte narrativa, il testo offre una sezione operativa rivolta a chi desidera comprendere o approfondire il metodo. Vengono proposti strumenti pratici, indicazioni nutrizionali e strategie studiate per rispondere alle esigenze contemporanee. Tra gli approfondimenti, una particolare attenzione è dedicata al ruolo degli integratori di supporto per persone che seguono terapie farmacologiche finalizzate al dimagrimento, con l’obiettivo di mitigare alcuni effetti indesiderati riportati da chi intraprende tali percorsi. L’approccio presentato è coerente con l’idea di integrazione responsabile, pensata per affiancare — e non sostituire — il lavoro dei professionisti della salute.
Un ponte tra memoria e progettualità. "Questo libro è un atto d’amore e un gesto di gratitudine verso Ivana - afferma Gianluca Mech - Rappresenta anche il desiderio di riaccendere un progetto condiviso: raccontare al pubblico internazionale un metodo italiano che unisce natura e scienza per migliorare la qualità della vita". Make America Thin Again – La Dieta Tisanoreica', in onore di Ivana Trump si presenta così come un’opera che unisce testimonianza personale, riflessione scientifica e una proposta di benessere orientata al futuro.

"Sono sempre pronto alle elezioni". E' quanto ha detto oggi, martedì 9 dicembre, Volodymyr Zelensky rispondendo a una domanda del Messaggero, di Repubblica e del Fatto, sull'attacco di Donald Trump, secondo cui il presidente ucraino starebbe "usando la guerra per non indire le elezioni"[1]. Poi, subito prima di andare a Palazzo Chigi per un incontro con la premier Giorgia Meloni, Zelensky ha detto: "Mi fido di lei, ci aiuterà".
La presidente del Consiglio ha avuto ieri una conversazione telefonica con il presidente ucraino e ha partecipato, sempre nella giornata di lunedì, a una videoconferenza con Zelensky e altri leader europei per fare il punto della situazione sul percorso di pace in Ucraina alla luce degli ultimi colloqui tra le delegazioni americana e ucraina.
Meloni, ha riferito Palazzo Chigi, ha nuovamente posto l’accento sull’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e Stati Uniti per il raggiungimento di una pace giusta e duratura in Ucraina. E' "fondamentale in questo momento, ad avviso dei leader riuniti, aumentare il livello di convergenza su temi che toccano gli interessi vitali dell’Ucraina e dei suoi partner europei, come la definizione di solide garanzie di sicurezza e l’individuazione di misure condivise a sostegno dell’Ucraina e della sua ricostruzione", è emerso dalla videocall.
Nel corso del colloquio tra la presidente del Consiglio e Zelensky, hanno inoltre fatto sapere da Palazzo Chigi, la premier "ha innanzitutto voluto rinnovare la solidarietà italiana a seguito di una nuova serie di attacchi indiscriminati russi contro obiettivi civili ucraini e ha annunciato al presidente Zelensky l’invio di forniture di emergenza a sostegno delle infrastrutture energetiche e della popolazione. I generatori forniti da aziende italiane verranno inviati in Ucraina già nelle prossime settimane".

"Sono sempre pronto alle elezioni". E' quanto ha detto oggi, martedì 9 dicembre, Volodymyr Zelensky rispondendo a una domanda del Messaggero, di Repubblica e del Fatto, sull'attacco di Donald Trump, secondo cui il presidente ucraino starebbe "usando la guerra per non indire le elezioni"[1]. Poi, subito prima di andare a Palazzo Chigi per un incontro con la premier Giorgia Meloni, Zelensky ha detto: "Mi fido di lei, ci aiuterà".
La presidente del Consiglio ha avuto ieri una conversazione telefonica con il presidente ucraino e ha partecipato, sempre nella giornata di lunedì, a una videoconferenza con Zelensky e altri leader europei per fare il punto della situazione sul percorso di pace in Ucraina alla luce degli ultimi colloqui tra le delegazioni americana e ucraina.
Meloni, ha riferito Palazzo Chigi, ha nuovamente posto l’accento sull’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e Stati Uniti per il raggiungimento di una pace giusta e duratura in Ucraina. E' "fondamentale in questo momento, ad avviso dei leader riuniti, aumentare il livello di convergenza su temi che toccano gli interessi vitali dell’Ucraina e dei suoi partner europei, come la definizione di solide garanzie di sicurezza e l’individuazione di misure condivise a sostegno dell’Ucraina e della sua ricostruzione", è emerso dalla videocall.
Nel corso del colloquio tra la presidente del Consiglio e Zelensky, hanno inoltre fatto sapere da Palazzo Chigi, la premier "ha innanzitutto voluto rinnovare la solidarietà italiana a seguito di una nuova serie di attacchi indiscriminati russi contro obiettivi civili ucraini e ha annunciato al presidente Zelensky l’invio di forniture di emergenza a sostegno delle infrastrutture energetiche e della popolazione. I generatori forniti da aziende italiane verranno inviati in Ucraina già nelle prossime settimane".

Impegnati da mesi in una campagna di pressione militare sul Venezuela, con le ripetute minacce pubbliche di Donald Trump nei confronti di Nicolas Maduro, gli Stati Uniti stanno lavorando a piani per il "day after" in caso dell'uscita di scena del leader venezuelano. Piani che Trump sta facendo preparare, in modo riservato, al Consiglio per la Sicurezza Interna della Casa Bianca, guidato da uno dei suoi consiglieri più fidati Stephen Miller, che lavora in stretto contatto con il segretario di Stato, e consigliere per la Sicurezza ad interim, Marco Rubio, rivelano oggi alla Cnn due fonti dell'amministrazione Trump.
Secondo queste fonti, i piani comprendono diverse opzioni per le azioni che gli Usa potrebbero intraprendere per colmare il vuoto di potere o stabilizzare il Venezuela[1] nel caso che Maduro lasciasse il potere nell'ambito di un'uscita negoziata o fosse costretto a lasciarlo a seguito di raid mirati Usa all'interno del Paese o altre azioni dirette.
Il dispiegamento di forze navali di fronte alle coste del Venezuela, e le decine di raid che sono in questi giorni al centro di un acceso dibattito politico a Washington, vengono ufficialmente giustificati come parte della guerra ai narcotrafficanti, che l'amministrazione Trump considera narcoterroristi. Ma funzionari dell'amministrazione non esitano ad ammettere che l'operazione è un chiaro segnale del fatto che Trump sta considerando di costringere Maduro a lasciare il potere[2].
Trump continua a ripetere di "non escludere nulla" sul Venezuela e che "Maduro ha i giorni contati", come ha fatto nell'intervista oggi a Politico, secondo la Cnn non vi sarebbe però all'interno dell'amministrazione una posizione unitaria a riguardo, ma posizioni nettamente contrastanti su una possibile azione militare o clandestina per rimuovere Maduro.
E secondo le fonti dell'amministrazione citate non vi sarebbe un grande desiderio di aumentare l'impegno degli Usa in Venezuela, anche se Trump si è rifiutato di escludere una partecipazione diretta in un'operazione di "regime change" e quindi nei piani che sta elaborando il White House Council prevedono anche questa opzione. "E' il compito del governo federale essere sempre pronto per il piano A, B e C", afferma un alto funzionario dell'amministrazione, notando che il presidente non farebbe le minacce che fa se non avesse un team pronto con una serie di opzioni per ogni possibile scenario.
Bisogna ricordare che l'opposizione venezuelana, guidata da Maria Corina Machado, che domani è attesa a Oslo per ricevere il premio Nobel per la pace, e Edmundo González, da anni lavora al dopo Maduro e ha reso noti diversi elementi di questi piani, in particolare quelli per garantire la tenuta di sicurezza, economia, energia, infrastrutture e istruzione. In particolare, l'opposizione ha formula un piano di "100 ore" ed uno di "100 giorni" dalla caduta di Maduro, e questi piani sono stati condivisi con l'amministrazione Trump che considera Gonzalez il "legittimo presidente" del Venezuela, avendo ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni dello scorso anno. Non è chiaro però quanto dei piani dell'opposizione venezuelana siano stati incorporati in quelli dell'amministrazione Trump.
Appuntamento all'Exma di Cagliari venerdì 12 dicembre...
Convegno con esperti su finanza, innovazione e digitale... 
"Ho rischiato davvero la vita". Catena Fiorello, ospite di Caterina Balivo a La volta buona, racconta il dramma vissuto lo scorso inverno, durante i giorni del Festival di Sanremo. "La colecisti si è trasformata in una mostruosità. I calcoli sono una cosa seria e l'ho sperimentato personalmente, possono portare anche alla morte in casi estremi. Per farla breve, si rimandava quest'intervento mentre avevo dolori fortissimi", racconta la scrittrice, sorella di Fiorello.
"Sono arrivata ad un punto in cui non c'era più tempo, sono entrata in sepsi. Ho rischiato la vita? Certo... Sono stata operata d'urgenza, il post-intervento è lungo e faticoso. Il chirurgo si chiedeva come avessi fatto a non esplodere dal dolore, perché avevo anche un nodulo incistato nel duodeno. Ho rischiato davvero la vita, ho scelto di operarmi nell'ospedale di Lecce e ho lasciato un video se non ce l'avessi fatta. I miei familiari avrebbero potuto chiedere" al compagno Paolo "perché non ero stata portata in un ospedale di Roma. Io ero sicura che avrei risolto la situazione con la mia decisione".

Dov’eravamo rimasti? A un San Siro sold out, a un pubblico in delirio e alla chiusura di una trilogia. Un percorso artistico che ha ridefinito anche la storia personale di Marracash. Eppure, guardandosi intorno, all’Unipol Forum d’Assago, non sembrano essere passati sei mesi da quel 25 giugno. Le stesse facce, quelle che c’erano al suo primo tour negli stadi, si ritrovano con le stesse braccia al cielo e le stesse gole senza voce. Ma molte cose possono cambiare in sei mesi. Il Marra che ha toccato l’apice della sua carriera non è lo stesso che entra nei palazzetti. Più consapevole, più presente, più in pace.
“Sono a casa Milano!”, suona come la chiusura di un cerchio. Dopo un viaggio durato sei anni e tre dischi, Marracash accende ancora la sua città con un concerto dallo stesso concept di quello estivo, ma rivisitato. Ci sono canzoni che non avevano trovato spazio, ospiti che non avevano ricevuto invito, e anche il look è diverso: “Ho i baffi ora”, sorride al microfono il rapper mentre raccoglie un reggiseno lanciatogli dal parterre.
La prima delle tre date milanesi si apre come si erano concluse quelle estive. Un laboratorio per palco, ballerini per scienziati e un uomo dilaniato dal dualismo tra Fabio e il suo alter ego, Marracash. Come raggiungere un equilibrio in una vita in bilico? La risposta il rapper, forse, l’ha trovata proprio negli stadi italiani[1]. Quando le sue due anime sono diventate una, e un percorso si è finalmente concluso.
Per aprirne uno nuovo, Marra si affida al suo pubblico e a vecchi (e nuovi) amici. C’è Lazza che aveva ospitato proprio Fabio per il suo primo San Siro[2] e ora ha ricambiato il favore. C’è Blanco, quel ‘figlioccio’ artistico che Marracash ha visto spiccare il volo, prima di cadere. E che proprio su quel palco ha fatto il primo passo verso il suo ritorno. Ma nonostante molti, nella scena italiana, considerino Marra un padre e la Barona casa, sono in pochi quelli a cui Fabio ha stretto la mano.
Della nuova generazione di rapper, lontana per flow e argomenti, Marracash si è avvicinato a una voce o, meglio, “a un gran urlatore, proprio come me”. 22simba entra sul palco con l’emozione di chi, il Forum, lo aveva soltanto sognato. Il suo ‘Fanculo’ commuove e riempie l’aria, e in mezzo a tutti quei telefoni accesi per lui, quanto sembrano irrilevanti le classifiche. In un momento in cui il rap domina, ma un disco dura una settimana.
Marracash, insomma, guarda al futuro, ma senza dimenticare il passato. Il suo ultimo progetto prende il nome da una canzone che contiene il campionamento di un brano di Ivan Graziani. E così per cantare ‘E’ finita la pace’ arriva Filippo, il figlio del cantautore. E persino Marra, per un secondo, si sente ‘piccolo’ a ospitare asta e chitarra. È il lascito di un’era musicale passata, quando i live contavano più degli stream, ma che molti non hanno dimenticato. Ancora una volta Fabio mostra rispetto per chi è venuto prima di lui e ha ispirato il suo viaggio.
L’atto finale dello show si apre con una promessa. Quella di aprire un nuovo capitolo della sua storia, non più fatto di dicotomie e conflitti interiori, ma sempre di barre e basi. Gli stessi argomenti, ma un linguaggio rinnovato. Guerre, ingiustizie sociali e un amore che prima ti travolge e poi ti tradisce. Marra è tutto questo, e resterà fedele a se stesso. Ma forse è Fabio a uscirne rinnovato. Finalmente in lui prende spazio la consapevolezza di essere uno, solo, unico. In una parola, il King del rap. (di Marica Di Giovanni)

Can Yaman, l'italiano, il calcio e la 'regola' di Pietro Sermonti. L'attore turco sta collezionando successi di ascolti con la nuova serie Sandokan, che domina la serata del lunedì su Raiuno. Nella sua chiacchierata con Fiorello, nella puntata di ieri della Pennicanza, Can Yaman sorprende lo showman con la totale padronanza della lingua italiana. "Incredibile", dice Fiorello.
"Parlo turco, inglese, italiano, spagnolo. Ho una buona base di tedesco, russo e francese. Li ho studiati da piccolo e poi non li ho più usati. Se riprendessi a studiare, nel giro di due mesi me la caverei", risponde l'attore. "Ho frequentato il liceo italiano a Istanbul per 5 anni, ho studiato tutte le materie in italiano. Ero già italianizzato da giovane, tra le lingue che conosco l'italiano è la numero 1. Mi piace studiare", aggiunge.
Tra le note inedite, spicca la passione per il calcio. In Turchia, Can Yaman ha coltivato la passione per il Besiktas, uno dei principali club di Istanbul con Galatasaray e Fenerbahce. "Tifo Besiktas ma da 5 anni vivo a Roma e non riesco a seguire le partite", dice prima di confessare il nuovo amore calcistico. "Da quando sono qui tifo Roma", dice, confermando la validità della 'regola Pietro Sermonti'. Cos'è la regola? Pietro Sermonti, in una memorabile puntata del podcast Tintoria, fece luce sul 'curioso' fenomeno che porta personaggi dello spettacolo a dichiarare pubblicamente il proprio amore per la Roma pur avendo origine tutt'altro che capitoline. "Rimanga un po' tra noi - la 'rivelazione' di Sermonti: loro vengono da fuori, però tifano Roma. Allora, se tifi da piccolo va bene... Ma il fatto che tu arrivi in questo straordinario mondo del cinema" scoprendo la passione per la Roma "è un po' sospetto... Non vorrei fare il processo alle intenzioni, però strano che mò a 36 anni di colpo si diventa romanista

Acalabrutinib, in prima linea, può cambiare lo standard di cura dei tumori del sistema linfatico. La terapia mirata, inibitore di Btk di seconda generazione, ha evidenziato importanti risultati in particolare nella leucemia linfatica cronica e nel linfoma mantellare, in tre studi presentati al Congresso della Società americana di ematologia (American Society of Hematology, ASH), in corso a Orlando (Florida) fino ad oggi, 9 dicembre. Lo studio 'Amplify' - informa una nota - ha dimostrato che 9 pazienti su 10 con leucemia linfatica cronica trattati in prima linea con acalabrutinib in combinazione con venetoclax, un nuovo regime completamente orale a durata fissa, sono liberi dal trattamento a 3 anni. Nello studio 'Echo', acalabrutinib in combinazione con chemio-immunoterapia (bendamustina e rituximab), nel trattamento di prima linea dei pazienti con linfoma mantellare, ha dimostrato una riduzione del 24% del rischio di iniziare una terapia di terza linea o di decesso ed è stata ridotta del 40% la probabilità di progressione precoce della malattia. E, nello studio TrAVeRse, si aprono prospettive importanti in prima linea per la cura del linfoma mantellare senza chemioterapia. Grazie alla tripletta costituita da acalabrutinib più venetoclax e rituximab, il tasso di risposta globale ha raggiunto il 95%.
La leucemia linfatica cronica è la forma più comune di leucemia negli adulti. In Italia, sono stimati circa 2.750 nuovi casi ogni anno. "È una neoplasia ematologica caratterizzata dall’accumulo anomalo di un particolare tipo di globuli bianchi, i linfociti B, nel sangue periferico, nel midollo osseo e negli organi linfatici, linfonodi e milza – spiega Antonio Cuneo, direttore dell’Unità operativa di Ematologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Ferrara -. La chemio-immunoterapia, un tempo, rappresentava lo standard di cura in prima linea, ma oggi è superata dalle terapie mirate, costituite dagli inibitori di Btk e di Bcl-2, utilizzati assieme o in associazione con un terzo farmaco, un potente anticorpo monoclonale. Oggi, pertanto, la leucemia linfatica cronica è sempre più curabile, anche se tende spesso a ripresentarsi a distanza di tempo".
Lo studio 'Amplify' - dettaglia la nota - ha paragonato 3 schemi di terapia in prima linea, tutti a durata fissa: la doppietta acalabrutinib più venetoclax, la tripletta acalabrutinib più venetoclax e obinutuzumab, entrambe con durata del trattamento di 14 cicli, e la migliore chemio-immunoterapia per 6 mesi. 2Nello studio Amplify – continua Cuneo – l’88,5% dei pazienti trattati con acalabrutinib, inibitore di Btk di nuova generazione, più venetoclax, che è un inibitore di Bcl-2, era libero dal trattamento a 3 anni. Fino a poco tempo fa venivano utilizzate terapie continuative, cioè assunte fino a quando funzionavano o il paziente le tollerava. I dati aggiornati dello studio Amplify dimostrano che, grazie ad acalabrutinib più venetoclax, che agiscono in maniera sinergica, 9 pazienti su 10, a tre anni, non richiedono trattamenti. Questo significa che la neoplasia non è più presente funzionalmente, perché questi pazienti non mostrano più segni di malattia. Altro aspetto centrale è l’alto livello di tollerabilità del regime acalabrutinib più venetoclax, superiore alle altre opzioni terapeutiche disponibili. Anche durante i circa 14 cicli di terapia, gli effetti collaterali, ad esempio di tipo cardiologico, sono stati pochi e di lieve entità e facilmente gestibili. Dati da evidenziare, soprattutto se si considera che circa il 25% dei pazienti coinvolti nello studio Amplify aveva più di 65 anni".
Lo scorso anno, sempre al Congresso Ash, erano stati presenti i risultati di sopravvivenza libera da progressione a 36 mesi, pari al 76,5% per acalabrutinib più venetoclax, all’83,1% con l’aggiunta di obinutuzumab, rispetto al 66,5% per la chemio-immunoterapia.
"Lo studio Amplify – sottolinea Cuneo - ha dimostrato che, con la combinazione acalabrutinib più venetoclax, è possibile ottenere un controllo della malattia molto più prolungato rispetto alla migliore immunochemioterapia. Non solo. Aumenta anche la sopravvivenza globale, che include qualunque causa di morte. E oggi è disponibile anche il dato sul tempo libero da ulteriori trattamenti. Questi risultati segnano la fine definitiva dell’era dell’immunochemioterapia nella leucemia linfatica cronica. Le prospettive offerte dalla nuova combinazione orale a durata fissa sono molto importanti anche da un punto di vista psicologico, perché il paziente, pur vivendo con una malattia cronica, è consapevole del termine del trattamento – evidenzia Cuneo -. Inoltre, il regime acalabrutinib più venetoclax è completamente orale, con ulteriori vantaggi per la qualità di vita dei pazienti, che possono ridurre gli accessi in ospedale, assumendo la terapia a casa. Analisi farmacoeconomiche hanno dimostrato che le terapie a durata fissa, nel medio periodo, sono più vantaggiose nel trattamento di prima linea rispetto alla chemioimmunoterapia".
"Vanno evidenziati anche i risultati ottenuti con la tripletta acalabrutinib più venetoclax e obinutuzumab, anticorpo monoclonale anti CD20 – continua Cuneo -. Ci sono prospettive per l’utilizzo di questa opzione terapeutica soprattutto in pazienti più giovani, con malattia ad alto rischio, in cui sono state ottenute remissioni profonde. La terapia a durata definita a 3 farmaci, infatti, in 8 pazienti su 10 determina risposte profonde, con meno di una cellula su 10mila residua". Al Congresso Ash sono stati presentati anche i risultati aggiornati dello studio 'Echo' su acalabrutinib in combinazione con chemio-immunoterapia (bendamustina e rituximab) nel trattamento di prima linea di pazienti over 65 con linfoma mantellare. Questa neoplasia rappresenta il 6% dei linfomi non Hodgkin e si stimano in Italia, ogni anno, circa 800 nuovi casi.
"Il linfoma mantellare è un tipo di linfoma non Hodgkin B linfocitario, che colpisce soprattutto persone anziane - afferma Enrico Derenzini, direttore della Divisione di Oncoematologia all’Istituto europeo di oncologia di Milano e professore associato di Ematologia alla Statale di Milano -. Questo tumore del sangue può determinare un aumento del volume delle linfoghiandole e interessare organi a livello gastroenterico e soprattutto il midollo osseo, talvolta con comparsa di sindrome leucemica. Lo studio Echo ha riguardato pazienti anziani di età superiore a 65 anni o non candidabili a chemio-immunoterapia intensificata".
Al congresso Ash - riferisce la nota - sono presentati i dati aggiornati dello studio, con un follow up di 50 mesi. "La combinazione di acalabrutinib con la chemio-immunoterapia a base di bendamustina e rituximab, attuale standard di cura nei pazienti con linfoma a cellule mantellari non precedentemente trattati, ha determinato vantaggi in termini di tempo alla progressione, tassi di risposta e tendenza alla sopravvivenza globale – continua Derenzini -. Questi passi avanti sono stati ottenuti nonostante lo studio prevedesse la possibilità di 'crossover', perché i pazienti che presentavano progressione di malattia nel braccio con la terapia standard potevano passare al trattamento con acalabrutinib. Il 70% dei pazienti del braccio di controllo ha infatti ricevuto acalabrutinib alla progressione o recidiva dopo la prima linea".
"Lo studio - spiega Derenzini - ha dimostrato che, nei pazienti trattati con la combinazione a base di acalabrutinib già in prima linea, è stato ridotto del 24% il rischio di iniziare una terapia di terza linea. Al follow up a 50 mesi, è stato ulteriormente migliorato il vantaggio di sopravvivenza libera da progressione già osservato nell’analisi iniziale dello studio, con una mediana pari a 72,5 mesi per acalabrutinib più chemio-immunoterapia rispetto a 47,8 mesi per l’attuale standard di cura. È stato mantenuto anche l’elevato profilo di tollerabilità della combinazione. Lo studio Echo, inoltre, ha analizzato il POD24, cioè la progressione di malattia entro 24 mesi dall’inizio del trattamento, che è considerata un fattore prognostico negativo. Con acalabrutinib più chemio-immunoterapia è stata ridotta del 40% la probabilità di progressione precoce. Questi dati indicano che è possibile cambiare la storia naturale del linfoma mantellare".
Al Congresso Ash sono stati presentati anche i risultati preliminari di TrAVeRse, studio multicentrico di fase 2 che ha coinvolto 108 pazienti. "Questo trial mostra le prospettive future della cura di prima linea del linfoma mantellare, che può essere libera da chemioterapia – afferma il Derenzini -. L’endpoint primario era il tasso di remissioni complete Mrd negative, che indica assenza di malattia sia dal punto di vista radiologico che molecolare, al termine dell’induzione costituita da 13 cicli di trattamento. Grazie alla triplice terapia, con acalabrutinib, venetoclax e rituximab, è stato ottenuto un tasso di risposta globale del 95%, con più della metà dei pazienti in remissione completa. Molti pazienti si trovano ancora in fasi precoci di terapia, per cui ci aspettiamo che il tasso di remissione completa aumenti nelle analisi successive. Da segnalare che tutti e 12 i pazienti che sin qui hanno completato il trattamento di induzione hanno ottenuto una remissione completa Mrd negativa. Un altro aspetto importante è che anche la sottopopolazione di pazienti con mutazione del gene TP53, che correla con una prognosi sfavorevole, presenta vantaggi significativi. Anche la tollerabilità della tripletta 'chemio-free' è stata elevata".
Un ruolo sempre più decisivo nella cura delle patologie ematologiche è riservato agli anticorpi monoclonali bispecifici, che sono in grado di colpire le cellule tumorali con estrema precisione. In particolare - conclude la nota - surovatamig è un anticorpo bispecifico anti-CD3 e anti-CD19, in sviluppo nei linfomi aggressivi e indolenti. In due studi di fase 1 presentati al Congresso Ash, sono stati dimostrati tassi elevati di risposte complete in pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B e linfoma follicolare, recidivati o refrattari e pesantemente pretrattati, anche con la terapia cellulare Car-T e con anticorpi bispecifici.

Il consiglio di amministrazione di Gruppo San Donato SpA, riunitosi con procedura di urgenza, a seguito dei gravi fatti verificatisi nella notte tra il 6 del 7 dicembre scorso nell’ospedale San Raffaele di Milano, comunica di aver votato all’unanimità la procedura di revoca nei confronti del dottor Francesco Galli, amministratore unico dell’Irccs Ospedale San Raffaele. Galli, venuto a conoscenza dell’avvio della procedura, ha comunicato le proprie irrevocabili dimissioni.
Nella medesima seduta del Consiglio, l’ingegner Marco Centenari è stato indicato quale nuovo amministratore unico dell’Ospedale San Raffaele. Centenari, nella duplice veste di amministratore delegato del Gruppo San Donato e amministratore unico dell’Ospedale San Raffaele, ha confermato la totale disponibilità della struttura ospedaliera e di tutti i professionisti coinvolti, affinché sia assicurata la assoluta trasparenza e siano tutelate prima di tutto la salute e la sicurezza dei cittadini.
Nelle ultime ore erano state denunciate una serie di criticità organizzative nel reparto cure intensive.
"Gestiamo una regione con 10 milioni di abitanti, oltre 200 ospedali tra pubblici e privati e 120mila dipendenti solo nel comparto del welfare. È fisiologico che ogni giorno possano presentarsi criticità: sarebbe impossibile pensare che tutto funzioni sempre alla perfezione. Quando emerge un problema specifico, interveniamo immediatamente, come abbiamo fatto con l'autorità del San Raffaele", ha spiegato l'assessore al Welfare della Regione Lombardia Guido Bertolaso, in merito alle segnalazioni di criticità emerse ieri riguardanti l'ospedale San Raffaele di Milano.
"La decisione assunta dal Consiglio di amministrazione del San Raffaele rappresenta un esempio concreto di sinergia fra pubblico e privato. È evidente che prima della riunione del Cda ci sia stato un confronto con i vertici del Gruppo San Donato, e i risultati si sono visti da subito", ha chiarito l'assessore in una nota, sottolineando come il sistema sanitario lombardo sia impegnato nel monitoraggio e nella prevenzione delle situazioni complesse ed evidenziando il coordinamento tra istituzioni e settore privato: la Regione Lombardia, si spiega ancora nella nota, continuerà a seguire da vicino l'evoluzione della situazione. "Approfondiremo nel dettaglio quanto accaduto e, se necessario, adotteremo ulteriori misure correttive".
Dopo la segnalazione di una serie di criticità organizzative nel reparto cure intensive - fatti che si sono verificati nella notte tra il 6 del 7 dicembre scorso nell'ospedale San Raffaele - ieri in tarda serata il consiglio di amministrazione del Gruppo San Donato, riunitosi con procedura d'urgenza, ha comunicato di aver votato all'unanimità la procedura di revoca nei confronti di Francesco Galli, amministratore unico dell'Irccs di via Olgettina. Galli, venuto a conoscenza dell'avvio della procedura, ha comunicato le proprie irrevocabili dimissioni. "Il San Raffaele - ha concluso Bertolaso - è per noi una risorsa fondamentale, un vero fiore all'occhiello della sanità italiana, riconosciuto tra i migliori 100 ospedali al mondo. Ci teniamo che continui a operare con gli standard di eccellenza che lo hanno sempre contraddistinto".

Un farmaco vecchio' diventa una nuova arma per combattere la retinite pigmentosa. Uno studio dell'Istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-In) ha messo a punto un trattamento in grado di rallentare sensibilmente la degenerazione dei coni della retina e la perdita della vista indotte dalla retinite pigmentosa.
Cos'è la retinite pigmentosa
Si tratta di una rara malattia genetica che porta a una perdita progressiva della vista: colpisce inizialmente i bastoncelli - le cellule della retina che ci permettono di vedere al buio - e successivamente anche i coni, responsabili della visione diurna e dei dettagli. Quando i coni degenerano, la qualità della vita dei pazienti peggiora drasticamente, poiché la lettura, il riconoscimento dei volti e la percezione dei colori vengono meno.
Lo studio
Il team di ricerca, coordinato dalla ricercatrice Enrica Strettoi, ha esplorato una strada semplice ma nuova: riutilizzare farmaci antinfiammatori già noti, come il desametasone, per contrastare i processi di infiammazione che si attivano nella retina danneggiata, contribuendo alla perdita dei fotorecettori. I risultati dello studio, frutto di cinque anni di lavoro - informa una nota - sono stati pubblicati sulla rivista Progress in Retinal and Eye Research, all’interno di un’ampia review che include anche dati inediti.
"Negli ultimi anni la ricerca ha fatto ampi progressi nella comprensione delle cause genetiche della malattia e nello sviluppo di terapie geniche, ma a tutt’oggi non esiste una cura valida per tutti i pazienti - spiega la ricercatrice Enrica Strettoi (Cnr-In) -. Il nostro studio si è focalizzato su un elemento chiave emerso di recente, ovvero il ruolo dell’infiammazione provocata da cellule immunitarie come microglia e macrofagi, che si attivano nella retina danneggiata, contribuendo alla perdita dei fotorecettori".
Partendo da questa osservazione, il gruppo di ricerca ha esplorato una strada semplice ma nuova: riutilizzare farmaci antinfiammatori già noti, come il desametasone. Somministrando tale farmaco per via intraoculare in modelli preclinici di retinite pigmentosa, è stato osservato che le cellule visive (coni) e l’epitelio pigmentato, un tessuto fondamentale per il supporto della retina, si preservano dall’infiammazione.
"I risultati positivi ottenuti suggeriscono che i glucocorticoidi, farmaci già approvati e ampiamente utilizzati in oculistica, e di cui il desametasone fa parte, potrebbero rappresentare una nuova opportunità terapeutica per la Retinite Pigmentosa, indipendentemente dalla mutazione genetica che la causa. Una prospettiva che apre la strada a trattamenti immediatamente trasferibili alla clinica, con l’obiettivo di rallentare la perdita visiva e migliorare la qualità di vita dei pazienti in questa grave patologia orfana", aggiunge la ricercatrice. Lo studio ha ricevuto finanziamenti dalla Fondazione Velux, dalla Allergan/Abbvie, dalla Fondazione Rosa Pristina e dal Pnrr Tuscany Health Ecosystem.

Supportare l’attuazione del Piano nazionale malattie rare (Pnmr) 2023–2026 nel campo delle encefalopatie dello sviluppo ed epilettiche (Dees, Developmental and Epileptic Encephalopathies), un insieme di patologie rare ad alta complessità clinica e gestionale. È l’obiettivo dell’iniziativa nazionale DEEstrategy, presentata al Meyer Health Campus di Firenze durante la conferenza stampa organizzata da Helaglobe con il contributo non condizionante di Ucb Pharma. La policy innovativa è la prima, a livello nazionale, a prevede la presa in carico multidisciplinare e la transizione dall’età pediatrica a quella adulta nei pazienti con DEEs. Nel dettaglio - informa una nota - consiste nel migliorare i percorsi assistenziali su tutto il territorio nazionale, promuovere una presa in carico integrata e multidisciplinare, ridurre le disuguaglianze territoriali e trasformare norme e linee guida in azioni operative concrete. Il progetto nasce dalla collaborazione strutturata di un core team multidisciplinare e di un gruppo allargato di esperti, rappresentanti regionali, società scientifiche, associazioni di pazienti e professionisti sanitari.
Le Dees sono condizioni rare caratterizzate da compromissione dello sviluppo neurologico associata a epilessie gravi e farmacoresistenti. Tra le più rappresentative: Sindrome di Lennox-Gastaut (Lgs), Sindrome di Dravet (Sd), Sindrome da Deficienza di Cdkl5 (Cdd), ciascuna con quadri clinici specifici ma accomunate da elevata complessità assistenziale. Tra le caratteristiche cliniche principali ci sono: l’epilessia farmacoresistente, con crisi frequenti e difficili da controllare; il ritardo cognitivo e psicomotorio, talvolta con regressione delle abilità acquisite; le disabilità permanenti motorie, cognitive e comportamentali di grado variabile. Questi elementi rendono necessaria una presa in carico multidisciplinare continuativa, che abbracci tutto l’arco della vita.
"Oltre ad affrontare il problema delle crisi, per i soggetti con encefalopatie epilettiche e dello sviluppo - spiega Renzo Guerrini, professore di Neuropsichiatria infantile Aou Meyer-Irccs, Firenze - le sfide quotidiane e a lungo termine implicano anche la costruzione e la realizzazione di un progetto di vita che integri salute, scuola, lavoro e inclusione sociale. Solo attraverso un approccio clinico ampio che valorizzi il team multidisciplinare possiamo garantire quella continuità assistenziale necessaria a migliorare concretamente la qualità della vita".
Il Pnmr 2023–2026 - riferisce la nota - rappresenta un riferimento strategico per standardizzare la presa in carico di tutte le malattie rare. Le Dees sono un modello paradigmatico della complessità gestionale descritta dal piano nazionale. Dall’analisi dei gruppi di lavoro, il progetto individua 4 priorità operative, pienamente aderenti al Pnmr: continuità assistenziale e transizione con protocolli strutturati, case manager dedicati, uso avanzato del Fascicolo sanitario elettronico e formazione mirata dei professionisti sanitari; un approccio multidisciplinare; servizi socioassistenziali aventi un focus sul potenziamento dell’assistenza domiciliare, l’inclusione scolastica e lavorativa (in linea con Legge 68/1999) e il supporto costante ai caregiver. Infine, la telemedicina come strumento chiave per il monitoraggio remoto, la riduzione degli spostamenti, la maggiore accessibilità ai centri specialistici, la creazione di reti di teleconsulto tra ospedali e territorio e l’utilizzo del Fse per condivisione immediata dei dati clinici.
"La priorità della rete regionale è superare le disuguaglianze territoriali, garantendo una presa in carico integrata e uniforme per i pazienti con Dees, attraverso modelli replicabili e monitoraggio con indicatori di salute One Health e di processo - afferma Cristina Scaletti, responsabile clinico, Rete malattie rare Regione Toscana - La collaborazione tra istituzioni, centri di riferimento e associazioni è la chiave per accelerare l'implementazione delle strategie e rendere la nostra regione un modello nazionale. DEEstrategy rappresenta uno strumento concreto per trasformare le normative in atti operativi, accompagnando l'implementazione della presa in carico attraverso la valorizzazione delle competenze di chi, negli anni, ha lavorato a stretto contatto con i pazienti per rispondere ai loro bisogni".
Aggiunge il direttore del dipartimento delle Specialistiche mediche dell’Azienda Usl Toscana Centro, Pasquale Palumbo: "Il paziente, pediatrico e adulto con epilessia presenta una serie di peculiarità che richiedono l'intervento di più discipline, professioni e settori del mondo sanitario. Da qui la necessità di costruire protocolli e procedure standardizzate che garantiscano interventi centrati sul paziente e in grado di rispondere ai requisiti di qualità e ottimizzazione delle risorse".
Nei diversi contesti territoriali, "il tema della continuità assistenziale - osserva Palumbo - deve trovare modelli organizzativi concreti che ne garantiscano l'implementazione nei processi che connettono i vari attori e servizi. La transizione clinica e assistenziale in epilessia, dall'età giovanile all'età adulta, la stiamo realizzando attraverso ambulatori congiunti tra neuropsichiatri infantili e neurologi dell'adulto. Nei casi più complessi c’è una presenza congiunta, nei pazienti con problematiche minori invece uno scambio di informazioni e un passaggio di consegne".
La diagnosi rappresenta spesso un vero e proprio ‘dramma esistenziale’ per le famiglie, con impatto profondo sulla vita personale, relazionale e sociale. Il carico associato alle DEEs è estremamente elevato: stress emotivo e psicologico dei caregiver; rilevanti costi diretti e indiretti; perdita o riduzione dell’attività lavorativa dei familiari; forti disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi, che ampliano le difficoltà quotidiane.
Le associazioni di pazienti svolgono un ruolo fondamentale per portare alla luce questi bisogni e colmare il divario tra salute e servizi sociali, come evidenzia Gabriele Segalini, presidente Gruppo Famiglie Dravet Aps: "Le famiglie che vivono con una malattia rara, ed in particolare con un’encefalopatia epilettica di sviluppo, hanno bisogni ancora non soddisfatti e le associazioni spesso fanno da ponte tra assistenza sanitaria e supporto sociale. Il coinvolgimento attivo delle associazioni di pazienti deve avvenire fin dall'inizio del processo decisionale ed è fondamentale per trasformare le strategie regionali in soluzioni operative concrete e replicabili. Inoltre, le associazioni dovrebbero avere il ruolo di monitorare l'attuazione delle normative applicate e la ricaduta sui pazienti. Solo attraverso la collaborazione tra istituzioni, operatori sanitari e associazioni - conclude - possiamo superare le disuguaglianze territoriali e garantire una presa in carico integrata e uniforme su tutto il territorio nazionale".
Segnalato per la cura dei disturbi al sistema nervoso... 
Federica Pellegrini in ospedale con la figlia Matilda. La bambina, che compirà 2 anni a gennaio 2026, come spiega l'ex nuotatrice ha avuto convulsioni febbrili. "Caro diario… Quando succedono queste cose capisci che il resto è tutto superfluo…. E' la terza volta che capita e ogni volta è perdere anni e anni di vita in spaventi!!", scrive Pellegrini su Instagram.
"Convulsioni febbrili, le si alza la temperatura velocemente, questa volta stava dormendo quindi non abbiamo messo la Tachipirina subito e dopo un minuto è andata in blocco…. Occhi in su, testa indietro e respiro che pian piano si fermava... L'abbiamo ridestata dopo pochissimo (ma mi è sembrata una vita) con un asciugamano bagnato, cercando di abbassare la temperatura", racconta Pellegrini descrivendo l'emergenza.
"Mia mamma le ha cantato tutte le canzoncine che sapeva in direzione ospedale per tenerla sveglia ed eccoci qui... da ieri... E' arrivato il Pappo diretto dalla Polonia di corsa e siamo qui per lei... aspettando di tornare a casa. E appena starà meglio faremo tutti gli accertamenti del caso ovviamente. E speriamo non capiti più cuore mio", conclude.
Sfida ai turchi dell'Aliga Petkmspor mercoledì 10 alle 20.30 al
PalaSerradimigni... 
Da obbligo a strumento di customer care ad alto valore aggiunto. Il settore del corporate gifting e gift marketing non è più una nicchia: nel 2023 ha raggiunto un valore mondiale stimato in 765 miliardi di dollari e, secondo le previsioni, supererà i 920 miliardi entro il 2025, con una crescita costante che porterà la spesa a oltre un trilione entro fine decennio. Un dato che racconta innanzitutto una trasformazione culturale. Sempre più aziende non considerano più il regalo come un gesto dovuto o di cortesia, ma come uno vero e proprio strumento strategico per fidelizzare clienti, rafforzare le relazioni e differenziarsi. A confermarlo sono anche i dati sull’impatto dei doni aziendali ben calibrati.
Secondo le ricerche, l’80% delle aziende ritiene che i regali aziendali abbiano un impatto positivo nel rafforzare le relazioni con clienti e dipendenti. Non solo: queste iniziative contribuiscono ad aumentare la fidelizzazione dei clienti del 43%, mentre oltre la metà delle imprese (52%) registra un incremento delle vendite dopo l’introduzione di programmi strutturati di gifting.
A conferma del valore strategico del dono, il 65% delle aziende dichiara di ottenere un ritorno positivo dagli investimenti in questo ambito e il 55% dei destinatari manifesta un maggiore coinvolgimento nei confronti del brand mittente. Giuseppe Carlucci, co-founder di QuBox, spiega che “i classici regali aziendali, su tutti il cesto gastronomico, sono ormai estremamente inflazionati e hanno perso gran parte della loro efficacia. Sono così diffusi e standardizzati, soprattutto tra imprenditori e manager, da rendere impossibile distinguersi e farsi ricordare”.
Da questa riflessione nasce QuBox, realtà italiana interamente dedicato al gift marketing esperienziale con focus esclusivo sul settore premium, le cui esigenze non sono spesso soddisfatte dai regali aziendali convenzionali. Fondata a Matera, l’impresa si rivolge proprio ad aziende medio-grandi e professionisti di settori ad alto valore aggiunto (come consulenza, finanza, tecnologia, real estate e servizi premium) che desiderano distinguersi attraverso regali aziendali esclusivi. L’obiettivo? Interpretare il regalo aziendale come un investimento strategico per fidelizzare clienti, stimolare passaparola e rafforzare l’immagine del brand.
“Oggi più che mai - osserva Carlucci - è fondamentale per un brand considerare i doni aziendali come uno strumento di relazione, fidelizzazione, referral, riattivazione e branding. Ogni regalo aziendale può diventare uno strumento unico per amplificare l’identità del brand e sorprendere il destinatario dimostrandogli cura ed attenzione. Un risultato possibile grazie alla personalizzazione del packaging (sostenibile, design sartoriale e cura dei dettagli come nastri, sigilli, tag, lettere) e dei prodotti. Non solo la classica gastronomia, ma un equilibrio tra gusto, oggetti funzionali e di design, il tutto all’insegna della massima coerenza con l’identità del brand e della massima attenzione verso il destinatario”.

Uno studio pubblicato di recente su 'Scientific Reports' ribalta una delle domande più affascinanti dell'evoluzione umana: perché i Neanderthal sono scomparsi? La risposta, secondo un modello matematico sviluppato da un team internazionale guidato da Andrea Amadei, del Dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche dell'università di Roma Tor Vergata, potrebbe essere molto più semplice di quanto abbiamo immaginato: i Neanderthal non sarebbero del tutto scomparsi, ma "assorbiti" geneticamente da Homo sapiens. Per decenni il dibattito scientifico ha oscillato tra ipotesi radicalmente diverse: cali demografici improvvisi, mutamenti climatici, competizione oppure parziale assimilazione.
Questa nuova ricerca che - informa una nota - vede il contributo di Giulia Lin dell'Istituto svizzero di scienze e tecnologie acquatiche, e di Simone Fattorini dell'università dell'Aquila, propone una chiave di lettura basata su un processo evolutivo di lungo periodo, guidato da piccoli flussi migratori ripetuti nel tempo, attraverso cui il patrimonio genetico di una popolazione più numerosa avrebbe progressivamente sopravanzato quello dell'altra. Secondo il modello, continue ma modeste immigrazioni di Homo sapiens in territori abitati dai Neanderthal, protrattesi per 10.000-30.000 anni, avrebbero prodotto un rimescolamento genetico progressivo, sufficiente da solo a spiegare la quasi completa sostituzione del loro patrimonio genetico. Non servono vantaggi evolutivi schiaccianti, né estinzioni improvvise: basta il tempo.
"Il nostro modello - spiega Andrea Amadei - mostra che un flusso genetico costante da una popolazione più ampia può aver determinato l'assorbimento dei Neanderthal nel pool genetico di Homo sapiens, senza invocare scenari catastrofici. Questo processo è pienamente compatibile con ciò che sappiamo dalle evidenze archeologiche e genetiche. Sebbene anche altri fattori possono aver contribuito al declino dei Neanderthal, questo modello mette in evidenza che il mescolamento genetico e la conseguente diluizione dei geni possano essere un possibile meccanismo chiave della loro scomparsa".
Le ricerche di paleogenetica degli ultimi anni hanno documentato numerosi episodi di ibridazione e introgressione tra le due specie: un intreccio ripetuto, fatto di incontri, scambi e convivenze, che ha lasciato una traccia ancora visibile. La presenza di Dna neanderthaliano nelle popolazioni moderne dell'Eurasia conferma questa eredità profonda. Lo studio suggerisce quindi che la fine dei Neanderthal potrebbe non essere stata una scomparsa, ma una trasformazione: una graduale integrazione genetica nella specie che avrebbe poi popolato il pianeta. Un'eredità che, silenziosamente, continua a vivere dentro ciascuno di noi.
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