Oristano
La firma di Antonio Ignazio Garau sulla traduzione delle intercettazioni che hanno fatto emergere il clamoroso errore giudiziario
C’è anche un apporto oristanese nella vicenda riguardante il processo di revisione a carico di Beniamino Zuncheddu, il pastore di Burcei condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai dell’8 gennaio 1991, in carcere da oltre 32 anni e che ieri i giudici della IV Sezione penale della Corte d’Appello di Roma hanno assolto “per non aver commesso il fatto”, oltre ad aver revocato le sentenze definitive di condanna per quel massacro.
Il perito che ha curato l’ascolto, la trascrizione e la traduzione della mole di intercettazioni ambientali e telefoniche i cui contenuti hanno portato, dapprima, alla scarcerazione di Zuncheddu lo scorso 25 novembre e, ieri, al pronunciamento della sentenza di assoluzione dai reati ascrittigli, è Antonio Ignazio Garau, esperto di lingua sarda, operatore di sportello linguistico, traduttore-interprete anche in ambito giudiziario penale (ha curato, fra l’altro, lo sportello linguistico presso la Procura della Repubblica di Oristano, attualmente operatore presso lo sportello linguistico regionale), giornalista pubblicista nonché nostro collaboratore.
“La nuova prova rappresentata dalle intercettazioni ambientali e telefoniche trasmesse dalla Procura generale di Cagliari, trascritte e tradotte dal perito Antonio Ignazio Garau, costituisce un elemento di rilevantissima portata”, si legge nell’Ordinanza della Corte d’Appello che ha disposto la scarcerazione di Beniamino Zuncheddu a novembre del 2023 e che ha portato alla luce un clamoroso errore giduiziario.
Garau, che collabora con tribunali, procure della Repubblica e organismi vari di polizia giudiziaria dal 2007, ha mantenuto sul caso Zuncheddu il doveroso massimo riserbo fino a ieri notte, quando dopo il pronunciamento dei giudici romani ha postato sul suo profilo FB alcune sue riflessioni sulla vicenda, confessando che si è trattato “della perizia linguistica più lunga e complessa che gli sia capitata in ambito giudiziario”.
Lei ha scritto che questa esperienza le ha insegnato tante cose “sui comportamenti umani e sulle stranezze della vita ”? Perché?
“Non posso entrare nei dettagli, ovviamente, perché ci sono delle inchieste in corso e debbo mantenere il segreto. Nella vita, si sa, non si finisce mai di imparare. Posso solo confermare che questa esperienza di lavoro, al di là degli aspetti tecnico-specialistici della linguistica giudiziaria applicata al sardo che mi impegnano dal 2007, mi ha lasciato un segno profondo. Ne ho tratto degli insegnamenti che – sul piano umano – aiutano a capire certe dinamiche sociali e relazionali, cioè perché nella nostra società accadano certi fatti e perché le persone si comportino in un certo modo”.
Ascoltare, trascrivere e tradurre quel che si sente in un’intercettazione è un’operazione semplice, no?
“Potrebbe sembrare, ma in realtà non è così. Sono operazioni tutt’altro che agevoli, oltre che delicatissime, per via delle implicazioni che comportano. Fra l’altro, questo processo mi ha dato modo di esporre ai giudici della Corte d’Appello di Roma che l’orientamento dei loro colleghi della Corte di Cassazione riguardo alle attività trascrittive è profondamente sbagliato e fuorviante, non dà conto della reale complessità del lavoro che c’è dietro. Infatti, come si può affermare che “La trascrizione delle intercettazioni costituisce una mera trasposizione grafica del loro contenuto” (Cassazione penale, sez. VI, 28 marzo 2018 n. 24744 e Cassazione penale sez. VI, 15 marzo 2016 rv. 266775) o che “La trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni di carattere materiale, per le quali non sarebbe necessaria l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico” (Cassazione penale sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 3027, Rv 266497)? In realtà non è cosi! Per esempio, un perito trascrittore e traduttore che lavori con la lingua sarda deve far capire ai giudici (soprattutto se non sono sardi) e alle parti processuali che, a seconda del contesto e del cotesto, una frase antifrastica come “eja, eja, ddoi andu currendi!” significa invece “non ci vado affatto!”, che “est beniu a pei!” significa invece “è arrivato con un gran bel macchinone!”. È lo stesso meccanismo che applichiamo quando, dinanzi a una vetrina in cui scorgiamo un abito che ci piace ma che è costosissimo, diciamo: “Uhm, barateddu est!”. Oppure, dinanzi a una persona che si fidanza o si sposa con una bella donna, capita di sentire: “S’ogu puntu!”, oppure “Is ogus a sa spina nci at ghetau!”. E quando il perito deve disambiguare ai giudici e alle parti processuali delle frasi contenenti dei sostituenti universali come “su itaddinant” (il coso) e il relativo verbo “itaddinantai” (cosare, ma in sardo abbiamo anche “su bodale” e “bodolare”, “su nichele” e “nichelare”, “su de cuddu” e “deguddai”, etc. )? Ecco perché, in traduttologia, si parla di traduzione da una lingua-cultura a un’altra lingua-cultura e non di semplice traduzione linguistica. Si capisce, dunque, che l’attività del perito trascrittore-traduttore non si esaurisce in una mera trasposizione grafica del contenuto dei dialoghi intercettati. Ed è aberrante pensare che non necessiti di alcuna competenza tecnico-scientifica. Anzi …”.
Dunque, un processo celebrato a Roma dinanzi a un Collegio giudicante composto da giudici e da un procuratore generale non sardi ha comportato uno sforzo aggiuntivo?
“Direi di sì, per ciò che concerne gli aspetti non strettamente linguistici, ma “lato sensu” culturali sottesi al nostro idioma storico-identitario. Ma devo anche riconoscere che l’aver lavorato al processo di revisione riguardante il Signor Beniamino Zuncheddu ha rappresentato, per me, un’ulteriore occasione per sperimentare la bontà di alcuni approcci metodologici seguiti nel complesso e delicato lavoro di ascolto, trasposizione per iscritto e traduzione di porzioni di parlato spontaneo. Non esiste, infatti, alcun protocollo operativo. Esistono delle indicazioni di massima, ma tutto è lasciato al buon senso – si spera! – dell’operatore. Occorre non scordarsi mai che la comunicazione verbale fra presenti avviene anche con l’aiuto di altri codici come quello cinesico-gestuale (gestualità, sguardo ed espressione del volto, etc.) e prossemico (il posizionamento nello spazio e la distanza fra gli interlocutori). Inoltre, bisogna considerare la prosodia, l’intonazione particolare delle frasi e i silenzi che, talvolta, comunicano quanto e più delle parole! Il trascrittore-traduttore, che i giudici della Cassazione vorrebbero declassare a semplice dattilografo, ha il dovere di mettere i giudici e tutte le parti processuali (accusa, difesa e parti offese) nelle condizioni di comprendere pienamente il vero significato delle porzioni dialogiche oggetto di attenzione, utili ai fini di giustizia e ai fini del raggiungimento della verità. Almeno di quella processuale. E le udienze del processo Zuncheddu offrono innumerevoli esempi della complessità e delicatezza dell’apparentemente semplice lavoro di trasposizione del parlato nello scritto. Un lavoro, comunque, accattivante e coinvolgente, specie quando si tratta di assicurare alla Giustizia gli autori di efferati delitti o quando si tratta di appurare la colpevolezza o innocenza di persone come il Signor Beniamino Zuncheddu”. (m.e.)
Sabato, 27 gennaio 2024
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