

(Adnkronos) - Era il 5 febbraio 2024 quando mamma Taghred, oggi 31enne, avvocato di Gaza, arrivava con le sue tre figlie all'ospedale pediatrico Vittore Buzzi di Milano, a bordo di un'ambulanza dai cui finestrini si intravedevano dei palloncini rosa e blu. Insieme alla madre allora 53enne, anche lei bisognosa di cure, la donna faceva parte di uno dei primi gruppi di palestinesi della Striscia di Gaza evacuati per motivi medici e accolti dall'Italia. Alle sue spalle il dramma del conflitto, testimoniato dalle ferite sulla sua pelle e su quella delle sue bambine. E' passato oltre un anno e mezzo da allora, e le ferite ci sono ancora. Taghred solleva la manica della maglia e si intravede una lunga cicatrice, non ancora completamente guarita, che da sopra il polso si inerpica lungo il braccio. Il percorso di cure non è ancora finito: "Il mese scorso sono stata operata per rimuovere la placca", dice all'Adnkronos Salute. "Nei prossimi giorni anche la mia figlia maggiore sarà operata, e così anche mia madre", spiega. Oggi Taghred, però, sorride. E al suo fianco c'è anche il marito Youssef, 32 anni, fra i primi papà a potersi ricongiungere con la propria famiglia, dopo un lungo anno e mezzo di attesa in un campo profughi fatiscente a Khan Yunis.
Le loro bambine - Maryam di 8 anni, Zena di 6 e Rima di 3 - stanno giocando in strada insieme ad altri bimbi. Ieri la famiglia era in via Arquà, in occasione di un evento di quartiere organizzato dall'associazione Bellarquà. Vicino a loro c'è un'installazione con barchette di carta colorate, 'barchette per Gaza'. Una banda musicale suona e invoca "Palestina libera". Youssef ha in mano un telefonino, sullo schermo scorrono le immagini della sua vita di prima: foto di gruppo, foto di lui che stringe fra le mani una targa. Ha perso oltre 10 chili. E racconta: "Ho studiato informatica per 5 anni, e lavoravo in un'organizzazione benefica turca che si prende cura dei bambini di Gaza con bisogni speciali, che hanno perso i genitori". Ora cerca un impiego in Italia. "Parlo inglese e imparerò anche l'italiano. Sono disposto a fare qualsiasi cosa pur di garantire una vita dignitosa alle mie figlie", è il suo appello.
"Vivevamo a Gaza City, Al-Nasr, vicino all'ospedale Al-Shifa - ripercorre Taghred -. Quando è stato chiesto di evacuare l'intera città di Gaza, il 13 ottobre 2023 abbiamo lasciato la città per raggiungere Rafah e i parenti di mio marito: padre, madre, il fratello con la moglie e i figli. C'era anche mia madre. Il 23 novembre la casa dei parenti di mio marito è stata bombardata. Aveva tre piani ed è stata completamente rasa al suolo". Quel giorno Youssef non era in casa. Taghred e le bambine sono rimaste sotto le macerie. L'uomo mostra un breve video del salvataggio della figlia maggiore. "Siamo riuscite a uscirne miracolosamente - commenta la moglie - 13 persone sono morte lì, compresi i nipoti di mio marito. Ci siamo trasferite all'Ospedale europeo per le cure e siamo rimaste lì per 50 giorni", fino a fine gennaio 2024. Poi il viaggio con le bambine e la mamma via mare verso l'Italia, durato una settimana, a bordo della nave Vulcano della Marina militare arrivata a La Spezia. Youssef è invece riuscito a raggiungerle a Milano nel maggio 2025.
Il ricordo del giorno in cui la casa si è sbriciolata inghiottendole è angosciante. "Avevo una mano e un dito del piede rotti, 3 fratture al bacino, ustioni e ferite estese sulla pianta dei piedi e sul viso - ricorda Taghred - La mia figlia maggiore aveva la mano destra rotta e sanguinava. Mia madre aveva una grave emorragia al piede e fratture multiple. I miei figli più piccoli avevano ferite estese e ustioni che sono state trattate chirurgicamente. Per fortuna l'ambulanza è arrivata rapidamente. Sono rimasta sotto solo pochi minuti, altrimenti sarei morta perché avevo perso completamente la capacità di respirare. Ero tra le macerie, sul fondo, senz'aria. Poi sono stata attaccata a un apparecchio per l'ossigeno per un giorno intero e mio marito e la mia famiglia non hanno saputo che ero viva fino alla fine della giornata, quando ho ripreso un po' di conoscenza e ho detto all'ospedale il mio nome e chi ero".
"Finché la situazione a Gaza rimarrà così, non potrò tornare nel mio Paese - spiega Taghred -. I valichi sono chiusi e non ci sono scuole o ospedali per bambini, ma questo non significa che resterò qui per sempre". Intanto, "stiamo cercando di stabilirci qui. Ora mio marito sta cercando lavoro e anch'io, ma in un modo che sia adatto ai miei figli, perché non potrò al momento lavorare a tempo pieno. Posso lavorare solo per poche ore". Se c'è un punto su cui occorre concentrarsi adesso "è questo", ragiona Glores Sandri, 'doula' milanese che dà una mano alle donne e alle famiglie di Gaza col suo progetto 'A doula for Palestine'. "Le cure prestate ai bambini e ai nuclei arrivati in Italia per motivi sanitari sono fantastiche, eccezionali. Ma poi serve una procedura umanitaria che li accompagni quando escono dall'ospedale, quando devono trovare una casa e un lavoro", auspica Sandri.
Le immagini sul telefonino scorrono. Youssef mostra anche quelle nel campo profughi. C'è lui in tuta accanto a una tenda, con lo sguardo perso nel vuoto, è più magro di quando posava in giacca e cravatta con i colleghi e nelle foto di gruppo con i bambini supportati dall'organizzazione per cui lavorava. In un altro scatto si vedono pentole e attrezzi da cucina su un pavimento impolverato, e in un altro l'immagine di un enorme millepiedi sopra un cuscino, 'ospite sgradito' nell'alloggio di fortuna in cui ha vissuto. Mesi da dimenticare. Il ricordo di casa, invece, resta indelebile: "Gaza è tutta bellissima, la amo molto - dice Taghred - e spero di tornarci". (di Lucia Scopelliti)
Leggi tutto: Dall'inferno di Gaza a una speranza a Milano, storia di Taghred e Youssef

Università, Orlandi (UnimiB): "Iannantuoni ha fatto di Bicocca un luogo di eccellenza e inclusività"

(Adnkronos) - “La legacy che lascia Giovanna Iannantuoni è di avere fatto dell’università Bicocca di Milano una grande università pubblica di eccellenza e inclusività. L’impegno che prendo è quello di continuare con il mio mandato la sua stessa strada, proseguendo i progetti che ha già cominciato”. Lo ha detto il rettore eletto dell’università degli studi di Milano Bicocca Marco Orlandi, intervenendo nell’aula magna dell'ateneo all’evento ‘Connessioni. Sei anni del mandato di Giovanna Iannantuoni 2019-2025’.
“Il primo progetto, la prima internazionalizzazione, è a quattro chilometri da qui: Parco Trotter. Lì vi è tutto un lavoro da fare sulle seconde generazioni. Il resto viene di conseguenza”, spiega il rettore eletto.
Orlandi conclude, poi, ribadendo che il forte legame con il territorio rimarrà anche con l’avvento del suo mandato: “Un forte legame con Milano e con la Regione: è necessario riuscire ad essere internazionali, ma ben consolidati nel territorio milanese e lombardo, proseguendo esattamente sulla stessa strada di Giovanna Iannantuoni”.

(Adnkronos) - “La legacy che lascia Giovanna Iannantuoni è di avere fatto dell’università Bicocca di Milano una grande università pubblica di eccellenza e inclusività. L’impegno che prendo è quello di continuare con il mio mandato la sua stessa strada, proseguendo i progetti che ha già cominciato”. Lo ha detto il rettore eletto dell’università degli studi di Milano Bicocca Marco Orlandi, intervenendo nell’aula magna dell'ateneo all’evento ‘Connessioni. Sei anni del mandato di Giovanna Iannantuoni 2019-2025’.
“Il primo progetto, la prima internazionalizzazione, è a quattro chilometri da qui: Parco Trotter. Lì vi è tutto un lavoro da fare sulle seconde generazioni. Il resto viene di conseguenza”, spiega il rettore eletto.
Orlandi conclude, poi, ribadendo che il forte legame con il territorio rimarrà anche con l’avvento del suo mandato: “Un forte legame con Milano e con la Regione: è necessario riuscire ad essere internazionali, ma ben consolidati nel territorio milanese e lombardo, proseguendo esattamente sulla stessa strada di Giovanna Iannantuoni”.

(Adnkronos) - Era uscito in cerca di funghi, ma è scivolato precipitando in un canalone. E' accaduto a Talamona, in Valtellina, ad un uomo di 75 anni che ha perso la vita.
Le ricerche del 75enne sono scattate intorno all'una e un quarto di oggi pomeriggio, da parte della Soreu delle Alpi. L'uomo era uscito per cercare funghi nei boschi sopra il centro abitato di Talamona, ma non era più rientrato e il suo telefono non risultava raggiungibile. Sul posto sono intervenuti i tecnici della stazione di Morbegno, VII Delegazione Valtellina - Valchiavenna del Cnsas-Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, con otto soccorritori, insieme con il Sagf-Soccorso alpino guardia di finanza e i vigili del fuoco. Poco dopo l'uomo è stato individuato in località La Bianca, una zona caratterizzata da canali e salti di roccia a circa 1000 metri di quota, ma il medico non ha potuto fare altro che constatarne il decesso. La salma è stata recuperata dall’elisoccorso di Sondrio di Areu-Agenzia regionale emergenza urgenza.
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(Adnkronos) - Il giorno dopo in cui migliaia di persone, a Sofia e in altre città, sono scese in piazza per domandare le dimissioni del governo e contestare l'introduzione dell'euro, a partire dal prossimo primo gennaio, la Bce è dovuta intervenire per rassicurare i bulgari su una questione di ben altro spessore. Infatti, anche sull'onda delle preoccupazioni per gli effetti sui prezzi legati dell'abbandono della moneta nazionale, il lev, nel Paese, soprattutto in gruppi social con contenuti religiosi, si è diffusa una convinzione - in realtà rilanciata da filmati vecchi di due anni - secondo cui piegando la banconota da 50 euro e appoggiandola a uno specchio l'immagine del ponte disegnata sul retro, raddoppiandosi, mostrerebbe l'inquietante figura di un diavolo, con tanto di corna.
Alla luce anche delle tensioni attuali, su precisa domanda della Brt, la Radiotelevisione Nazionale Bulgara, un portavoce della Banca Centrale Europea è stato costretto a ricordare che "il design dell'attuale serie di banconote in euro mostra sul retro immagini di ponti che simboleggiano la comunicazione tra i popoli d'Europa".
"Altre immagini che possono apparire quando le banconote sono piegate in un certo modo non sono intenzionali e non hanno nulla a che fare con il loro design", ha detto la Banca centrale europea alla Bnr. Che ha dovuto dedicare un altro articolo per rassicurare i cittadini, spiegando che no, l'euro digitale (che ancora non esiste) non è il preludio dell'arrivo dell'Anticristo.
Leggi tutto: "No, sui 50 euro non c'è il Demonio": Bce costretta a rassicurare i bulgari


(Adnkronos) - "Noi possiamo garantire assistenza diplomatica e consolare" agli attivisti e politici italiani che vogliono rompere il blocco a Gaza con la Global Sumud Flotilla, "ma vanno a loro rischio e pericolo. Cosa dovremmo fare? Inviare la Marina per difendere navi che non battono nemmeno bandiera italiana?". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, inaugurando alla Sioi il 56mo Corso di preparazione al concorso alla carriera diplomatica.
A stretto giro le reazioni. "Ho letto le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Antonio Tajani - scrive sul suo profilo Facebook il senatore M5S Marco Croatti, uno dei due parlamentari del Movimento 5 Stelle che si sono imbarcati sulla Global Sumud Flotilla - Attivisti e cittadini italiani a bordo della Flotilla, è il succo del suo discorso, si stanno muovendo 'a loro rischio e pericolo' e non valgono quindi una mobilitazione del governo a garanzia della loro incolumità - tanto più che, dice Tajani, le loro imbarcazioni non battono bandiera italiana. Al ministro dico che non solo sventola il tricolore su molte delle navi salpate, compresa la mia, ma anzi, a quella bandiera e all’Italia tutta gli italiani presenti nella Global Sumud Flotilla stanno dando lustro e dignità, semplicemente facendo quello che il governo a oggi non è ancora stato in grado di fare".
"In primis - spiega - testimoniare solidarietà e garantire un canale umanitario per far entrare aiuti ai civili afflitti da bombe e carestia. Il governo Meloni, di contro, non è stato in grado di esprimere una vera condanna sul massacro firmato Netanyahu: non ha alzato un dito o la voce contro chi agisce fuori dal diritto internazionale, contro chi rade al suolo scuole, ospedali, chiese e che bombarda i civili in fila per il pane. Tajani e Meloni prendano esempio dai loro omologhi spagnoli, José Manuel Albares e il premier Pedro Sánchez: il governo spagnolo ha annunciato che i cittadini spagnoli a bordo delle imbarcazioni godranno di 'tutta la protezione diplomatica e consolare'. Trovate le differenze…".
“Gravissime le parole con cui il ministro degli Esteri Antonio Tajani declina ogni responsabilità sull’incolumità delle decine di cittadini italiani - attivisti, giornalisti e parlamentari - della Global Sumud Flotilla che, per sua informazione, viaggiano su imbarcazioni battenti bandiera italiana", affermano i capigruppo M5S delle Commissioni Esteri di Camera e Senato, Francesco Silvestri e Bruno Marton.
"Dichiarare pubblicamente che ‘vanno a loro rischio e pericolo’ significa dare al governo criminale di Israele mano libera per fare quel che vuole, mettendo in pericolo dei cittadini italiani che, stando a queste dichiarazioni, Tajani considera meno meritevoli di protezioni rispetto a tutti gli altri. Dal ministro e dal governo ci saremmo aspettati un messaggio opposto, ovvero l’auspicio che ai suoi concittadini non venga torto un capello. Meno male che le istituzioni sono rappresentate anche dai nostri parlamentari coraggiosi come il nostro Marco Croatti, meno male che il buon nome dell’Italia e della sua tradizione umanitaria è rappresentato da chi sente il dovere morale di sostituirsi ad un governo succube, incapace e pavido”.
Arrivano intanto notizie dalla delegazione italiana della Global Sumud Flotilla. Le 18 barche italiane sono partite sabato dal porto siciliano di Augusta e ora hanno intenzione di ritrovarsi con le altre imbarcazioni in acque internazionali per arrivare tutti insieme a Gaza, come hanno più volte sottolineato gli attivisti. All'Adnkronos la portavoce italiana Maria Elena Delia spiega che le barche si trovano "ancora in rada a Porto Palo, questa notte sono partite le altre barche dalla Tunisia alle quali lasciamo un po' di ore di vantaggio, essendo loro molto più indietro rispetto a dove siamo noi". Sull'incontro con le altre barche Delia sembra fiduciosa, e sostiene che le imbarcazioni tunisine "continueranno a viaggiare verso le acque di fronte a Malta e noi inizieremo ad andare in quella direzione domani sera tardi, quindi il giorno dopo dovremmo finalmente trovarci con loro e fare rotta insieme verso il nostro obiettivo".
Leggi tutto: Gaza, Tajani: "Attivisti Flotilla vanno a loro rischio e pericolo". Le reazioni

(Adnkronos) - "La demenza frontotemporale (Ftd) di cui soffre l'attore statunitense Bruce Willis è peggio della malattia di Alzheimer perché in pochi anni porta all'incapacità di muoversi, deglutire e quindi alimentarsi, oltre all'impossibilità di interagire per deficit cognitivo e a disturbi del comportamento. In pratica per questi pazienti il destino è segnato: oltre alle capacità cognitive e comportamentali, perdono l'autonomia motoria e la capacità di deambulare. Risultato? Apatia, inerzia, infezioni respiratorie e delle vie urinarie che complicano l'iter diagnostico-terapeutico. Per tutti questi motivi, purtroppo, la demenza frontotemporale è nota anche come patologia che porta nella maggior parte dei casi all'exitus in pochi anni". Così all'Adnkronos Salute Alessandro Padovani, presidente della Società italiana di neurologia (Sin), sulla malattia neurodegenerativa che nel 2022 ha colpito Bruce Willis, oggi accudito 24 ore su 24 in una casa di cura.
A raccontare la nuova realtà dell'attore di 'Die Hard - Duri a morire' e 'Trappola di cristallo' la moglie Emma Heming, in un'intervista televisiva e in un libro ('The Unexpected Journey'): "Bruce ha bisogno di un'assistenza costante, che purtroppo non è più compatibile con la vita quotidiana insieme alla famiglia. Sto preparando le nostre figlie alla morte del loro papà", le sue parole.
"Purtroppo la moglie di Bruce Willis ha ragione - spiega Padovani - perché la malattia, che colpisce le capacità cognitive, il linguaggio, il comportamento e la personalità, rende impossibile mantenere una routine familiare tradizionale anche perché in breve tempo i pazienti non si muovono più, di fatto hanno una sopravvivenza ridotta". La difficoltà a parlare "è solo uno degli aspetti della demenza frontotemporale: il paziente è sì incapace di interagire con il mondo circostante e per questo si isola, ma il decorso clinico si complica con una progressione che assomiglia molto a quella della Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, fino a richiedere assistenza respiratoria e un'alimentazione parenterale", conclude il presidente Sin.
Leggi tutto: Demenza di Bruce Willis, Padovani (Sin): "In breve porta a invalidità e disabilità"

(Adnkronos) - Lo chef italiano Valentino Luchin è stato arrestato dalla polizia di San Francisco con l'accusa di aver rapinato tre banche diverse in un solo giorno, rende noto il Daily Mail.
Luchin era diventato famoso nella 'Bay area' di San Francisco per la sua cucina italiana, era 'executive chef' al Rose Pistola di North Beach e proprietario di Ottavio a Walnut Creek, ora chiusi entrambi, ed era considerato come una 'stella nascente' della ristorazione in California. Le rapine sono avvenute mercoledì della scorsa settimana, nel 'Central District' di San Francisco. Il rapinatore aveva passato una nota scritta a mano al cassiere chiedendo contanti. Luchin, che si era trasferito negli Stati Uniti dall'Italia nel 1993, era già stato arrestato nel 2018 con l'accusa di aver rapinato una filiale Citybank. Dalla chiusura di Ottavio nel 2016, lui e la moglie avevano problemi finanziari.
Leggi tutto: "Ha rapinato tre banche in un giorno", chef italiano arrestato in Usa


(Adnkronos) - Una normale colazione al bar, di sabato mattina, ha rischiato di trasformarsi in tragedia per una coppia di Monza. A raccontare la disavventura dei due, l'Ats di Monza.
Marito e moglie, clienti abituali del locale, avevano appena finito di consumare caffè e brioche e, come di consueto, avevano chiesto un bicchiere d’acqua a fine colazione. Al tavolo, però, è stata servita loro della soda caustica, un detergente usato per le lavastoviglie fortemente tossico, se ingerito. All'uomo è bastato un sorso per accusare immediatamente bruciore alla bocca e alla gola. Soccorso dalla moglie e dal personale del bar, è stato poi assistito dai sanitari dell'Areu 118, allertati tramite il numero di emergenza Nue 112, e trasferito all’ospedale San Gerardo di Monza.
Sul posto sono intervenuti gli ispettori della Struttura sicurezza alimentare del Sian-Servizio igiene alimenti e nutrizione di Ats Brianza, che hanno eseguito i rilievi previsti e raccolto le prime informazioni utili alla ricostruzione della dinamica. Gli ispettori hanno inoltre disposto il sequestro del contenitore di detergente coinvolto nell’episodio, provvedendo a informare l’Autorità giudiziaria competente. Nel frattempo le indagini proseguono.
Leggi tutto: Monza, al bar chiede acqua ma gli servono soda caustica: cliente in ospedale
Università, Iannantuoni (UnimiB): "Spero di lasciare traccia della passione che muove il mio lavoro"

(Adnkronos) - “Mi auguro di lasciare in questo ateneo la traccia della passione che ho sempre messo nel lavoro e dell'affetto che ho per questa comunità”. In questi sei anni infatti “ho lavorato anche nell’ottica di lasciare un’eredità di tutto il lavoro che facciamo con il territorio, attraverso questa grandissima collaborazione che abbiamo con la città di Milano, con la Regione e con il Paese. Quello che ho ricevuto, invece, è tantissimo: affetto, stima, dedizione. Anche nei progetti più complessi e complicati che ho lanciato, sono stata seguita da tutti, quindi è stato un amore reciproco”. Così la rettrice dell’università degli studi di Milano Bicocca Giovanna Iannantuoni all’evento ‘Connessioni. Sei anni del mandato di Giovanna Iannantuoni 2019-2025’, tenutosi nell’aula magna dell’Ateneo.
“A tutti i 2 milioni di studentesse e studenti universitari - spiega Iannantuoni - che abbiamo nel nostro Paese voglio dare un messaggio di rassicurazione in merito al fatto che tutto il sistema universitario si regge sui loro volti, sulle loro speranze, sulle loro ambizioni lavorative. Stiamo facendo tutto il possibile affinché i corsi di laurea che andranno a frequentare siano i più innovativi e che, soprattutto, li preparino al mondo del lavoro in modo innovativo e moderno. Dobbiamo insegnare loro ad imparare. Questo è il vero segreto per avere successo nella vita”.
“Ognuna di noi, quando realizza un passo, lo fa sia per sé che, soprattutto, per chi viene dopo di lei, perché trovi un pezzo di strada aperto e con meno stereotipi di genere. Quello che dico alle ragazze è di credere in sé stesse e di non essere mai messe nelle condizioni di dover scegliere tra la vita lavorativa e la vita sentimentale o personale. Questi due aspetti devono andare di pari passo e ognuna deve fare esattamente quello che la rende felice”, conclude.

(Adnkronos) - "Il catcalling è una molestia? No, a me non dà fastidio". Anna Falchi, ospite oggi di La volta buona, discute con Caterina Balivo sul tema del catcalling. "Quando ti fischiano per farti un complimento in modo un po' selvaggio a me non dà fastidio, c'è sempre stato. La mattina quando vai a prendere un caffè in tuta e ti dicono 'bella figliola', sei sempre felice di un complimento: non ci trovo nulla di grave", dice Anna Falchi, con una posizione opposta rispetto a quella della conduttrice. "Ci lamentiamo che non ci sono più gli uomini: è una cosa da maschio. E' una molestia a tutti gli effetti? No, a me non dà fastidio. Mi è sempre successo e continua a succedermi. Sono dalla parte degli uomini, il politically correct in questo caso mi pare eccessivo. Equivale a sessualizzare il corpo di una donna? Ognuno fa le proprie scelte...", aggiunge Anna Falchi.
Caterina Balivo racconta la propria esperienza, ricordando quando da ragazzina era oggetto di attenzioni e complimenti non richiesti. "Non hai iniziato a credere più in te stessa, nel tuo fascino e nella tua avvenenza? No? Non ci scommetterei, nel subconscio non dispiace a nessuno, ma adesso fa comodo dire così", replica l'ospite. "In studio nessuno mi ha applaudito? Siete tutte contrarie al catcalling?..."
Leggi tutto: Anna Falchi: "Il catcalling non è una molestia, non mi dà fastidio"


(Adnkronos) - Il mondo del giornalismo sportivo piange la scomparsa a 79 anni di Franco Ligas, storica firma di Mediaset, morto oggi dopo una lunga malattia all'Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze. A dare il triste annuncio L'Ussi (Unione stampa sportiva italiana) sul proprio sito ufficiale: "Ironico e sferzante all’occorrenza mai ha regalato banalità ma sempre curiosità".
Ligas è stato uno storico telecronista sportivo e protagonista di memorabili dirette sulla Champions League, sul pugilato e su alcuni dei momenti più intensi dello sport italiano dagli anni ’80 in poi. La sua voce, ironica e precisa, ha accompagnato generazioni di telespettatori, rendendo ogni evento non solo una cronaca, ma un racconto appassionante. Si è spento oggi all'ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze.
Nato a Oristano, Ligas si era trasferito a Firenze a soli 23 anni. Dopo una lunga gavetta, aveva esordito nel 1976 sull’emittente Tele Libera Firenze, firmando un’intervista "scoppiettante" a Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta, all’indomani del trionfo italiano in Coppa Davis. Da lì era partita una carriera che lo avrebbe portato a distinguersi per competenza e versatilità, raccontando con lo stesso entusiasmo l’ippica, il pugilato, il calcio e il ciclismo.
Conduttore del programma Dda - Dirittura d’Arrivo su Elefante TV, un contenitore giornaliero di ben otto ore, Ligas ha saputo dare spazio alle sue grandi passioni con uno stile narrativo coinvolgente. Il grande salto avviene nel 1984 con l’ingresso a Mediaset, dove resterà fino al 2013, firmando telecronache passate alla storia, dalle imprese europee delle squadre italiane ai match più spettacolari sul ring.
Amante del calcio, tifoso dichiarato del Cagliari e della Fiorentina, Ligas ha raccontato anche le magie di Diego Armando Maradona, passando con disinvoltura dal basket alle corse al galoppo, sempre con uno stile inconfondibile, ironico ma mai superficiale. Dopo il pensionamento, ha continuato a dire la sua attraverso un blog personale, mantenendo intatta la passione per il mestiere e per lo sport.
In queste ore si moltiplicano i messaggi di cordoglio. Il presidente Sandro Bennucci, insieme agli organismi dirigenti dell’Associazione Stampa Toscana, e Franco Morabito, presidente del Gruppo toscano giornalisti sportivi, con il suo Direttivo, partecipano affranti al dolore della famiglia per la scomparsa di un collega stimato e apprezzato da tutti. "Un forte abbraccio va alla moglie, la collega Simona Bombacci, e a tutta la famiglia, da parte di tutti i giornalisti che hanno conosciuto Franco Ligas e ne hanno ammirato lo stile, la professionalità e la passione inconfondibile", scrivono Bennucci e Morabito.
La sindaca di Firenze, Sara Funaro, ha espresso "profondo cordoglio per la scomparsa del giornalista Franco Ligas. Una voce importante del giornalismo sportivo, sardo di nascita ma fiorentino di adozione, nella nostra città aveva trovato una seconda casa e nella Fiorentina un’altra squadra del cuore, oltre al suo amato Cagliari. Le sue telecronache sono rimaste impresse in tutti i tifosi viola. Ma era capace di spaziare dalle più diverse discipline e nella sua carriera ha raccontato numerosi sport sempre con maestria e capacità. Siamo vicini a familiari e amici".
Leggi tutto: Morto Franco Ligas, il giornalista sportivo e storica firma di Mediaset aveva 79 anni


(Adnkronos) - La mancanza di percorsi formalizzati e riconosciuti rende oggi la diagnosi e la cura dei disturbi neurologici funzionali (Dnf) - che includono i disturbi motori funzionali (Fmd) e le crisi psicogene non epilettiche (Pnes) - un'odissea per molti pazienti. Nell'ampio spettro dei Dnf rientrano crisi non epilettiche, disturbi sensitivi, visivi e del dolore, condizioni che si caratterizzano per sintomi quali tremore, paresi, distonia, alterazioni della marcia, mioclono e disturbi facciali, non attribuibili a lesioni cerebrali evidenti, ma legati a disfunzioni del funzionamento neurologico. L'assenza di un inquadramento istituzionale impedisce la costruzione di una rete clinica integrata e ostacola l'accesso precoce a trattamenti efficaci, che esistono e sono validati scientificamente. La Società italiana di neurologia (Sin) chiede un "cambio di paradigma".
La Sin "intende porre con decisione all'attenzione delle istituzioni la necessità di un riconoscimento formale dei disturbi neurologici funzionali all'interno delle patologie contemplate dal Servizio sanitario nazionale - afferma Alessandro Padovani, presidente della società scientifica - E' altrettanto fondamentale definire percorsi clinici specifici, strutturati e multidisciplinari per garantire una presa in carico appropriata dei pazienti. Si tratta - sottolinea - di una richiesta basata su evidenze scientifiche consolidate, dati epidemiologici significativi e sull'esperienza clinica maturata negli anni da numerosi neurologi che quotidianamente si confrontano con una condizione ancora troppo spesso fraintesa, trascurata o, peggio, confusa con disturbi psichiatrici o attribuita, erroneamente, a una simulazione volontaria dei sintomi. Senza un riconoscimento formale e senza percorsi condivisi - avverte Padovani - i pazienti restano soli in un sistema che non sa dove collocarli, né come accompagnarli nel loro percorso di cura. E' tempo che la realtà scientifica trovi riscontro anche nell'organizzazione sanitaria".
Aggiunge Michele Tinazzi, professore associato di Neurologia, Dipartimento di Scienze neurologiche università di Verona e responsabile della Struttura Centro malattia di Parkinson e disordini del movimento: "E' necessario superare l'idea che questi disturbi siano volontari o legati esclusivamente a fattori psicologici. Oggi sappiamo che si tratta di disfunzioni reali, con basi neurobiologiche documentate, che richiedono competenze specifiche e un approccio multidisciplinare". Proprio perché non riconducibili a danni strutturali, i disturbi funzionali rappresentano un paradosso clinico - si legge in una nota della Sin - Nonostante l'esistenza di approcci efficaci, questi disturbi continuano a essere diagnosticati in ritardo e trattati in modo frammentario, con gravi conseguenze per i pazienti e un considerevole aggravio per il sistema sanitario nazionale. La diagnosi arriva in media dopo 6 anni dall'esordio dei sintomi, durante i quali il paziente attraversa numerosi consulti specialistici, diagnosi errate e trattamenti inefficaci. Tutto questo ha costi elevati: secondo una stima condotta presso il Centro regionale specializzato per la malattia di Parkinson e disturbi del movimento dell'Aoui di Verona, un singolo paziente può generare una spesa complessiva di oltre 13mila euro prima di ricevere la diagnosi corretta, di cui circa 9mila a carico del sistema sanitario regionale.
"Un elemento chiave nella gestione di questi disturbi è la diagnosi - evidenzia Giovanni De Fazio, professore ordinario di Neurologia, università degli Studi di Bari - che deve basarsi su segni clinici positivi, coerenti e riproducibili, come previsto dai criteri diagnostici più aggiornati. Tuttavia, un'indagine pubblicata di recente, condotta su neurologi italiani, ha rivelato che molti strumenti diagnostici fondamentali rimangono sottoutilizzati nella pratica quotidiana, soprattutto per quanto riguarda gli Fmd. Al contrario, i segni clinici delle Pnes risultano essere più familiari, probabilmente grazie alla più lunga tradizione diagnostica associata all'uso dell'elettroencefalogramma (Eeg). Questa disparità sottolinea la necessità di una formazione più mirata, soprattutto per i neurologi generali e i giovani clinici".
L'indagine ha messo in luce che le strategie di comunicazione della diagnosi sono generalmente condivise tra le diverse sottospecialità neurologiche, ma appaiano ancora poco strutturate. Eppure, gli studi di neuroimaging hanno evidenziato alterazioni in specifiche aree cerebrali coinvolte nel controllo motorio e nella consapevolezza dell'azione, risultati che hanno definitivamente smentito l'idea che i sintomi siano frutto di simulazione. Oggi gli Fmd sono considerati il risultato di un'interazione complessa tra fattori biologici, psicologici e sociali. Tuttavia, l'organizzazione clinica e sanitaria continua a mostrare un grave ritardo e affidata all'iniziativa dei singoli professionisti, senza un percorso organico e condiviso a livello nazionale. Questo gap organizzativo - rimarcano gli esperti Sin - è aggravato dall'assenza di un riconoscimento ufficiale dei Dnf all'interno dei percorsi di cura del Ssn, che non prevede tuttora linee guida specifiche, né modelli assistenziali codificati per questi pazienti.
"I dati raccolti dal Registro italiano dei disturbi motori funzionali (Ri-Dmf), coordinato da me in collaborazione con l'Accademia Limpe-Dismov - evidenzia Tinazzi - fotografano con chiarezza le conseguenze di questa lacuna. Su 410 pazienti arruolati in 25 centri specializzati, ben il 75% aveva ricevuto diagnosi errate di patologie neurologiche organiche, e solo dopo una media di 3 consulti specialistici è stata formulata una diagnosi corretta di disturbo funzionale. Serve un cambio di paradigma - rimarca - Per troppo tempo i pazienti con Dnf sono rimasti in una zona grigia. La sinergia tra neurologia, riabilitazione e medicina generale può cambiare la vita dei pazienti. Ma serve una risposta istituzionale chiara. Oggi abbiamo strumenti clinici validati, modelli di cura efficaci e un'evidenza scientifica solida: è il momento di riconoscere ufficialmente questa patologia e strutturare una rete assistenziale su più livelli".
In questo scenario, il medico di medicina generale (Mmg) - sostengono i neurologi - assume un ruolo strategico. Primo interlocutore del paziente e figura di riferimento, l'Mmg è nella posizione ideale per sospettare un disturbo funzionale, evitare accertamenti inappropriati e indirizzare precocemente il paziente verso un neurologo esperto. Tuttavia, proprio come emerso anche dall'indagine nazionale recentemente condotta e pubblicata, la limitata conoscenza del quadro clinico specifico rappresenta ancora una barriera all’identificazione precoce. Da qui nasce l'esigenza di programmi formativi rivolti alla medicina generale, come il progetto avviato a Verona in collaborazione con la società scientifica (Simg) e il sindacato (Fimmg) di riferimento.
Oggi il centro di Verona rappresenta l'unico di III livello del Veneto, dotato di un team multidisciplinare completo - neurologi, fisiatri, fisioterapisti, logopedisti e psicologi - e costituisce un punto di riferimento nazionale e internazionale per diagnosi, trattamento, formazione e ricerca. Il centro è anche membro del comitato scientifico della Movement Disorders Society e promuove linee guida ispirate ai modelli anglosassoni, come quello scozzese, basato su un approccio a tre livelli di intervento: Mmg e neurologo generalista per la diagnosi (primo livello), presa in carico riabilitativa da parte di un gruppo esperto (secondo livello), e gestione dei casi complessi in centri di alta specializzazione (terzo livello). Una rete così strutturata permetterebbe di ridurre significativamente i ritardi diagnostici, migliorare gli esiti clinici e ottenere un risparmio stimato per il Ssr di circa 5.500 euro per paziente se la diagnosi fosse anticipata di almeno quattro anni.
"Non è solo una questione medica, ma di giustizia sanitaria: riconoscere i Dnf e costruire una rete assistenziale dedicata - conclude Padovani - significa restituire dignità a migliaia di persone, troppo a lungo ignorate dalla burocrazia e escluse da percorsi terapeutici adeguati".
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