E tu ricordi, Anya,
la chilometrica cala, la torre
solitaria tra i barbarici peri,
il derelitto nuraghe
del fico moresco, i cappuccini
pietrificati da Ulisse?
Le dune abbracciate dal ginepro e
da cisti e lentischi coronate
e dall’ambigua ferula, esigua
ombra dove trovava asilo
l’irrequieto cappello del carnoso
cardolino (ma questo non ricordi, Anya,
che nella brutta stagione tu stavi
nella lontana terra di Germania); e pure
non ricordi discese e slalom
dalle dune di ruvida sabbia
ad imitare i Thoeni, Klammer
e Piero Gross; e i muri di Posidonia accatastati
dal fervore dello scirocco autunnale,
tu non li puoi ricordare.
L’imbizzarrirsi dell’onde al tocco umido
e pesante del levante, che l’acqua
intorbidiva e favoriva il venefico
agguato dell’aragna, lo ricordi?
E i turbini dell’impetuoso maestrale,
rapinatore di palle, canotti
e materassi? Il raggelarsi
dell’acqua al terzo giorno
in una tavola che pareva di stagnola?
La strada che lambiva la…