(Adnkronos) - Dal prossimo 14 luglio David Tommaso entrerà in Network Holding Spa con il ruolo di general manager amusement parks per dirigere le attività e lo sviluppo di Cinecittà World, il parco divertimenti del cinema e della TV di Roma, Roma World, il parco tematico dell’antica Roma, il parco acquatico Aqua World e lo storico Luneur Park. “Siamo lieti di dare il benvenuto a David Tommaso nel nostro team - dichiara Antonio Abete, presidente e ad Cinecittà World Spa - la sua consolidata esperienza rappresenta un valore aggiunto per lo sviluppo dei nostri parchi”.
Professionista nel settore dell’intrattenimento, Tommaso ha sviluppato un’esperienza estesa nei parchi divertimento e acquatici contribuendo alla loro crescita come direttore marketing e vendite a Leolandia e prima ancora a Zoomarine. A salutare il passaggio a questo nuovo incarico anche Giuseppe Ira, presidente di Leolandia: “Ringrazio David Tommaso per l’ottimo lavoro svolto in questi anni e gli porgo i miei migliori auguri per questa nuova esperienza professionale”.
Tommaso ha anche ricoperto ruoli di rilievo in diversi modelli di business nell’entertainment, tra cui direttore commerciale in Blockbuster, direttore vendite in Paramount H.E e sales director in Universal Pictures. “Sono davvero felice e grato per questa opportunità – commenta Tommaso - ci impegneremo per arricchire l’esperienza dei parchi offrendo contenuti e servizi che possano sostenere il loro posizionamento distintivo e proseguire il processo di crescita”.
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(Adnkronos) - "Ho organizzato una sessione intitolata 'Neurology & War'. Non pensavo avrei mai dovuto farlo. Il tema della neurologia della guerra è oggi più che mai rilevante per i nuovi tipi di armi e le problematiche sanitarie legate ai conflitti vicini. Abbiamo colto profondamente la fragilità e l'incertezza che non toccano solo i pazienti, ma anche i giovani medici che vivono in un'epoca complessa. Oggi vicino a noi abbiamo 3 guerre: quella russo-ucraina, quella azerbaijano-armena e quella israelo-palestinese-iraniana. Solo 5-6 anni fa non eravamo nemmeno pronti a parlare di guerra". Così Matilde Leonardi, Chair del Communication Committee dell'European Academy of Neurology (Ean) e membro del board della Società italiana di neurologia (Sin), parlando con l'Adnkronos Salute dei temi all'attenzione degli specialisti all'11esimo Congresso Ean in corso a Helsinki.
"La guerra cambia tutto. Cambia la salute pubblica, cambia la percezione della fragilità, e cambia il nostro modo di ragionare sulla brain health", la salute del cervello, sottolinea Leonardi. "I 450 milioni di cittadini europei - osserva - si sentono più fragili". Inoltre, in questo tempo, "i nostri pazienti cronici fanno più fatica ad accedere alle cure, abbiamo meno medici, ci sono flussi migratori, carenze di specialisti. E' un problema di tutti, non solo italiano. Ne abbiamo discusso anche con colleghi americani in un incontro bilaterale".
In questo contesto, suggerisce Leonardi, "crediamo sia fondamentale puntare su due cose: da un lato sull'empowerment delle persone attraverso la prevenzione - tema impensabile fino a 10 anni fa in neurologia - e dall'altro sull'organizzazione strutturata della rete di cura. Nel caso dello stroke abbiamo dimostrato che si può prevenire attraverso una sana alimentazione, il controllo della pressione, la riduzione del colesterolo. Ma abbiamo anche visto che, aprendo le Stroke unit, in Italia abbiamo ridotto del 39% la disabilità da ictus. Questo vuol dire che prevenzione e presa in carico precoce funzionano".
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(Adnkronos) - "La prevenzione non guarisce, ma riduce i giorni in cui si devono assumere i farmaci sintomatici, quindi la disabilità, l'intensità dell'attacco. Questo migliora la qualità della vita e riduce la progressione della malattia". Lo ha detto Henrik Winther Schytz, consultant in neurology and associate professor at the Danish Headache Center at the Department of Neurology, Rigshospitalet, Copenhagen, primo ricercatore dello studio Resolution i cui risultati, presentati oggi a Helsinki nel corso dell'11esimo Congresso Ean - European Academy of Neurology, hanno dimostrato l'efficacia di un intervento educativo e dell'impiego di eptinezumab (un anti-Cgrp) in pazienti con emicrania cronica e cefalea da uso eccessivo di farmaci (Medication-overuse headache, Moh).
"L'emicrania - continua l'esperto - si può trattare con approcci non farmacologici, come cambiamenti nello stile di vita, trattamenti sintomatici, al momento dell'attacco, ma anche con la prevenzione. Il problema è che il paziente vive nell'ansia, nella paura che, se non prende il farmaco, si ripresenti l'emicrania, per questo serve un approccio educazionale. Nello studio Resolution il placebo ha dato dei miglioramenti, ma l'uso del farmaco ha dato risultati clinicamente significativi nella riduzione dei giorni di emicrania da 11 giorni senza analgesici, rispetto ai 7-8 del placebo. Del resto, gli studi dimostrano che anche l'iniezione di Cgrp causa un attacco di emicrania anche in chi è sano. La disponibilità di farmaci che bloccano questo peptide riduce i giorni e intensità del sintomo, ma questi farmaci vengono introdotti tardi, quando il paziente ha già la forma cronica indotta anche da farmaci come triptani e altri analgesici, per 8-9 giorni al mese, questo è il limite".
Anche i risultati dello studio registrativo di fase 3 Sunrise, per valutare l'efficacia e la sicurezza di eptinezumab rispetto al placebo in una popolazione prevalentemente asiatica affetta da emicrania cronica e presentati contestualmente al congresso, confermano che l'anticorpo monoclonale riduce in modo statisticamente significativo il numero medio di giorni mensili con emicrania (Mmn) rispetto al placebo. I pazienti trattati avevano infatti 4 volte più probabilità di ottenere una riduzione del 75% o maggiore dei giorni mensili con emicrania nelle prime 4 settimane, rispetto al placebo, con miglioramenti osservabili già dal primo giorno e mantenuti fino alla dodicesima settimana.
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(Adnkronos) - "Una reazione simbolica" con un attacco contro una base americana nella regione, come quello del gennaio del 2020 condotto dai Pasdaran per 'vendicare' l'uccisione a Baghdad del generale Qasem Soleimani, il comandante della Forza Quds che aveva ridisegnato la presenza militare iraniana nella regione attraverso i proxies. E' lo scenario 'migliore' di una rappresaglia all'attacco americano contro i siti nucleari iraniani, mentre Teheran valuta diverse opzioni. "Un attacco del genere, con il lancio di missili che, auspicabilmente, farebbero danni ma non vittime, come fu cinque anni fa contro due basi americane in Iraq, sarebbe lo scenario ideale - dicono all'Adnkronos fonti informate - perché consentirebbe al regime di vendersi con la popolazione la rappresaglia contro gli Stati Uniti, mentre si riprende a negoziare".
Al di là di questa opzione 'ideale', c'è quella che l'Iran colpisca in modo più duro gli obiettivi degli Stati Uniti nella regione, dove ha un totale di 19 siti militari, di cui otto permanenti. I Pasdaran hanno minacciato di "ridurre in cenere" le basi americane e di colpire le navi e potrebbero farlo con missili a corto raggio e droni di cui ancora dispongono in abbondanza, a differenza dei missili balistici. Ma gli Stati Uniti intanto hanno rafforzato le difese aeree intorno ai loro dispositivi e 'disperso' la presenza navale, avvertendo in particolare che, in caso di rappresaglia iraniana, l'obiettivo dei caccia americani diventerebbe l'ayatollah Ali Khamanei, ricorda il Guardian.
C'è poi la possibilità che Teheran ricorra all'Asse della resistenza, sempre più debole però: gli Hezbollah libanesi, le cui capacità sono decimate, gli Houthi yemeniti, che a maggio hanno concordato un cessate il fuoco con gli Stati Uniti, o le milizie irachene. Queste ultime, per la maggior parte "ormai istituzionalizzate", sono quelle che più di tutte, negli ultimi mesi, si sono tenute lontane dal conflitto, nonostante la minaccia nei giorni scorsi di uno dei leader di Kata'ib Hezbollah, Abu Ali al-Askari, secondo cui le basi statunitensi nella regione "diventeranno simili a zone di caccia alle anatre".
"L'eventuale reazione delle milizie è un'incognita. Sono in attesa di ordini da Teheran, ma certo avrebbero tutto da perdere nel caso di un loro intervento, perché gli Stati Uniti colpirebbero duro appena alzassero la testa", spiegano le fonti. Convinte che in effetti le opzioni per Teheran siano abbastanza limitate e piene di rischi. Come quella di bloccare la navigazione nello Stretto di Hormuz, minando il canale, sequestrando le navi e conducendo cyberattacchi. Ma anche questa ipotesi porta con sé tutta una serie di effetti 'autolesionistici' per l'Iran, che usa quel passaggio per le sue esportazioni di petrolio, in particolare alla Cina.
Le prossime ore potrebbero essere le più critiche, come dicono a Nbc News due fonti della difesa americana e un funzionario della Casa Bianca. La stessa emittente rivela che nei giorni prima dell'ordine finale dato da Trump, l'Iran ha inviato un messaggio privato al presidente avvertendolo che avrebbero risposto a un eventuale attacco attivando cellule terroristiche dormienti per condurre attacchi terroristici su suolo americano. E l'avvertimento sarebbe stato trasmesso a Trump attraverso un intermediario durante il G7 in Canada, che il presidente aveva lasciato anticipatamente.
Teheran, infine, potrebbe anche decidere di servire la sua vendetta a freddo, in un momento successivo, come farebbero intendere le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Abbas Araghchi, che ha parlato di "conseguenze eterne" per l'attacco americano al suo Paese. Nessuna reazione contro gli Stati Uniti, nella consapevolezza di non avere la forza di sostenere un confronto con gli americani, mentre continua a colpire Israele.
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(Adnkronos) - “In un contesto socioeconomico come quello attuale, caratterizzato dal calo del valore delle pensioni, dall'invecchiamento della popolazione e dalla riduzione della copertura del sistema sanitario nazionale, le imprese sono chiamate a svolgere un ruolo sociale sempre più importante, andando a colmare alcune lacune del sistema statale. La nostra indagine conferma una chiara trasformazione sociale. Quasi un lavoratore su due si aspetta che il proprio datore di lavoro intervenga su pensioni e sanità". E' quanto spiega Pierre Cordier, amministratore delegato e direttore generale di Groupama Assicurazioni.
“Questo significa che il welfare aziendale sta diventando una risposta concreta ai bisogni che il sistema pubblico non riesce più a coprire del tutto. Allo stesso tempo, è una leva strategica fondamentale per le aziende, per attrarre e mantenere i talenti migliori e per la competitività", continua. “Secondo l'analisi sui lavoratori dipendenti fatta dall'Osservatorio, meno di 4 italiani su 10 hanno -continua- una copertura pensionistica integrativa o una copertura sanitaria, nonostante due terzi degli intervistati giudichino inadeguato il sistema sanitario nazionale. Il welfare aziendale diventa così leva strategica per la competitività e l’attrazione di talenti: 8 lavoratori su 10 considerano il pacchetto welfare un elemento chiave nella scelta di un nuovo impiego”.
Groupama risponde a questa trasformazione con un’offerta dedicata alle imprese italiane e costruita attorno ai bisogni reali: “Nell’offerta 'Welfare aziende' includiamo Benessere impresa per la gestione dei piani sanitari e Programma Open per la previdenza complementare. Un modello – conclude Cordier – vantaggioso per tutti: le aziende con una valida offerta welfare riescono a tutelare i loro dipendenti e a mettere al sicuro le loro famiglie, diventando al tempo stesso più attraenti per i nuovi talenti. E anche noi assicuratori possiamo svolgere fino in fondo il nostro ruolo sociale, integrando le prestazioni offerte dal sistema pubblico e contribuendo alla resilienza della società nel suo complesso di fronte alle sfide della contemporaneità", conclude.
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(Adnkronos) - Il concetto di welfare sta vivendo una profonda trasformazione, e a guidarla sono le stesse persone che ne sono protagoniste. È quanto emerge dall’analisi dell’economista Luciano Canova, che commenta i risultati di una recente indagine condotta da Groupama sul futuro del welfare aziendale.
“Il benessere oggi è un fiore a più petali: lo stipendio resta importante, ma previdenza, salute e qualità della vita sono sempre più centrali. Le persone cercano soluzioni che integrino il welfare pubblico, non che lo sostituiscano”, spiega Canova, sottolineando come questo approccio apra nuove opportunità: “In un universo come quello italiano, in cui l'idea predominante è quella di piccola e media impresa, c'è spazio per inserirsi in questo mercato come datore di lavoro in un patto sociale che crea fiducia tra datore di lavoro e lavoratori e integra i servizi di welfare per una qualità della vita alta e una visione della vita completa”, prosegue.
Al centro della riflessione dell’economista, anche il concetto di "economia dell’ottimismo" per “abituarci ad avere una visione complessa della realtà. Perché è chiaro che esistono delle notizie critiche e negative. Gli elementi che emergono dalla ricerca di Groupama ci dicono che le persone sono preoccupate rispetto alle esigenze che avranno con riferimento a sanità e previdenza. Tuttavia, rappresentano anche uno spazio per costruire fiducia tra impresa e lavoratori e progettare servizi che generano valore condiviso”. Secondo Canova, l’indagine dimostra anche una “maggiore consapevolezza economico-finanziaria da parte di lavoratori e lavoratrici, capaci oggi di guardare con lungimiranza al proprio futuro. È un cambio di mentalità importante – osserva – e rappresenta un’occasione per costruire un welfare integrato e più umano, dove l’impresa non è solo datore di lavoro, ma parte di una comunità di valore”.
Infine, l’economista invita a leggere “l'aspettativa di vita che aumenta” come “un dato positivo”, una popolazione che invecchia è anche una popolazione che vive più a lungo e meglio. Nasce così la 'Silver economy', con nuove domande di benessere, cultura, viaggio, intrattenimento. Ed è proprio qui che un “welfare aziendale moderno può fare la differenza nel garantire sicurezza, serenità e qualità della vita alle persone, anche dopo i 50 e i 65 anni".
(Adnkronos) - "Siamo fortemente orientati alla Ricerca & Sviluppo e l'Italia è un Paese con importanti centri di ricerca con cui lavoriamo. Circa il 20–30% del fatturato viene reinvestito in R&S. Ciò dimostra il nostro forte impegno nello sviluppo di nuovi farmaci, che vogliamo portare avanti internamente con mille dei 6mila nostri collaboratori. Abbiamo una forte tradizione in psichiatria e siamo ancora impegnati in questo ambito. Tuttavia, ci rendiamo conto che è molto difficile trovare nuovi trattamenti per queste grandi popolazioni ed è per questo che ci stiamo spostando sempre di più verso le neuroscienze specialistiche. La prevenzione dell'emicrania e i neurologi specializzati che trattano questi pazienti rappresentano un esempio. Lo stesso vale per alcune delle forme più gravi della sindrome di Parkinson. E' in quest'ambito che le neuroscienze specialistiche rappresentano per noi un'area su cui puntare con decisione. Ci stiamo inoltre orientando verso le malattie neurologiche rare come risultato di un processo iniziato alcuni anni fa". Lo sottolinea Johannes Streffer, Senior Vp Global Clinical Development Lundbeck, all'Adnkronos Salute alla presentazione dei risultati degli studi Resolution e Sunrise presentati oggi a Helsinki, nel corso l'11esimo Congresso Ean - European Academy of Neurology, che hanno dimostrato l'efficacia di un intervento educativo e dell'impiego di eptinezumab (un anti-Cgrp) in pazienti con emicrania cronica e cefalea da uso eccessivo di farmaci (medication-overuse headache, Moh), in particolare, nel Sunrise, in popolazioni asiatiche.
"Comprendiamo le malattie neurologiche e psichiatriche sempre più da una prospettiva biologica - spiega Streffer - Il Cgrp, peptide correlato al gene della calcitonina, abbiamo visto essere rilevante per l'emicrania e qualcosa di simile avviene in altre patologie. In particolare, nelle malattie neurologiche rare conosciamo spesso molto bene il meccanismo alla base. Ciò significa che possiamo sviluppare terapie molto mirate per un gruppo specifico di pazienti. Non si tratta di cercare piccoli numeri, ma gruppi ben definiti di pazienti, e questo è il motivo per cui stiamo entrando sempre più nel campo delle malattie neurologiche rare. Questo non significa che non collaboriamo anche con altre aziende. Per esempio, alla fine dello scorso anno abbiamo acquisito la biotech Longboard Pharmaceuticals per portare un nuovo farmaco nella pipeline. Eptinezumab, ad esempio, è stato sviluppato esternamente e poi acquisito da noi. Al contrario, un altro farmaco contro il dolore (anti-Pacap) lo stiamo sviluppando internamente a Lundbeck. Abbiamo 25 trattamenti già commercializzati e 12 studi clinici in corso, con un numero crescente di trial clinici, concentrandoci sempre più sullo sviluppo clinico. Attualmente, il 90% della nostra pipeline è focalizzato su neuro-specialità e malattie neurologiche rare".
A tale proposito, "abbiamo diversi programmi in fase avanzata - illustra Streffer - Abbiamo un forte impegno nella prevenzione dell'emicrania, con eptinezumab e anche con il nuovo farmaco anti-Pacap" (polipeptide attivante l'adenilato ciclasi pituitaria) che è stato presentato all'Ean. "Non sappiamo ancora con certezza se funzionerà, ma crediamo che rappresenti un nuovo meccanismo promettente e vogliamo verificarne l'impatto. Abbiamo poi trattamenti neuro-ormonali, ad esempio per l'iperplasia surrenale congenita e la malattia di Cushing - prosegue - Lavoriamo anche a un progetto per il disturbo da stress post-traumatico (Ptsd), su cui avremo un incontro con la Fda a luglio. Abbiamo recentemente acquisito un farmaco per le encefalopatie epilettiche dello sviluppo, ora in fase 3, e stiamo proseguendo con altri partner in ambito neurologico. Stiamo inoltre lavorando a un anticorpo anti-alfa-sinucleina per l'atrofia multisistemica (Msa), che agisce contro l'aggregazione patologica nel cervello di questa proteina. Si tratta di una malattia neurodegenerativa molto progressiva: abbiamo avviato la fase 3. Inoltre, ci stiamo concentrando su neuroimmunologia e neuroinfiammazione, riconoscendo che molte patologie neurologiche includono caratteristiche infiammatorie. Pensiamo che questo approccio possa avere un grande impatto terapeutico".
"Siamo molto ottimisti rispetto alla forza della nostra pipeline - conclude Streffer - Potrebbe portare a 4 programmi in fase 3 già nel prossimo anno, e ci consentirebbe di rinnovare il nostro portafoglio puntando su neuro-specialità e malattie neurologiche rare".
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(Adnkronos) - "L'emicrania si può prevenire, ma richiede un cambio di mentalità: tutti pensiamo di prendere i farmaci quando abbiamo il sintomo, il dolore, ma per l'emicrania ci vuole un altro approccio, anche perché l'assunzione eccessiva di analgesici peggiora il quadro clinico". Così Patricia Pozo-Rosich, Head of Section of the Neurology Department, Director of Headache and Craniofacial Pain Clinical Unit and the Migraine Adaptive Brain Center at the Vall d'Hebron University Hospital, Barcelona, commenta all'Adnkronos Salute i risultati dello studio Resolution, presentati oggi a Helsinki all'11esimo Congresso dell'European Academy of Neurology (Ean), che evidenziano l'efficacia di un intervento educativo e dell'impiego di eptinezumab in pazienti con emicrania cronica e cefalea da uso eccessivo di farmaci (Medication-overuse headache, Moh).
"L'emicrania, a differenza del diabete o dell'ipertensione - osserva Pozo-Rosich - non è conosciuta e considerata nella sua complessità, eppure è una malattia che impatta fortemente sulla salute pubblica. Per questo l'educazione alla salute del cervello dovrebbe cominciare alle scuole medie. Dobbiamo lavorare sulla prevenzione perché con 3 giorni di emicrania al mese aumenta l'ansia che si possa ripresentare, e con 15 giorni di emicrania al mese c'è depressione - rimarca - L'emicrania interessa più di 1 miliardo di persone al mondo e inizia a manifestarsi nell'adolescenza, anche nei bambini. C'è una componente ormonale, ma la questione importante è che se l'attacco acuto non viene trattato adeguatamente un po' alla volta la patologia peggiora, e da 3-4 giorni di sintomi si passa a 15 o più giorni al mese, innescando una serie di altri disturbi come depressione, ansia, obesità, disturbi del sonno, oltre ad aumentare il rischio cardiovascolare, dolore cronico e disordini respiratori come l'asma. Il tutto senza considerare l'impatto sulla qualità di vita e sui progetti lavorativi o familiari".
In Spagna "stiamo cercando di avviare programmi nelle scuole - spiega l'esperta - Si parla molto di educazione affettiva, ma dovremmo davvero rafforzare l'educazione alla salute e, in particolare, quella sul cervello, perché il cervello è chi sei tu. Il rischio di soffrire di questa malattia non è basso: 1 donna su 5 e 1 uomo su 10, praticamente in ogni classe delle scuole medie ci sono 4-5 ragazze e 2-3 ragazzi che svilupperanno l'emicrania. Per questo - rimarca - bisogna educare i ragazzi alla salute del cervello e un po' alla gestione del dolore, che significa prendersi cura di sé e capire che sapersi gestire oggi permette di essere liberi domani".
"Quando poi si hanno 20 o 30 anni - continua Pozo-Rosich - l'emicrania può davvero manifestarsi in modo importante. Allora serve un'educazione specifica su come affrontarla, perché non è intuitivo. Non è naturale. E quando si hanno 40 anni, l'emicrania è al suo picco di disabilità e colpisce molto più le donne. A quel punto, oltre all'educazione, si possono aggiungere interventi come la psicoterapia. Perché è difficile accettare di avere una malattia cronica. Non lo vuoi. Sembra sempre che potrai gestirla da solo, ma non è così. E accettarlo richiede supporto professionale, anche psicologico. Infine, serve anche awareness, cioè educazione della popolazione. Sogno il giorno in cui non dovrò più spiegare cos'è l'emicrania. Nessuno - evidenzia l'esperta - spiega cos'è il diabete: tutti sanno che c'entra la glicemia, l'insulina, l'alimentazione, l'esercizio. Anche per l'ipertensione. Ma con l'emicrania ogni volta bisogna spiegare tutto, perché è complessa, ma anche perché non c'è abbastanza informazione pubblica".
Sui campanelli d'allarme da considerare, Pozo-Rosich non ha dubbi. "I figli vanno ascoltati - raccomanda - Questa è una malattia molto ereditaria. Se tu genitore hai l'emicrania, e tuo figlio lamenta mal di testa, probabilmente non ti sta imitando o prendendo in giro. La mia raccomandazione è di portalo da un buon medico. Ci sono bambini con emicrania già a 2, 4, 6, 7 anni. Ma in generale il grosso aumento di incidenza si verifica tra i 12 e i 14 anni. Sono gli anni in cui il cervello si sviluppa di più: ogni stimolo, positivo o negativo, ha un grande impatto sullo sviluppo cerebrale. Se non mangi, ad esempio, non mielinizzi bene il sistema nervoso. Anche l'emicrania può influenzarne negativamente lo sviluppo, se trascurata. E questo può predisporre a una cronicizzazione”.
Certo servirebbe un maggiore coinvolgimento anche del pediatra e del medico di medicina generale che "sono spesso i primi a dire che 'non è niente' - rileva l'esperta - In Spagna stiamo cercando di creare un consensus tra medicina generale e specialisti sul percorso del paziente. La buona notizia è che c'è più consapevolezza rispetto a 25 anni fa. Ma c'è un problema: non esiste un biomarcatore e il sistema non incentiva la diagnosi. In Spagna, ad esempio, i medici di base sono incentivati a misurare il colesterolo e la glicemia, rispettivamente per ipertensione e diabete; per l'emicrania non abbiamo un marcatore da misurare, ma la cefalea vale la metà dei costi di tutte le malattie neurologiche: in Europa è la patologia con l'impatto economico maggiore. Dobbiamo investire in ricerca - conclude - ma anche in formazione dei cittadini, a partire dai più piccoli".
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(Adnkronos) - Il traguardo della pensione, ancora oggi, nel nostro Paese, sembra sempre più un miraggio. Almeno stando all’Osservatorio ‘Change Lab, Italia 2030’ , realizzato per il quinto anno consecutivo da Groupama Assicurazioni - prima filiale del Gruppo francese Groupama e tra i più importanti player del settore assicurativo in Italia - in collaborazione con l’istituto di ricerca Bva Doxa per indagare i principali trend che entro il 2030 cambieranno le abitudini di vita delle persone. Quest’anno l’Osservatorio ha analizzato lo stato dell’arte del welfare attraverso il percepito degli italiani, con un focus specifico sulle piccole e medie imprese (pmi), i cui dipendenti sono stati coinvolti nella survey.
Ne emerge che per oltre 6 italiani su 10, la futura pensione sarà insufficiente, al punto di dover fare affidamento su altre fonti di reddito (per il 63%), o da non poter smettere di lavorare (17%); mentre i più giovani (il 15% degli under 35) pensano che per loro il loro momento di andare in pensione non arriverà mai. Una sfiducia che trova eco in uno Stato sempre meno di prossimità, in cui se da una parte la sanità pubblica è al primo posto tra i servizi che gli italiani si aspettano, dall’altra questa è la più disattesa (solo 1 italiano su 4 la sente garantita).
Guardando al quadro generale, quasi la metà (44%) degli italiani boccia i servizi statali: a fronte di un’aspettativa di un sistema sanitario accessibile, efficiente e rapido (69%), pensioni adeguate (47%) e servizi di welfare di prossimità (36%), emergono forti attriti tra desideri e realtà. Pagelle nere, dunque, per il settore pubblico, a cui fanno da contraltare ottime prospettive per il welfare privato: circa 4 italiani su 10 godono di una copertura sanitaria (41%) e di pensioni integrative (38%), come parte dell’offerta fornita dal proprio datore di lavoro. Il risultato? Grande soddisfazione nei lavoratori dipendenti che hanno un pacchetto welfare aziendale (46%) tanto che 8 su 10 (82%) lo ritengono un fattore importante nella scelta di un nuovo lavoro.
Anche guardando ai prossimi 10 anni, lo scenario non si discosta dalla fotografia attuale: solo il 9% degli italiani si dice fiducioso che lo Stato riuscirà a garantire tutti i servizi essenziali. La maggior parte dei nostri connazionali, invece, ritiene che solo una parte dei servizi sarà garantita (55%) e che sarà necessaria una collaborazione con il settore privato (27%), o che lo Stato non avrà le risorse necessarie e pertanto saranno le aziende a colmare le lacune tramite welfare aziendale (30%), o ancora che si dovrà fare affidamento su risorse individuali (25%).
"L'indagine realizzata conferma come, in un contesto socioeconomico come quello attuale, in cui si abbassa il valore delle pensioni, aumenta l'invecchiamento della popolazione e cala la copertura del sistema sanitario nazionale, le imprese sono chiamate a svolgere un ruolo sociale, a ‘sostituirsi’ allo Stato, colmando alcune lacune del sistema di welfare pubblico e offrendo ai propri dipendenti un supporto concreto in ambiti cruciali come la salute e la previdenza. In questo scenario, il welfare aziendale si configura, per i dipendenti, come la risposta ai bisogni a cui lo Stato non riesce a far fronte e, per le aziende, come una leva strategica per attrarre e fidelizzare i talenti, attraverso uno strumento in grado di rispondere alle necessità emergenti dei lavoratori. In qualità di assicuratori, il nostro impegno è quello di accompagnare questa evoluzione sociale, facilitando la transizione verso un sistema integrato che sappia rispondere con efficacia alle nuove esigenze di tutela e benessere dei cittadini italiani", commenta Pierre Cordier, amministratore delegato e direttore generale di Groupama Assicurazioni.
“Il ‘welfare del futuro’ delineato da questa ricerca invita, in un’ottica di lungo periodo, alla fiducia e all’ottimismo. Le preoccupazioni emerse sono reali, ma rappresentano anche la mappa di ciò che possiamo migliorare. Immaginiamo Stato, imprese e cittadini non come corridori isolati su tapis roulant separati, ma come compagni di squadra che si passano il testimone lungo un percorso comune. Ognuno ha un ruolo: il settore pubblico crea il quadro di base, le aziende innovano e supportano, le persone partecipano attivamente alle scelte di benessere. Insieme possiamo trasformare la paura di ‘non farcela’ in energia per costruire nuove soluzioni. È un’economia dell’ottimismo in azione, in cui investire nel capitale sociale, nelle relazioni di fiducia, nella solidarietà, nella salute condivisa, produce dividendi preziosi: lavoratori più sereni, comunità più felici, crescita più sostenibile”, dichiara Luciano Canova, economista e divulgatore scientifico.
I dati dell'Osservatorio Groupama-Doxa mostrano un quadro preoccupante circa la fiducia degli italiani nei confronti del welfare statale. Secondo i nostri connazionali, lo Stato dovrebbe garantire: una sanità accessibile, efficiente e rapida (69%), pensioni adeguate a uno stile di vita dignitoso (47%), servizi di welfare di prossimità (36%), istruzione di qualità (34%), burocrazia snella (28%). Servizi essenziali che però nel percepito degli italiani sono assenti: 2/3 (67%) considerano l’attuale sistema sanitario pubblico inadeguato, mentre meno di 1 lavoratore su 10 (8%) ritiene l'importo della pensione sufficiente a mantenere l’attuale tenore di vita. Ancora più allarmante è che il 44% degli italiani ritiene che nessuno dei servizi essenziali sia oggi garantito dallo Stato. Tra le principali ragioni di sfiducia nel sistema pensionistico statale ci sono: l'incapacità del sistema di garantire una copertura sufficiente (55%), la crisi demografica con il progressivo invecchiamento della popolazione e la bassa natalità (45%), e l'erosione del potere d'acquisto causata dall'inflazione e dalle tensioni internazionali in atto (34%).
Numeri che portano il 18% dei lavoratori a pensare, una volta in pensione, di trasferirsi all’estero per avere agevolazioni che garantiscano un miglior tenore di vita. Tra i desideri da soddisfare durante il ‘buen retiro’: occuparsi dei bisogni della propria famiglia e dei propri cari (28%), viaggiare e vedere il mondo (23%), vivere in campagna (15%) e dedicarsi ai propri hobby (14%).
In questo scenario, a ridisegnare i confini del welfare del futuro sono proprio i lavoratori, che restituiscono un’immagine chiara di cosa si aspettano. Secondo i lavoratori dipendenti delle piccole e medie imprese intervistati, nei prossimi anni assisteremo a una progressiva integrazione tra welfare statale e aziendale (38%), con quest'ultimo destinato ad acquisire maggiore rilevanza (30%). Per il 20% degli intervistati si profila addirittura un futuro ‘azienda-centrico’, dove lo Stato avrà un ruolo marginale e le imprese diventeranno i principali fornitori di servizi e benefit per i propri dipendenti.
Oltre 8 lavoratori dipendenti su 10 (82%) considerano importante l’offerta di un valido pacchetto welfare ai fini della scelta di un cambio di lavoro e sono proprio loro a delineare cosa debba offrire il ‘pacchetto welfare’ ideale: assicurazione sanitaria integrativa per sé e per la famiglia (57%) e piano pensionistico complementare (56%) guidano la classifica dei benefit più desiderati, seguiti dai servizi di supporto familiare (33%) e dalle convenzioni per assicurare il benessere psicofisico (25%). Per oltre 3 su 10 (31%), inoltre, il pacchetto welfare aziendale del futuro sarà ‘à la carte’, con le aziende che offriranno un paniere di benefit tra cui scegliere, personalizzando l'offerta in base ai loro specifici bisogni.
L’indagine, infine, offre un focus sul mondo assicurativo, sempre sotto la lente dei lavoratori di piccole e medie imprese: una polizza integrativa per salute e/o previdenza incluso tra i benefit dall'azienda è ‘molto apprezzata’ da 1 italiano su 2 (48%), a cui si aggiunge un ulteriore 41% che la ritiene ‘abbastanza utile’ per avere una maggiore serenità. Il 21% degli intervistati l’ha attivata tramite l'azienda, il 10% ne ha una privata, mentre un altro 10% le ha entrambe. Per quanto riguarda la previdenza complementare, il 18% ha una forma di integrazione privata, il 10% tramite l'azienda e un altro 10% le ha entrambe. Numeri che mettono a fuoco anche un’Italia a due velocità: il 46% dei lavoratori che hanno un pacchetto welfare ne è soddisfatto, di contro, il 24% non possiede ancora forme di welfare.
“I dati del nostro Osservatorio mostrano con chiarezza quanto sia determinante l’impegno delle aziende italiane per il supporto ai bisogni delle persone. Oggi l’Istat ci dice che in Italia le pmi sono circa 4,9 milioni e costituiscono oltre il 96% delle imprese italiane. È soprattutto a questo bacino che ci rivolgiamo: circa 21 milioni di lavoratori impiegati in micro, piccole e medie imprese che, ad oggi, non beneficiano ancora di misure di welfare adeguate. Crediamo fermamente che sia qui che si gioca una partita cruciale per il futuro del benessere dei lavoratori e delle loro famiglie. Per questo l’approccio di Groupama Assicurazioni è di lavorare insieme al cliente azienda per identificare le soluzioni assicurative e di welfare più idonee per i propri dipendenti. Lo facciamo, tra l’altro, attraverso il prodotto Groupama Benessere Impresa per la gestione dei piani sanitari e con la soluzione Programma Open per la previdenza complementare. Si tratta di una situazione win-win: il nostro Osservatorio sulle pmi rivela che le aziende con un welfare competitivo non solo fidelizzano e tutelano dipendenti e famiglie, ma attraggono anche nuovi talenti. Non a caso, l'82% dei lavoratori indica un welfare più vantaggioso come fattore decisivo per un cambio di lavoro, talvolta anche rispetto a un guadagno maggiore”, conclude l’ad di Groupama Assicurazioni, Pierre Cordier.
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(Adnkronos) - Come affrontare le conseguenze dell'andamento della demografia? La scarsa natalità e l’invecchiamento della popolazione sono trend ormai consolidati. Per invertirli servono decenni. Intanto, è necessario investire per adeguare il mercato del lavoro e le pensioni, agire sul welfare, pubblico e aziendale, e fare leva su servizi adeguati e politiche sociali efficaci per costruire il futuro. Saranno i temi al centro dell'appuntamento con l'evento 'Demografia, un patto fra generazioni', per il ciclo di incontri Adnkronos Q&A, in programma il 24 giugno, a partire dalle 10 al Palazzo dell'Informazione.
I lavori saranno aperti dal direttore dell'Agenzia, Davide Desario, e moderati dal vicedirettore Fabio Insenga. Saranno presentati i risultati di un'indagine condotta sul sito e sui social Adnkronos rispetto alla percezione degli utenti delle proprie condizioni di vita e alle loro aspettative. Si confronteranno rappresentanti istituzionali, esponenti politici e delle parti sociali, manager di importanti aziende e figure di spicco del mondo accademico.
In rappresentanza del governo, un intervento del ministro del Lavoro e delle Politiche sociale Maria Elvira Calderone e le interviste con il viceministro al Lavoro e le Politiche sociali, Maria Teresa Bellucci, e il sottosegretario Claudio Durigon. A dare voce alla politica saranno anche Maria Cecilia Guerra (Pd) e Antonella Sberna (FdI). Per le parti sociali, saranno presenti Paolo Ghezzi, Direttore Generale InfoCamere; Daniela Barbaresi, Segretaria confederale Cgil; Sauro Rossi, Segretario confederale Cisl; Santo Biondo, Segretario confederale Uil; Rosalba La Fauci, Vicesegretario generale Confsal.
Discuteranno durante il panel 'L’invecchiamento della popolazione: la necessità di una programmazione', prima Paola Ansuini, Direttore Comunicazione - Tutela clientela e educazione finanziaria Banca d'Italia; Elisabetta Barbi, Professoressa di Demografia Università La Sapienza – Age-It; Guido Castelli, Commissario straordinario per la ricostruzione del sisma del 2016 e Chiara Mancini, Vicedirettore generale ABI e poi: Ramon Palou de Comasema, General manager Healthcare Merck; Fabio Landazabal, Presidente e AD GSK Italia; Ivo Tarantino, Direttore Corporate Affairs Sud Europa Haleon; Antonio De Poli, Responsabile Collettive e Fondi Pensione Generali Italia; Nadia Vavassori, Responsabile fondi pensione aperti Amundi SGR.
Un altro panel, 'Il welfare e le strategie aziendali', vedrà protagonisti: Rino Agostiniani, Presidente SIP - Società Italiana di Pediatria; Filippo Breccia Fratadocchi, Vicepresidente Nuova Collaborazione; Ester Dini, Responsabile ufficio studi Fondazione Studi Consulenti del Lavoro; Antonio Fazzari, General Manager Fater; Manuela Giusti, Direttrice People Relations & Compensation Wind Tre; Laura Anzideo, Coordinatrice Sfida Prima Infanzia Fondazione Cariplo; Elena Garda, Employer Branding, Welfare & ESG Manager Eidosmedia.
Qui il link per la registrazione e la partecipazione.
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(Adnkronos) - "La Russia combatte per il proprio futuro, i soldati impegnati dell'Operazione speciale in Ucraina sono eroi. La Nato inventa la minaccia di un'invasione russa in Europa". Vladimir Putin si esprime così nella giornata in cui, tra l'altro, il presidente russo incontra il ministero degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. "Contro l'Iran c'è stata una aggressione assolutamente non provocata. Priva di basi o giustificazioni", dice Putin, che si sofferma poi ampiamente sul rapporto tra Russia e Europa.
"La Nato sta provocando una militarizzazione globale e una corsa agli armamenti. La leadership dell'alleanza continua a ripetere che c'è una sorta di minaccia da parte della Russia, con una possibile invasione da parte nostra: è un'invenzione", dice, prima di un annuncio che - in realtà - somiglia ad una minaccia: al via la produzione in serie del missile Oreshnik, arma introdotta alla fine dello scorso anno nella guerra con l'Ucraina e in grado, secondo Mosca, di colpire qualsiasi città europea senza possibilità di intervento per le difese.
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(Adnkronos) - “E’ stato il periodo più brutto della mia vita, come vittima ho subito queste violenze e ho dovuto rinunciare a quello che era il mio mondo, ho dovuto abbandonare l’Italia e andare a studiare all’estero. Ancora oggi non dormo la notte”. Lo ha detto in aula in tribunale a Roma l’ex fidanzata di Andreas Sargent Larsen, il tuffatore azzurro finito a processo per stalking.
Davanti al giudice monocratico la ragazza, minorenne al tempo dei fatti, ha riferito dei continui messaggi che riceveva dall’allora fidanzato, che voleva sempre sapere con chi si trovasse. In un caso il ragazzo le avrebbe sbattuto la testa sul volante dell’auto.
In aula è stata sentita anche la madre della ragazza, che insieme col marito decise di presentare denuncia nel 2022 in quanto la figlia all’epoca era minorenne e il giudice ha rinviato l’udienza al prossimo settembre quando saranno sentiti altri testimoni. “Seppur emotivamente agitata, la ragazza è riuscita a ricostruire i fatti evidenziando come questi le abbiano lasciato segni importanti” commenta l’avvocata Giada Briziarelli che assiste l’ex fidanzata di Larsen, costituitasi parte civile.
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