
(Adnkronos) - Decine di sedie vuote all'Assemblea generale delle Nazioni Unite dove moltissime delegazioni hanno lasciato l'aula in segno di protesta prima del discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. All'interno del Palazzo di Vetro si sono alzati anche fischi oltre ad applausi.
"Non abbiamo ancora finito. Gli ultimi resti di Hamas sono trincerati a Gaza City. Vogliono ripetere le atrocità del 7 ottobre ancora e ancora. Ecco perché Israele deve finire il lavoro il più rapidamente possibile", ha detto il premier israeliano.
Netanyahu ha mostrato ''una grande spilla'' invitando a ''prendere i cellulari e inquadrare il Qr: vedrete perché combattiamo e perché dobbiamo vincere''. ''Il 7 ottobre Hamas ha condotto l'attacco peggiore contro gli ebrei dall'Olocausto - ha scandito - hanno decapitato uomini, stuprato donne, bruciato bambini vivi, questi mostri hanno preso ostaggio 200 persone''.
In precedenza l'ufficio di Netanyahu aveva reso noto che sarebbe stato diffuso un ''filmato sulle atrocità a partire dal 7 ottobre'' "nell'ambito dell'impegno di sensibilizzazione internazionale''. Si tratta di un ''film completo sulle atrocità attualmente proiettato in collaborazione tra l'ufficio del Primo Ministro e il portavoce delle Forze di Difesa Israeliane".
All'Onu il premier israeliano ha parlato di "false accuse di genocidio" rivolte a Israele. Netanyahu ha inoltre negato di stare obbligando i palestinesi a lasciare Gaza. "Per caso i nazisti chiedevano gentilmente agli ebrei di andarsene? - ha chiesto - Ora vorrei porvi una domanda semplice, una domanda logica: un Paese che sta commettendo un genocidio, implorerebbe la popolazione civile che dovrebbe essere il suo obiettivo di mettersi al riparo?".
"Abbiamo distrutto gli armamenti di Assad in Siria, abbiamo colpito le milizie sciite dell'Iran in Iraq e, soprattutto, abbiamo devastato i programmi iraniani di armi atomiche e missili balistici", ha sottolineato nel corso del suo intervento all'Assemblea Generale dell'Onu.
Netanyahu ha mostrato la mappa aggiornata della 'Maledizione', rappresentata dai nemici d'Israele nella regione mediorientale. "Metà della leadership Houthi in Yemen, è andata. Yahya Sinwar a Gaza, è andato. Hassan Nasrallah in Libano, è andato. Il regime di Assad in Siria, è andato - ha detto, segnando delle 'x' sui Paesi menzionati - Le milizie in Iraq, se attaccano Israele, se ne andranno anche loro. I comandanti militari iraniani, e i loro migliori scienziati nucleari, andati anche loro".
Il primo ministro israeliano ha voluto "ringraziare il presidente Donald Trump per aver agito con così tanto coraggio e audacia. Entrambi abbiamo promesso di impedire all'Iran di sviluppare armi nucleari e abbiamo mantenuto questa promessa".
I media palestinesi riportano che un sms, con il discorso di Netanyahu all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, è stato inviato ai palestinesi residenti nella Striscia di Gaza. L'sms si aggiunge alla diffusione del messaggio del premier israeliano nell'enclave palestinese tramite gli altoparlanti.
"Ho circondato Gaza con enormi altoparlanti nella speranza che i nostri cari ostaggi ascoltino il mio messaggio. Non vi abbiamo dimenticati e non ci fermeremo finché non vi riporteremo tutti a casa", ha detto Netanyahu all'Assemblea Generale dell'Onu, prima in inglese e poi in lingua ebraica.

(Adnkronos) - Decine di sedie vuote all'Assemblea generale delle Nazioni Unite dove moltissime delegazioni hanno lasciato l'aula in segno di protesta prima del discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. All'interno del Palazzo di Vetro si sono alzati anche fischi oltre ad applausi.
"Non abbiamo ancora finito. Gli ultimi resti di Hamas sono trincerati a Gaza City. Vogliono ripetere le atrocità del 7 ottobre ancora e ancora. Ecco perché Israele deve finire il lavoro il più rapidamente possibile", ha detto il premier israeliano.
"Abbiamo distrutto gli armamenti di Assad in Siria, abbiamo colpito le milizie sciite dell'Iran in Iraq e, soprattutto, abbiamo devastato i programmi iraniani di armi atomiche e missili balistici", ha sottolineato nel corso del suo intervento all'Assemblea Generale dell'Onu.
Netanyahu ha mostrato la mappa aggiornata della 'Maledizione', rappresentata dai nemici d'Israele nella regione mediorientale. "Metà della leadership Houthi in Yemen, è andata. Yahya Sinwar a Gaza, è andato. Hassan Nasrallah in Libano, è andato. Il regime di Assad in Siria, è andato - ha detto, segnando delle 'x' sui Paesi menzionati - Le milizie in Iraq, se attaccano Israele, se ne andranno anche loro. I comandanti militari iraniani, e i loro migliori scienziati nucleari, andati anche loro".

(Adnkronos) - Decine di sedie vuote all'Assemblea generale delle Nazioni Unite dove moltissime delegazioni hanno lasciato l'aula in segno di protesta prima del discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. All'interno del Palazzo di Vetro si sono alzati anche fischi oltre che ad applausi.
Una manifestazione pro Pal si sta intanto tenendo fuori dalla sede delle Nazioni Unite di New York dove Netanyahu ha iniziato a parlare.
Leggi tutto: Netanyahu all'Onu: applausi, fischi e molte delegazioni via dall'aula

(Adnkronos) - "Abbiamo ricevuto la proposta di mediazione, da parte del Presidente Mattarella, di accettare di deviare la nostra rotta e di portare gli aiuti a Cipro. Noi non possiamo accettare questa proposta perché arriva per evitare che le nostre barche navighino in acque internazionali con il rischio di essere attaccate". Così in un videomessaggio Maria Elena Delia, portavoce della delegazione italiana della Global Sumud Flotilla, la flotta internazionale che sta portando aiuti umanitari ai civili palestinesi e che ora si trova a Creta risponde all'appello del Presidente della Repubblica.
L'attivista sostiene che la proposta sia "come dire che se ci vogliamo salvare ci dobbiamo scansare, perché chi governa non può chiedere a chi ci attaccherà di non farlo, anche se è illegale".
Delia pensa che il fatto che nessuno chieda a Israele di non attaccare "sia il nodo legale. Non è solo una questione di principio, ma è una questione sostanziale che è anche all'origine del fatto che, fino a ora, la stessa entità che ha creato questo corto circuito, cioè Israele, sta commettendo un genocidio senza che nessuno dei nostri governi abbia ancora avuto il coraggio di porre delle sanzioni, porre un embargo sulle armi, chiudere almeno parte dei rapporti commerciali", spiega l'attivista.
Delia afferma che se "una di queste tre soluzioni fosse presa in considerazione noi ne saremmo felici". L'attivista ribadisce che i partecipanti alla missione non stanno "facendo niente di male, cosa succederebbe se invece delle nostre barche ci fossero barche di alcuni turisti aggredite da droni in acque internazionali in maniera violenta?"
Delia conclude dicendo che "la questione degli aiuti è importantissima, noi siamo pronti a valutare delle mediazioni, ma non cambiamo rotta, perché cambiare rotta significherebbe ammettere che si lascia operare un governo in modo illegale senza potere fare nulla".
“Voglio rivolgere un profondo ringraziamento al Presidente Sergio Mattarella per le parole utilizzate nei confronti della Flotilla. Parole che sottolineano l’importanza della missione, a differenza di chi, come la premier Meloni, ha parlato di irresponsabilità. A Gaza c’è un’intera popolazione in carestia, che sta subendo un genocidio e una pulizia etnica da parte di un governo israeliano che, contrariamente a quanto afferma la sua propaganda, non fa arrivare gli aiuti. Di fronte a tutto questo, è cruciale chiedere e fare pressione per l’apertura di corridoi umanitari permanenti”. Così l’eurodeputata di Alleanza Verdi e Sinistra Benedetta Scuderi dalla Global Sumud Flotilla.
“Al presidente Mattarella – aggiunge Scuderi - chiediamo di sostenere la richiesta di aprire corridoi umanitari sotto il controllo dell’Onu. Il nostro obiettivo è che si riesca a riaffermare pacificamente il primato del diritto internazionale laddove a prevalere invece sono purtroppo ancora le armi e la violenza”.
Leggi tutto: Flotilla dice no a Mattarella, Delia: "Valutiamo mediazioni ma non cambiamo rotta"
Matteo Renzi, oltre la politica: "I miei figli giudicati per il cognome. Berlusconi? Grande umanità"

(Adnkronos) - "I miei figli erano comunque giudicati innanzitutto per il cognome, quando io ero una delle persone più importanti d’Italia", così Matteo Renzi parla del rapporto con i figli e la moglie, nel periodo più importante della sua carriera come Presidente del Consiglio. il politico è l'ospite d’eccezione di Luca Casadei nel nuovo episodio del podcast 'One More Time' (OnePodcast), disponibile da oggi, venerdì 26 settembre.
Renzi è stato Presidente del Consiglio dal 2014 al 2016: "L’età adolescenziale dei miei figli, medie e superiori, ha coinciso con l’impegno politico in prima persona. E lì non ti dico che mi sentivo in colpa, perché no, non è vero. Però oggettivamente li ho messi in una situazione di difficoltà", ha spiegato. "Ho una grandissima ammirazione per i miei figli per come sono stati capaci di resistere a questo, perché è un bel test. Mia moglie è stata fondamentale, senza Agnese questa partita non l’avremmo vinta. Sono stati bravi anche molti degli insegnanti che hanno avuto, la maggioranza ha protetto".
E proprio sulla moglie, Matteo Renzi ha parlato della sua scelta di non seguirlo a Roma durante il mandato: "Quando io torno dalla settimana romana in cui capisco che tocca a me, parlo con Agnese e le dico 'guarda mi sono un po’ informato, potremmo andare a vivere qui. C’è questa casa del Ministero che è a disposizione'. Mia moglie mi guarda e fa: 'Io non vengo. Non è detto che tu resti per tanti anni a Roma, ma anche se tu lo facessi ci sarebbe bisogno di mettere sul piatto della bilancia l’esigenza tua e anche mia di starti accanto e l’esigenza dei figli. Spostiamo i figli con l’età, che allora era 13, 11 e 8, che devono iscriversi a scuola a Roma e andare con la scorta. Quindi tu te lo sogni, io non vengo'. Una decisione che lei prende, che io subisco, che lì per lì contesto, ma che oggi mi fa dire 'grazie Agnese' perché hai salvato i figli e la famiglia".
Sulle sue dimissioni nel 2016 dopo il Referendum: "Scopro la mattina che abbiamo perso. Io volevo davvero cambiare vita, lì in quel momento. Non ero arrabbiato, avevo fatto il mio. Alle nove e mezzo di sera chiamo Mattarella e gli dico 'Sergio io mi dimetto'. Dormo come un bambino, poi torno a casa ed è un momento affascinante, un’esperienza umana incredibile perché la gente inizia subito ad accoltellarti. Eri l’uomo più importante d’Italia, gente che fino al giorno prima faceva a gara per venire a coccolarti, ti volta le spalle".
"Ho vissuto dei momenti di buio anche personali", ha spiegato Renzi parlando dell'arresto dei suoi genitori: "Li hanno arrestati per colpa mia. Hanno indagato ti direi i 3/4 della mia famiglia. Ora lo dico con un sorriso perché sono usciti tutti. Hanno attaccato me, hanno perquisito i miei amici, sono venuti quelli della finanza in venti la mattina a rovistare nei miei comodini. Quel momento lì è stato un momento di buio vero".
Su Silvio Berlusconi: "È la persona che più mi è stata vicina tra i politici, che è una cosa che io non avrei mai immaginato. Io Berlusconi non l’ho mai votato e noi non abbiamo mai collaborato dal punto di vista politico. Aveva questo tratto umano straordinario, aveva questa capacità di compassione".

(Adnkronos) - "Il medico mi ha detto che sono stata molto fortunata". Anna Moroni è tornata nello studio de 'La volta buona' dopo un brutto incidente domestico. Ospite oggi, venerdì 26 settembre, nel salotto di Caterina Balivo, la cuoca si è presentata con un vistoso tutore al braccio e ha raccontato cosa le è accaduto. "Sono stata a Nerano qualche giorno a casa di una mia amica, ero felicissima. Dopo colazione, mi sono persa a fissare il panorama e salendo le scale non ho visto l'ultimo gradino", ha detto.
"Mi sono tenuta col braccio per non cadere di viso. Ma il dolore alla spalla era fortissimo", ha raccontato Moroni. Accompagnata a Sorrento al Pronto Soccorso, le è stata diagnosticata una lussazione alla spalla: "Dalla lastra hanno visto che mi era uscita la spalla. Mi hanno rimessa in sesto e mi hanno detto che dovrò indossare il tutore per un po' di giorni". A dieci giorni dalla caduta, Anna Moroni si è recata oggi dal fisioterapista per la visita di controllo: "Mi ha detto che per la mia età sono stata molto fortunata", ha concluso.
Leggi tutto: Anna Moroni col tutore a 'La volta buona': "Sono stata molto fortunata"
(Adnkronos) - In Italia è in vigore la legge 38 del 2010 (“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”), che stabilisce il diritto dei cittadini a non soffrire, istituisce delle “reti” di terapia del dolore e prevede campagne d’informazione. È una legge che però non ha sufficiente stanziamento e che, data l’autonomia regionale in materia di sanità, delega alle Regioni l’attuazione della maggior parte dei provvedimenti, distinguendo poco tra terapia del dolore e cure palliative.
Nel primo episodio di “E tu, sai cosa si prova?” facciamo un focus sui fattori chiave nella gestione del dolore cronico, corretta informazione e accesso alla rete. Ospiti di Maddalena Guiotto, giornalista Adnkronos: la prof.ssa Silvia Natoli, Responsabile Area culturale SIAARTI Medicina del dolore e cure palliative; la dott.ssa Nicoletta Orthmann, Direttrice medico-scientifica Fondazione Onda ETS; e il dott. Paolo Fedeli, Head of Corporate Affairs Sandoz.
"E tu, sai cosa si prova?", il vodcast di Adnkronos in collaborazione con Sandoz dedicato al dolore cronico, è disponibile ogni settimana con un nuovo episodio, su YouTube, Spotify e sulla sezione podcast di adnkronos.com.
Leggi tutto: Dolore cronico, corretta informazione e accesso alla rete

(Adnkronos) - Mercoledì prossimo negli Stati Uniti potrebbe scattare un nuovo shutdown delle attività del governo, a causa della mancata approvazione della legge di spesa. Previsto dall'Antideficiency Act, lo shutdown prevede un arresto immediato delle attività governative non essenziali fino a quando non arrivi l'approvazione di una legge di spesa o di una misura transitoria, il cosiddetto 'stopgap bill', la legge tappabuchi.
Per centinaia di migliaia dei dipendenti federali, che lo scorso novembre erano circa 3 milioni considerando anche i militari, scatterebbe immediatamente il 'furlough", vale a dire la sospensione senza stipendio, che però verrebbe pagato poi loro in ritardo una volta approvata la legge di spesa. Invece i dipendenti federali a contratto non saranno ricompensati per le giornate lavorative perse, scrive il Time magazine.
Non tutti i lavoratori sospesi rimarranno a casa, i dipendenti dei settori ritenuti essenziali, come sanità, difesa, forze dell'ordine e controllo del traffico aereo, dovranno lavorare senza paga. Anche gli agenti dell'Ice, l'Immigration and Customs Enforcement, agenzia cruciale per la politica anti-immigrati dell'amministrazione Trump, continueranno a lavorare, assicurando l'operatività dei centri di detenzione migranti. Mentre ci potrà essere un ritardo nelle udienze per molti casi di immigrazione.
Almeno queste le regole seguite nei precedenti shutdown, l'ultimo dei quali avvenuto durante la prima amministrazione Trump, tra il 2018 e il 2019 e durato 35 giorni, ma questa volta la Casa Bianca minaccia di rendere lo shutdown ancora più doloroso per i dipendenti federali, che sono stati sin dal primo giorno dell'amministrazione Trump un obiettivo principale di attacchi e intimidazioni che hanno portato alla perdita di 200mila posti di lavoro federali. L'Ufficio di gestione e bilancio ha infatti ordinato alle agenzie federali di preparare piani di veri e propri licenziamenti, e non sospensioni, di dipendenti federali di programmi non ritenuti in linea con le priorità dell'amministrazione Trump.
Nonostante gli addetti al controllo del traffico aereo e alla sicurezza negli aeroporti che fanno capo alla Transportation Security Administration (Tsa) siano considerati lavoratori essenziali e quindi chiamati a lavorare durante lo shutdown, in caso di una lunga durata si potranno avere problemi per il traffico aereo. Sette anni fa infatti molti ufficiali del Tsa, costretti a lavorare per settimane senza paga, si misero in malattia, portando a rallentamenti e file ai controlli. Lo stesso successe per mancanza di controllori del traffico aereo all'aeroporto newyorkese di LaGuardia.
Non ci dovrebbero essere problemi per il pagamento delle pensioni e altri assegni di welfare, il Social Security negli Usa, come anche per Medicare e Medicaid, le due assistenze sanitarie pubbliche per anziani e cittadini a basso reddito. Ma nei passati shutdown le agenzie, a causa della sospensione di migliaia di dipendenti, furono costrette a diminuire alcuni servizi di assistenza al pubblico. Anche i servizi del Postal Service, che si autofinanziano con le proprie entrate, dovrebbero non interrompere la consegna di posta e pacchi. Mentre invece lo shutdown porterà alla chiusura forzata di tutti i parchi nazionali e i musei federali di Washington, gli Smithsonian museum. Il National Park Service ha stimato che durante lo shutdown del 2013, che durò 13 giorni durante l'amministrazione di Barack Obama, si perse mezzo milione di dollari di introiti per le visite ai parchi.
Gli ultimi anni di politica americana sempre più polarizzata ci hanno abituato ad accordi tra i due partiti arrivati all'ultimo minuto disponibile per evitare lo shutdown, ma quest'anno la maggioranza repubblicana e la minoranza democratica, che deve dare al Senato almeno sette voti decisivi per il passaggio della legge di spesa, sono, a pochi giorni dalla scadenza, bloccati in uno stallo che appare difficile da superare.
In particolare, i democratici chiedono in cambio dei loro voti misure per garantire l'estensione dell'Obamacare, per evitare che i drastici tagli varati da Trump lascino entro la fine dell'anno moltissimi americani senza assistenza sanitaria, il ripristino dell'aiuto all'estero e dei soldi per le emittenti pubbliche, sempre finiti sotto l'accetta della nuova amministrazione. I repubblicani considerano le richieste inaccettabili, chiedendo invece ai democratici di approvare una stopgap per continuare a negoziare evitando lo shutdown la cui responsabilità, affermano, ricadrebbe sui dem.
Leggi tutto: Usa, torna rischio shutdown: Trump minaccia licenziamenti federali
(Adnkronos) - In Italia è in vigore la legge 38 del 2010 (“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”), che stabilisce il diritto dei cittadini a non soffrire, istituisce delle “reti” di terapia del dolore e prevede campagne d’informazione. È una legge che però non ha sufficiente stanziamento e che, data l’autonomia regionale in materia di sanità, delega alle Regioni l’attuazione della maggior parte dei provvedimenti, distinguendo poco tra terapia del dolore e cure palliative.
Nel primo episodio di “E tu, sai cosa si prova?” facciamo un focus sui fattori chiave nella gestione del dolore cronico, corretta informazione e accesso alla rete. Ospiti di Maddalena Guiotto, giornalista Adnkronos: la prof.ssa Silvia Natoli, Responsabile Area culturale SIAARTI Medicina del dolore e cure palliative; la dott.ssa Nicoletta Orthmann, Direttrice medico-scientifica Fondazione Onda ETS; e il dott. Paolo Fedeli, Head of Corporate Affairs Sandoz.
"E tu, sai cosa si prova?", il vodcast di Adnkronos in collaborazione con Sandoz dedicato al dolore cronico, è disponibile ogni settimana con un nuovo episodio, su YouTube, Spotify e sulla sezione podcast di adnkronos.com.
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(Adnkronos) - I lavoratori del Teatro La Fenice di Venezia hanno proclamato "lo stato di agitazione permanente" contro la nomina del direttore musicale stabile, Beatrice Venezi, che sarà in carica dall'ottobre 2026. La decisione è stata presa questa mattina al termine di un'assemblea. I lavoratori chiedono l'immediata revoca dell'incarico, giudicato "imposto" e "non all'altezza della tradizione del Teatro". La nomina della Venezi è stata annunciata lunedì 22 settembre dal sovrintendente Nicola Colabianchi dopo aver informato il consiglio d'indirizzo della Fondazione lirico-sinfonica veneziana, che aveva approvata in maniera unanime la decisione.
L'assemblea generale dei lavoratori della Fenice, si legge nel documento finale, di cui l'Adnkronos ha preso visione "ha espresso unanime solidarietà alla presa di posizione chiara e coraggiosa resa pubblica il 25 settembre dai professori d'orchestra. Con altrettanta fermezza le maestranze del Teatro La Fenice chiedono l’immediata revoca della nomina a direttore musicale del maestro Beatrice Venezi, avvenuta con modalità e tempistiche che hanno calpestato ogni principio di confronto e trasparenza".
I lavoratori del Teatro "dichiarano pertanto lo stato di agitazione permanente e si riservano di intraprendere tutte le azioni di lotta sindacale necessarie - compresi scioperi, manifestazioni e sit-in - al fine di difendere la professionalità dei suoi artisti e il rispetto delle regole democratiche nella gestione della Fondazione".
Nel documento, l'assemblea dei lavoratori ricorda che è "doveroso sottolineare - come già evidenziato nella lettera dell'Orchestra - che il curriculum del maestro Venezi non è comparabile con quello dei direttori musicali stabili che negli anni si sono succeduti sul podio della Fenice. Il sovrintendente e il Consiglio di indirizzo e il sindaco sono ora chiamati ad assumersi pienamente le proprie responsabilità davanti ai lavoratori, alla città e all'intero mondo della cultura".
Il primo atto dello stato di agitazione avverrà domani sera, sabato 27 settembre, prima del concerto dedicato alla Quarta Sinfonia di Gustav Mahler con la direzione del maestro Giuseppe Mengoli. I lavoratori chiederanno al sovrintendente la lettura di un comunicato e nel caso di un rifiuto preannunciano un volantinaggio.

(Adnkronos) - Tutti pazzi, o quasi, per la vitamina D. Almeno in Spagna, a quanto pare, l'assunzione della vitamina con integratore spesso senza alcun controllo medico. Una tendenza preoccupante, come ha sottolineato il nefrologo Borja Quiroga, attraverso i media iberici, prima La Vanguardia e poi El Confidencial. La vitamina D ha tra le sue proprietà la caratteristica di favorire l'assorbimento di calcoli renali. "Ho visto gente arrivare con i reni pieni di sassi", ha detto lo specialista, che ha trattato pazienti intossicati o colpiti da insufficienza renale per l'assunzione della vitamina in quantità eccessive e senza una reale motivazione medica.
I rischi
La vitamina D, secondo il nefrologo, va raccomandata in particolari per chi soffre di osteoporosi o di specifiche patologie renali. "Non migliora il quadro in relazione al rischio cardiovascolare, non riduce i tumori, non evita fratture in persone sane", ha detto, bocciando anche la somministrazione immotivata ai bambini: "Non c'è giustificazione scientifica".
L'invito ad evitare il fai da te arriva anche dall'immunologo clinico Mauro Minelli, docente di Nutrizione Umana alla Lum. "Per l'80% del fabbisogno la vitamina D viene generata dall'esposizione alla luce solare", ha osservato, evidenziando poi gli alimenti che la contengono. "Figurano tra questi l'olio di fegato di merluzzo, i funghi, l'uovo e il latte intero, il salmone, le aringhe, il tonno, lo storione, il burro, il fegato, alcune verdure a foglia verde come il broccolo e il cavolo nero".
"Un'attenzione particolare va riservata alle condizioni di sovrappeso/obesità, nelle quali l'accumulo della vitamina D in abbondanti strati di tessuto adiposo ne impedisce la conversione nella forma biologicamente attiva", ha osservato l'esperto, prospettando l'ipotesi di integrazione - sempre sotto controllo medico - per chi non riesce a perdere peso come necessario. "La vitamina D non fa dimagrire, ma una dieta dimagrante certamente contribuisce ad annullare i rischi di una sua eventuale carenza".
Quanta vitamina D va assunta? "Negli adulti la dose giornaliera raccomandata di vitamina D può oscillare tra le 600 e le 2.000 Unità Internazionali, corrispondenti a quantitativi compresi tra i 15 e i 50 microgrammi. Nei bimbi entro il primo anno di età, al fine di scongiurare il rachitismo, è suggerito un apporto giornaliero di 10 microgrammi. Nelle persone adulte i livelli della vitamina D nel sangue sono considerati normali quando compresi tra un minimo di 30 e un massimo di 100 nanogrammi per millilitro di plasma", ha precisato Minelli.
Cosa rischia chi assume quantità eccessive? "Il sovradosaggio può provocare effetti tossici legati al fatto che la vitamina D, essendo liposolubile, si accumula nei tessuti non potendo essere eliminata con le urine. Secondo la Società italiana dell'osteoporosi, del metabolismo minerale e malattie dello scheletro (Siommms), la soglia di tossicità è calcolata a concentrazioni ematiche superiori a 150 nanogrammi/millilitro. I principali effetti del sovradosaggio sono rappresentati da: nausea, mancanza di appetito, sonnolenza, diarrea, poliuria, calcolosi renale, calcificazioni, ipertensione, insufficienza renale", avverte lo specialista.
Leggi tutto: Vitamina D, non solo pregi e vantaggi: i consigli del medico


(Adnkronos) - "Irresponsabili le minacce" di Volodymyr Zelensky di colpire il Cremlino. Così il portavoce della presidenza russa, Dmitry Peskov, ha commentato le dichiarazioni del presidente ucraino, che ha ammonito Mosca a fermare la guerra o i leader del Cremlino dovranno nascondersi nei bunker. "Zelensky - ha detto Peskov in un briefing con i giornalisti - sta chiaramente continuando i suoi sforzi disperati... E' questo il motivo per cui diffonde minacce a destra e a manca, che è abbastanza irresponsabile".
Intanto il comandante delle forze ucraine Oleksandr Syrskyi ha reso noto in un briefing che unità russe sono state intrappolate in direzione di Pokrovsk, lo snodo cruciale del Donetsk intorno a cui si combatte, dopo settimane di scontri che avevano spostato la linea del fronte verso nord. A Pokrovsk le unità russe di piccole dimensioni mandate in avanscoperta, secondo la nuova tattica lanciata da Mosca il mese scorso che Kiev ha definito dei 'mille tagli', sono state lasciate avanzare per 12-20 chilometri in profondità prima che le forze ucraine ne anticipassero le manovre isolandole all'altezza del fiume Kazennyi Torets. "La loro distruzione è in corso", ha spiegato il comandante. Sono stati quindi liberati 168 chilometri quadrati di territorio, e altri 182 liberati da sabotatori russi.
Gli obiettivi delle forze di Mosca della scorsa primavera ed estate, creare zone cuscinetto nelle regioni di Kharkiv e Sumy, conquistare Pokrovsk e raggiungere il confine del Donetsk, avanzare a Zaporizhzhia, Dnipropetrovsk e Kherson - "non sono stati realizzati", ha quindi rivendicato.
Mosca ha notoriamente adottato di recente la nuova tattica con l'impiego di unità di assalto di piccole dimensioni - 4 o 6 soldati - per infiltrare il territorio controllato dalle forze ucraine, danneggiare la logistica ed esercitare pressioni. Tattica che è stata usata il mese scorso sui fronti di Dobropillia e Novopavlivka.
“Abbiamo anticipato un tale sviluppo e ridispiegato unità per impedire il raggruppamento delle forze nemiche lungo la barriera costituita del fiume. In questo modo le unità nemiche sono avanzate in profondità per ritrovarsi in una specie di 'sacco'. Allo stesso tempo abbiamo chiuso la linea con azioni delle nostre forze di assalto aeree da assi convergenti da nord e da sud. Il nemico è finito in trappola. La sua distruzione è in corso".
Leggi tutto: Ucraina, Russia: "Irresponsabili minacce Zelensky di colpire Cremlino"

(Adnkronos) - Riflettere sul percorso fatto e sui traguardi raggiunti, ma anche promuovere un confronto aperto sulle sfide attuali e future in ambito sanitario nel Sud globale, in particolare sull'assistenza neonatale e la salute respiratoria, per condividere esperienze, individuare criticità e favorire nuove sinergie volte a garantire un accesso equo a cure di qualità. Sono i temi della tavola rotonda organizzata per i 20 vent'anni di attività di Chiesi Foundation, all'evento celebrativo 'Accelerare il cambiamento: un dialogo sul futuro dell'assistenza sanitaria nel Sud globale', che si è svolto il 25 settembre all'Auditorium dell'headquarters di Chiesi Farmaceutici a Parma. Nell'occasione, la Fondazione ha anche ufficializzato la sua intitolazione in onore del fondatore, Paolo Chiesi.
Alla tavola rotonda, che è seguita al saluto d'apertura di Maria Paola Chiesi e Massimo Salvadori, rispettivamente presidente e coordinatore della Fondazione - riporta una nota - hanno partecipato due importanti esperte di salute neonatale e respiratoria nel Sud globale: Queen Dube, pediatra ed epidemiologa e Newborn Health Lead presso il Department for Maternal, Newborn, Child, Adolescent Health and Ageing dell'Organizzazione mondiale della sanità a Ginevra, e Refiloe Masekela, presidente della Pan African Thoracic Society e responsabile del Department of Paediatrics and Child Health presso l'università KwaZulu-Natal (Sudafrica).
Dal dibattito è emersa la necessità di una completa ridefinizione dell'architettura della cooperazione internazionale e del ruolo degli attori coinvolti, affinché le risorse e le competenze a disposizione possano convergere in strategie comuni. La strada delineata per il futuro consiste nella promozione di modelli di partnership più inclusivi, nel rafforzamento dei sistemi sanitari locali e nella valorizzazione dell'innovazione come leva per un cambiamento sostenibile e duraturo, come hanno evidenziato Dube - già a capo dei Servizi sanitari del ministero della Salute del Malawi, che ha lavorato alla definizione dei piani di accelerazione per la riduzione della mortalità materno-neonatale, e co-ricercatrice principale di Nest360, un'iniziativa multi-istituzionale volta a dimezzare la mortalità neonatale dei pazienti ricoverati in Africa - e Masekela, esperta a livello internazionale in materia di asma pediatrico e test di funzionalità polmonare, mentore della prossima generazione di ricercatori e vincitrice del prestigioso World Lung Health Award, assegnatole nel 2025 alla Conferenza dell'American Thoracic Society per il suo contributo al miglioramento della salute respiratoria in Sudafrica.
Nata il 14 aprile 2005 come espressione della responsabilità sociale del Gruppo Chiesi - ricorda la nota - la Fondazione ha progressivamente esteso il proprio ruolo, passando da grant-maker a partner operativo in progetti di cooperazione internazionale e sviluppo locale. Il cuore della sua missione è da sempre rivolto al Sud globale: una scelta dettata dalla volontà di intervenire dove l'accesso ai servizi sanitari di base è ancora drasticamente limitato. Oggi Chiesi Foundation è attiva in Benin, Burkina Faso, Burundi, Costa d'Avorio, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Guyana, Nepal, Perù, Senegal, Tanzania, Togo e Uganda, dove la mortalità neonatale e l'incidenza di malattie respiratorie croniche restano tra le principali emergenze sanitarie, con pesanti ricadute socioeconomiche sull'intera comunità.
Nel corso degli anni - illustra la Fondazione - l'impegno si è concretizzato nello sviluppo di due modelli di intervento complementari: il modello Nest (Neonatal Essentials for Survival and Thriving) per migliorare l'accesso alle cure neonatali e il modello Gasp (Global Access to Sustainable Pulmonology) incentrato sulla diagnosi e la gestione di malattie respiratorie croniche come l'asma e la Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva). I modelli condividono un approccio comune che include: la formazione del personale sanitario, la sensibilizzazione e l'educazione dei pazienti e dei caregiver, la fornitura di attrezzature essenziali adatte al contesto locale, l'utilizzo di protocolli clinici basati su prove scientifiche, lo sviluppo di reti tra i centri sanitari a livello regionale e nazionale e la collaborazione stretta e continuativa con le istituzioni locali e le autorità sanitarie. Un'attenzione particolare è riservata anche all'equità linguistica e all'inclusione delle realtà francofone dell'Africa subsahariana, spesso escluse dai circuiti internazionali della ricerca medico-scientifica.
Al termine dell'evento - conclude la nota - è stata annunciata un'importante evoluzione per la Fondazione, che ha modificato il suo nome in Paolo Chiesi Foundation, in onore del suo fondatore e primo presidente, scomparso nel 2024. Scienziato e filantropo, ha dato vita alla Fondazione con l'idea che il sapere scientifico e la responsabilità sociale potessero confluire in un'azione concreta e trasformativa per il bene comune. Per vent'anni il suo impegno e la sua visione hanno ispirato ogni progetto, ogni partnership e ogni traguardo raggiunto. Il nuovo nome rappresenta quindi "non solo un omaggio alla sua figura, ma anche la volontà di portare avanti con coerenza e rinnovata energia i valori che ne hanno guidato la nascita: promuovere il diritto universale alla salute, combattere le disuguaglianze e costruire un futuro più equo per le comunità più vulnerabili del mondo".
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(Adnkronos) - "La Fondazione è nata vent'anni fa, in occasione del settantesimo anniversario dell'azienda Chiesi, un momento in cui Paolo e Alberto Chiesi, insieme ad altri membri della famiglia, hanno deciso di rendere ancora più concreto il connubio tra business ed etica e quindi dare una dimostrazione tangibile, mettere in pratica la responsabilità sociale d'impresa e la visione che hanno sempre avuto: un'impresa al servizio dello sviluppo della società". Lo ha detto Maria Paola Chiesi, presidente di Paolo Chiesi Foundation, all'evento per la celebrazione dei 20 anni di attività che si è svolto nell'headquarters della farmaceutica, a Parma, spiegando all'Adnkronos Salute che l'intestazione della Fondazione a Paolo Chiesi è "per ricordare e onorare la memoria del nostro presidente" e fondatore che ha guidato questa realtà filantropica "per 15 anni e ha sempre creduto in noi, ci ha sempre sostenuto, ci ha incoraggiato ad amare la vita, a studiare, a essere coraggiosi. Ricordare la sua memoria - sottolinea - significa trasmettere i suoi valori al futuro, alle nuove generazioni, a chi verrà dopo di noi e continuerà la missione della Fondazione. E' sì un modo per ricordare il passato, una persona che ci ha lasciato lo scorso anno, ma è anche un proiettare nel futuro il suo ottimismo e la sua visione".
Il legame con l'Africa "nasce per certi versi casualmente, da un incontro inatteso, di quelli che regala la vita, con il neonatologo Paolo Villani - racconta la presidente - Ma nasce anche dalla grande esperienza che l'azienda aveva sviluppato, in particolare in neonatologia. In Africa il bisogno di cure, di qualità neonatali essenziali e di accesso alle cure è molto forte. Proprio per questo la Fondazione si è concentrata sull'Africa: era lì che potevamo mettere meglio a frutto tutte le nostre conoscenze, le nostre esperienze, il network con i medici e con il mondo della scienza".
In 2 decenni di vita ci sono stati "tanti traguardi, ma anche tanti fallimenti e tanti apprendimenti - rimarca Chiesi - La cosa più importante è ascoltare, capire il contesto, non pensare di avere la verità in tasca, non essere presuntuosi. Questo è forse il traguardo più grande che abbiamo raggiunto in questi vent'anni: avere un approccio che si pone in ascolto, a servizio degli altri, senza voler imporre nulla a nessuno".
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(Adnkronos) - "Attualmente, in Africa, purtroppo la salute respiratoria non è una priorità. Abbiamo un carico molto elevato di malattie respiratorie, soprattutto nei bambini sotto i 5 anni, e le malattie respiratorie in questa fascia d'età restano ancora la principale causa di morte. Se guardiamo invece alle malattie respiratorie croniche, queste sono fortemente trascurate: molte persone che ne soffrono, come chi ha asma o Bpco", broncopneumopatia cronica ostruttiva, "restano senza diagnosi oppure, anche quando ricevono una diagnosi, hanno pochissime opzioni terapeutiche, perché in molti Paesi non esiste alcun sistema di rimborso per la gestione delle malattie respiratorie croniche". Lo ha detto Refiloe Masekela, presidente della Pan African Thoracic Society e responsabile del Department of Paediatrics and Child Health presso l'Università di KwaZulu-Natal (Sudafrica), partecipando a Parma all'evento per i 20 anni della Paolo Chiesi Foundation.
"Per migliorare la salute polmonare in Africa serve un approccio multifattoriale. Anzitutto - illustra Masekela - occorre lavorare sulla formazione degli operatori sanitari, investire nella ricerca sulle malattie respiratorie croniche - che è molto carente - e garantire un miglior accesso a farmaci inalatori a prezzi sostenibili per le persone che vivono con queste malattie. Nonostante gli sforzi globali, come la richiesta avanzata al vertice Onu dal Forum delle società respiratorie nazionali per migliorare l'accesso alle terapie inalatorie, c'è ancora un enorme bisogno di rafforzare la formazione della forza lavoro sanitaria, così da permettere alle persone di ricevere una diagnosi, mentre parallelamente si lavora per migliorare l'accesso ai farmaci".
Uno dei passi fondamentali da fare è "rafforzare la capacità di ricerca, perché senza dati non possiamo quantificare realmente il peso della malattia né valutare i progressi nella sua gestione - sottolinea l'esperta - Inoltre, è importante che i Paesi adottino politiche che garantiscano l'accesso universale alle terapie inalatorie per tutte le persone con malattie respiratorie croniche". Senza questi passi politici, "anche laddove la diagnosi è possibile, i trattamenti rimangono comunque non disponibili - precisa Masekela - Infine, quando parliamo di accesso ai medicinali inalatori, è importante ricordare che questi trattamenti hanno anche un impatto ambientale. Le nuove normative sul divieto delle sostanze Pfas potrebbero influire ulteriormente sulla disponibilità degli inalatori - avverte - rendendoli ancora meno accessibili nei contesti a basse risorse, proprio a causa dell'aumento dei costi. Questa sarà una questione cruciale da affrontare nel prossimo futuro".
Per quanto riguarda il ruolo della filantropia, "il sostegno dovrebbe concentrarsi su tre aree. La prima - elenca l'esperta - è rafforzare la forza lavoro sanitaria, assicurando non solo l'assistenza a livello di cure primarie, ma anche la disponibilità di specialisti, medici pediatrici e pneumologi. In diversi Paesi africani non esiste neppure uno pneumologo, né pediatrico né per adulti. Ciò rende impossibile garantire una gestione adeguata dei casi più gravi. La seconda è potenziare la capacità di ricerca, colmando le gravi lacune nei dati epidemiologici e negli studi sul carico delle malattie respiratorie croniche in Africa. Questo richiede programmi di formazione e sostegno alla ricerca. La terza è integrare i servizi clinici nei contesti a basse risorse, così da migliorare l'accesso alle terapie e assicurare che chi soffre di queste malattie riceva i trattamenti necessari".
"Questi - conclude Masekela - sono ambiti in cui la filantropia può fare davvero la differenza. E, con un impegno multifattoriale, sarà possibile migliorare la gestione delle malattie respiratorie croniche in Africa".

(Adnkronos) - "Negli ultimi vent'anni abbiamo assistito a un enorme miglioramento nell'abbassamento della mortalità neonatale. A livello globale, si è registrata una riduzione del 44%, ma nella regione africana il tasso di riduzione è stato del 26%, molto più basso rispetto alla media mondiale. Eppure l'80% delle morti neonatali si possono prevenire", ma serve un approccio corale, tra "enti filantropici e governi nazionali". Così Queen Dube, responsabile del Newborn Health Program presso l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), intervenendo all'evento 'Accelerare il cambiamento: un dialogo sul futuro dell'assistenza sanitaria nel Sud Globale', che si è svolto il 25 settembre nell'Auditorium dell'headquarters di Chiesi Farmaceutici a Parma, per la celebrazione dei 20 anni della Paolo Chiesi Foundation.
"Oggi stiamo vivendo un momento molto importante, soprattutto in Africa, dove numerose fondazioni stanno intervenendo con ingenti risorse per affrontare le sfide legate alla salute materna e neonatale - continua Dube - Le organizzazioni filantropiche possono dare un grande contributo sostenendo la formazione del personale sanitario, l'approvvigionamento di servizi e farmaci essenziali e aiutando lo sviluppo di sistemi di raccordo ospedaliero. La vera questione è: come possono lavorare in sinergia con i governi? Oggi il contesto politico è favorevole: molti leader africani stanno dando priorità alla salute materna e neonatale - evidenzia l'esperta - Ciò che manca sono gli investimenti, partner in grado di sostenere e accelerare le loro agende. Qui entra in gioco la filantropia, che può fornire quell'investimento necessario per fare lo scatto in avanti, accelerare il percorso. Ci auguriamo che sempre più le fondazioni entrino in questo ecosistema: solo insieme - rimarca - potremo davvero fare la differenza".
Nella riduzione della mortalità infantile è fondamentale tenere conto di alcuni fattori modificabili. Il primo si riferisce al fatto che la salute del nascituro "non può essere separata da quella della madre - spiega Dube - Tutto ciò che accade a una donna in gravidanza ha un impatto diretto sugli esiti per il bambino. Sono stati fatti molti investimenti per rafforzare l'assistenza prenatale, migliorandone la qualità. Un esempio molto semplice riguarda la sifilide: se una donna in gravidanza viene sottoposta a screening per sifilide e il test risulta positivo, trattarla aumenta enormemente le possibilità di sopravvivenza del bambino. Se non viene diagnosticata, il bambino rischia di morire nel grembo materno o nelle prime settimane di vita".
Il secondo grande investimento riguarda l'assistenza al parto. "Il monitoraggio del travaglio e del parto - evidenzia l'esperta Oms - ha un impatto diretto sulla sopravvivenza del neonato, e anche in quest'area sono stati fatti progressi significativi. Un terzo aspetto da tenere presente è l'assistenza postnatale: le visite nelle prime 24 ore e nei giorni successivi alla nascita hanno, da sole, migliorato gli esiti di salute dei bambini. Infine, un ruolo cruciale è stato svolto dall'ampliamento delle cure di secondo livello per i neonati piccoli e malati. Si tratta di interventi come la Cpap", la ventilazione "per i neonati con difficoltà respiratorie o la gestione più efficace delle infezioni. Investire su questo tipo di cure ha contribuito alla riduzione della mortalità neonatale".
Nonostante il progresso fatto, "con quasi il dimezzamento dei decessi neonatali a livello globale - riflette Dube - la verità è che la maggior parte delle morti avviene ancora in Africa, in particolare nell'Africa sub-sahariana, che da sola rappresenta circa la metà dei decessi. C’è ancora molto da fare. In Africa sub-sahariana siamo ancora indietro su più fronti: la diffusione delle cure di secondo livello è limitata, molte donne partoriscono ancora a casa, e nelle strutture sanitarie la qualità dell'assistenza intrapartum non è sempre adeguata. Anche il pacchetto di cure prenatali richiede ancora molti miglioramenti".
Da dove partire? "Concentrare gli sforzi laddove il peso della mortalità è maggiore: in Africa e nei contesti fragili e colpiti da conflitti, che rappresentano i luoghi con il più alto carico di decessi - indica Dube - Rafforzare le cure neonatali essenziali, cioè garantire che le donne abbiano accesso a strutture sanitarie meglio attrezzate, dove possano partorire in sicurezza. Gli investimenti nelle cure di secondo livello richiedono dispositivi medici, personale sanitario formato, farmaci, sistemi di follow-up adeguati, oltre a trasporti e meccanismi di riferimento efficienti. E' proprio qui, dove il bisogno è più grande - conclude - che dobbiamo concentrare le risorse".
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(Adnkronos) - "La flessibilità è essenziale se vogliamo crescere e adattarci. Dobbiamo avere chiara la nostra missione, ciò che la Fondazione rappresenta e ciò che vuole realizzare, ma allo stesso tempo non possiamo semplicemente restare come eravamo nel 2005. Il contesto dello sviluppo cambia ogni giorno e noi dobbiamo cambiare con esso. Come farlo? Prima di tutto, ascoltando. Dobbiamo ascoltare i nostri partner. Dobbiamo fare in modo che i nostri partner, i nostri stakeholder, persino i pazienti stessi, siano parte attiva nella progettazione dei programmi di sviluppo. La parola chiave è partnership". Così Massimo Salvadori, coordinatore Paolo Chiesi Foundation, intervenendo nel quartier generale della farmaceutica a Parma all'evento per i 20 anni di attività della Fondazione.
"Il progresso reale e duraturo si ottiene solo quando le persone più coinvolte partecipano alla definizione del processo", sottolinea Salvadori, per questo servono "partnership a ogni livello: con le istituzioni, con le organizzazioni locali, con la società civile. Credo - aggiunge - che il settore filantropico abbia in questo un'opportunità e una responsabilità uniche. Diversamente dai donatori tradizionali, che spesso hanno vincoli e mandati più rigidi, la filantropia può creare spazi dove voci diverse si incontrano, dove gli attori si sentono valorizzati e dove può nascere l’innovazione. Per noi - chiarisce - innovazione non significa necessariamente qualcosa di completamente nuovo o rivoluzionario. Significa fare le cose in modo diverso, in modo migliore. Per questo abbiamo sviluppato due modelli: Nest" (Neonatal Essentials for Survival and Thriving), per migliorare l'accesso alle cure neonatali, e "il modello Gasp" (Global Access to Sustainable Pulmonology), incentrato sulla diagnosi e la gestione di malattie respiratorie croniche come l'asma e la Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva). "Abbiamo bisogno di chiarezza di intenti e chiarezza di visione - conclude - Ma insieme alla chiarezza serve flessibilità. Perché senza flessibilità non si può restare rilevanti nell'attuale scenario dello sviluppo".
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