A marzo 2026 l'Alguerunway in notturna, aperte le iscrizioni... 
Quattro persone sono state arrestate in Corea del Sud con l’accusa di aver violato oltre 120.000 telecamere Ip installate in abitazioni e attività commerciali, utilizzando poi le immagini registrate per produrre materiale sessualmente esplicito destinato a un sito web con sede all’estero. Lo riferisce la Bbc, citando la polizia locale, secondo cui gli hacker avrebbero sfruttato vulnerabilità dei sistemi – come password troppo semplici – per accedere ai dispositivi, sempre più diffusi come alternativa economica ai tradizionali impianti di videosorveglianza.
Le telecamere compromesse si trovavano in appartamenti privati, sale karaoke, studi di pilates e perfino in una clinica ginecologica. Uno dei sospetti avrebbe violato da solo 63.000 dispositivi, realizzando 545 video e vendendoli in criptovalute per circa 35 milioni di won (oltre 20mila euro), mentre un altro avrebbe hackerato 70.000 telecamere e commercializzato 648 filmati per circa 10mila euro. I due sarebbero responsabili di oltre il 60% dei contenuti pubblicati nell’ultimo anno sul sito illegale ora sotto indagine. La polizia ha inoltre fermato tre persone accusate di aver acquistato o visionato i video.
Le autorità hanno annunciato misure drastiche per bloccare la piattaforma e collaborare con agenzie estere per risalire al suo gestore. "L’hacking delle telecamere Ip e le riprese illegali causano immense sofferenze alle vittime e sono reati gravissimi: li estirperemo con indagini energiche", ha dichiarato Park Woo-hyun, responsabile delle investigazioni informatiche. La polizia sta contattando i proprietari delle telecamere violate per assisterli nella rimozione dei contenuti e, soprattutto, invita gli utenti a cambiare regolarmente le password per proteggere la propria privacy.

Sarà un disco dedicato alle donne che ''sono la colonna sonora della mia vita''. Cristiano Malgioglio, in una intervista in esclusiva all'Adnkronos, anticipa l'uscita del suo nuovo album ''che si chiamerà probabilmente 'Amore e spine'" e che sarà composto da brani ''in dieci lingue diverse, ognuno dei quali dedicato a una cantante che ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita'', racconta. Un'antologia autobiografica, spiega Malgioglio, composta dalle cover più amate delle sue cantanti internazionali preferite, anticipato dal singolo 'Chi lo sa', già disponibile su tutte le piattaforme, per il quale invece ha riscritto un testo in italiano di un brano della cantante francese Zaz. ''In questo pezzo c'è la malinconia di un amore perduto - prosegue il cantante - il brano all'inizio volevo chiamarlo 'La mia vita è tutto un film' ma era troppo lungo e ho preferito intitolarlo 'Chi lo sa' perché nel testo dico: 'chi lo sa, chi lo sa, se penso al mio destino'. Gli autori del brano sono francesi ma mi hanno dato la possibilità di fare il testo in italiano". (IL VIDEO[1])
''Chi lo sa' è una storia d'amore struggente - prosegue Malgioglio - un amore difficile da superare e che mi riguarda direttamente. Però è anche un brano dove c'è tanta allegria con echi di flamenco. Un mio amico brasiliano mi ha detto che c'è molta 'saudade'. Il testo è stato scritto interamente da me, la musica da Davide Esposito che è napoletano ma vive in Francia ed è uno dei più grandi autori internazionali: ha scritto canzoni anche per Céline Dion. Il singolo uscirà presto anche in Francia. Lunedì farò anche il video che presenterò prossimamente. Il regista che ho scelto è Gaetano Morbioli, uno dei più bravi del panorama italiano che ha lavorato anche con la Pausini, Ramazzotti e Zucchero''.
Il disco sarà in dieci lingue diverse, perché, tranne il primo singolo, si tratterà di cover che Malgioglio eseguirà nella lingua originale. "Per il brano di Noa canterò in ebraico, per Jasmine Amber in arabo, per Cesaria Evora in creolo, per Dusty Springfield in inglese, per Gloria Estefan in spagnolo. Ma non ve le svelo tutte. Adesso sto provando a cantare in greco per omaggiare Anna Vissi ma la lingua è molto difficile". Alle grandi cantanti italiane non dedica "per ora nessuna canzone - svela - ma se dovessi scegliere un pezzo prenderei 'Maschio' di Annalisa': 'se fossi maschio io mi venderei', un pezzo che è più adatto al mio linguaggio''.
Un disco sentimentale e dedicato alle donne che ''attraverso queste canzoni si potranno rispecchiare facilmente e diventare ancora più forti", sottolinea Malgioglio. "Ho creato questo album ragionando con il cervello di una donna non con il cervello di Cristiano Malgioglio, perché le donne sanno scrivere molto meglio degli uomini, hanno molta più sensibilità, sono molto più forti e conoscono bene la parola 'amore'''. Sulla scelta di fare un nuovo disco Malgioglio conclude: "In questa fase della mia vita mi sono chiesto: 'Che fine ha fatto il Cristiano Malgioglio di Mina, della Carrà, della Vanoni e di Calentano? Negli ultimi anni mi sono dedicato molto di più alla televisione, così ho deciso di tornare a cantare delle canzoni belle, cantabili, eleganti e sensuali come le cose che sono riuscito a fare durante la mia carriera. Sono molto soddisfatto e non vedo l'ora che esca''. (di Alisa Toaff).
L'impianto abbandonato e due cave saranno recuperate...
Trampolieri e danze sospese dal 6 al 29 dicembre in 17 comuni... 
Nicola Pietrangeli è morto oggi, lunedì 1 dicembre, all'età di 92 anni e ha raccolto l'affetto di tutto il mondo dello sport e non solo. Particolarmente commossi i tennisti azzurri, di ieri e di oggi, che sono cresciuti nel suo esempio. Da Panatta e Barazzutti fino a Musetti e Fognini, passando per Paolini, Garbin e Volandri, con un messaggio speciale arrivato anche da Nadal e dal presidente della Federazione Angelo Binaghi.
Il mondo del tennis ha abbracciato per l'ultima volta Pietrangeli, primo italiano a trionfare in uno Slam (al Roland Garros nel 1959) e capitano nello storico trionfo del 1976 in Coppa Davis, torneo di cui è il primatista mondiale per partite giocate (164), incontri vinti in singolare (78-32) e in doppio (42-12).
I cuori di Musetti, Cobolli e Paolini
Per salutare Nicola Pietrangeli Lorenzo Musetti ha ripostato il comunicato della Federazione nelle proprie storie Instagram, aggiungendo un cuore spezzato. Lo stesso post è stato condiviso anche nelle storie di Jasmine Paolini, che ci ha aggiunto un cuore nero in segno di lutto. Tre cuori anche per Cobolli su Instagram.
I messaggi di Fognini e Nadal
"Caro Nick, se ne va un pezzo enorme della nostra storia. Questa foto a Montecarlo per me vale tutto: il tuo esempio, la tua ironia, la tua luce. Hai insegnato a tutti cosa significa vincere davvero. Buon viaggio, leggenda", ha scritto su Instagram Fabio Fognini postando la foto insieme a Montecarlo.
"Ho appena saputo della triste notizia della partenza di un grande del tennis italiano e mondiale. Le mie più sentite condoglianze a tutta la sua famiglia, il suo figlio Filippo, e tutta la famiglia del tennis italiano. RIP Nicola", ha scritto Rafa Nadal sui propri canali social.
Volandri: "Perdiamo un gigante"
"Oggi il nostro tennis perde un gigante. Nicola Pietrangeli è stato il primo idolo e il primo vero punto di riferimento per chiunque abbia amato questo sport. Per noi che indossiamo o abbiamo indossato la maglia azzurra, non è mai stato soltanto un grande campione del passato. Dalla battuta ironica al consiglio più serio, aveva sempre il modo giusto per farti riflettere e per ricordarti cosa significhi rappresentare l’Italia. Era libero, diretto, autentico: per questo unico". Queste le parole del capitano di Coppa Davis Filippo Volandri.
Garbin: "Punto fermo e custode del nostro tennis"
Ad omaggiare la memoria di Pietrangeli anche Tathiana Garbin, capitana di Billie Jean King Cup: "Nicola per me è stato molto più di un grandissimo campione. È stato un punto fermo del nostro tennis, una presenza che sentivi sempre lì, anche quando non era fisicamente accanto a te. Per la mia generazione, e per tutte quelle che sono venute dopo, rappresentava una guida silenziosa: un esempio, una voce autorevole, il custode vero della nostra storia".
"Aveva un modo unico di trasmettere amore per questo sport e per la maglia azzurra. Bastavano poche parole, una battuta, un aneddoto… e subito ti ricordava quanto fosse speciale ciò che stavamo vivendo. Era diretto, sincero, autentico. Ascoltarlo era un privilegio, perché ogni volta ti lasciava qualcosa dentro", ha concluso.
Panatta: "Era un amico, anche se ci beccavamo"
"Nicola era mio amico, anche se ci beccavamo ogni tanto, ma era un gioco che facevamo. Lo voglio ricordare con allegria, è stato un personaggio straordinario, al di là di essere un campione assoluto che ha vinto praticamente tutto quello che c'era da vincere nel periodo in cui giocava", ha detto Adriano Panatta su Nicola Pietrangeli.
"Alla mia nascita lui era un 17enne che giocava al tennis Parioli ed era già una promessa, poi abbiamo fatto un po' il cambio della guardia io e lui -ricorda Panatta a 'Storie Italiane' su Rai1-. Abbiamo anche giocato insieme, ci siamo divertiti abbiamo fatto le vacanze insieme. Io e Nicola eravamo molto amici".
"La cosa che mi faceva più male in questo ultimo periodo era che non volevo che soffrisse: lui ha avuto un colpo tremendo quando è morto Giorgino poco tempo fa. L'ultima volta che l'ho chiamato, pochi giorni fa, gli ho detto 'alzati dal letto, accidenti a te'. Lui mi diceva che non voleva alzarsi. Però ha fatto una vita bellissima", conclude il vincitore del Roland Garros nel 1976.
Bertolucci: "Uomo di classe e personalità, massimo rispetto"
"Sapevamo che purtroppo stava molto male. Nicola è stato il mio primo grande amore tennistico, quando ero ragazzino lo guardavo con la bocca spalancata. Era un uomo di classe e di personalità ed era una persona schietta e sincera. Abbiamo trascorso dei momenti meravigliosi insieme e abbiamo avuto anche qualche scontro, ma rimane il massimo rispetto per il grandissimo campione che è stato. È sempre stato un grande personaggio, andare a cena con lui era sempre un piacere", ha detto Paolo Bertolucci al microfono de 'La Politica nel Pallone' su Gr Parlamento.
"Ha girato il mondo, ci ha presentato persone importanti e ci teneva sempre all'eleganza, tanto che era elegante anche nel campo da tennis - aggiunge l'ex capitano azzurro di Coppa Davis -. Non ha mai accettato il cambiamento del tennis e la modernizzazione del mondo, ma è giusto che Nicola venga ricordato per quanto ha dato al tennis e allo sport in generale. Senza la sua battaglia a livello politico, l'Italia della Davis del 1976 non sarebbe nemmeno mai partita per il Cile", ha concluso.
Barazzutti: "Era di famiglia, abbiamo vissuto una vita insieme"
"Sono molto dispiaciuto per la comparsa di Nicola, perché prima di tutto era una persona di famiglia. Abbiamo praticamente vissuto una vita insieme, per quanto mi riguarda da quando ero ragazzino lo vedevo giocare in televisione, era un po' il mio idolo, l'ho incontrato come giocatore in campo, è stato compagno mio di Coppa Davis, quando io ero un ragazzino, è stato il mio capitano quando abbiamo vinto la Coppa Davis e in questi ultimi 20 anni siamo sempre stati insieme, abbiamo condiviso tante cose". Questo il ricordo di Corrado Barazzutti all'Adnkronos.
"Nicola era un amico, era una persona alla quale ero molto vicino e un grande personaggio sportivo. Eta un ambasciatore nel mondo del tennis e dello sport, un ambasciatore di principi e di valori, un grande personaggio sportivo che ha dato tantissimo al tennis e allo sport italiano", ha concluso l'ex capitano di Coppa Davis.
Pescosolido: "Oggi è giorno triste, perdiamo un simbolo"
"Oggi è un giorno molto triste per il tennis italiano e in generale per il nostro sport. Perdiamo un simbolo, una leggenda. E' stato con lui che sono arrivate le prime vittorie per il nostro tennis, è stato il primo a vincere uno torneo del Grande Slam, a Parigi. Giocatore di grande tecnica, di un'eleganza unica, con uno dei più bei rovesci della storia". Così all'Adnkronos l'ex giocatore azzurro di Coppa Davis Stefano Pescosolido.
"E' stato il giocatore simbolo della Coppa Davis, detiene il record di partite giocate e di partite vinte nella competizione -ricorda Pescosolido-. Da giocatore non l'ha mai vinta pur essendo arrivato in finale ma poi fece un capolavoro nel 1976 vincendola da capitano, riuscendo a unire un gruppo con personalità forti e molto diverse tra loro", ha concluso Pescosolido.
Binaghi: "Lui il primo a insegnarci a vincere, gli devo molto"
Angelo Binaghi lo ricorda come molto più di un campione: "È stato il primo a insegnarci cosa volesse dire vincere davvero, dentro e fuori dal campo. È stato il punto di partenza di tutto quello che il nostro tennis è diventato. Con lui abbiamo capito che anche noi potevamo competere con il mondo, che sognare in grande non era più un azzardo".
"Quando si parla di Nicola, si pensa subito ai record, alle Coppe Davis, ai titoli e ai trionfi che resteranno per sempre nella nostra storia. Ma la verità è che Nicola era molto di più. Era un modo di essere. Con la sua ironia tagliente, il suo spirito libero, la sua voglia inesauribile di vivere e di scherzare, riusciva a rendere il tennis qualcosa di umano, di vero, di profondamente italiano", ha aggiunto Binaghi.
"Parlare con lui era sempre un piacere e una sorpresa: potevi uscire da una conversazione ridendo a crepapelle o con una riflessione che ti restava dentro per giorni. Nel mio ufficio c’è una foto a cui tengo moltissimo: io bambino, raccattapalle in una sfida di Coppa Davis a Cagliari, e davanti a me proprio lui, Nicola Pietrangeli. Ogni volta che la guardo, mi sembra di tornare a quel giorno. E mi rendo conto che, in fondo, tutto per me è cominciato lì. Quella foto non è solo un ricordo: è un simbolo. Il simbolo di come un bambino possa innamorarsi di uno sport grazie a chi lo incarna in modo così pieno e naturale. Per me Nicola non era solo il più grande giocatore della nostra storia. Era il tennis, nel senso più profondo del termine", ha proseguito Binaghi nel suo racconto di una icona del tennis mondiale.
"Gli devo molto, come uomo e come presidente. Non solo per quello che ha fatto per la Federazione e per tutti noi, ma per come lo ha fatto: con stile, con coraggio, con quella sua irriverenza che era il segno dei veri fuoriclasse. A modo suo, Nicola non è mai cambiato: diretto, sincero, incapace di essere banale. Anche quando provocava, lo faceva con un’intelligenza che nasceva dall’amore profondo per il nostro sport. Oggi ci piace pensare che abbia raggiunto in cielo Lea, e che insieme stiano già giocando uno straordinario doppio misto, divertendosi come solo loro sapevano fare. Due icone del tennis italiano, inseparabili anche lassù". ha sottolineato Binaghi.
"Ma per noi che restiamo, è un colpo durissimo. Nel giro di poco più di un anno abbiamo perso due pezzi della nostra anima. Due persone che hanno scritto la nostra storia e che continueranno a ispirarci, ogni giorno, dentro e fuori dal campo. Ci mancherà la sua voce, ci mancherà il suo sorriso, quella sua capacità di dire sempre quello che pensava, senza paura e senza filtri. Oggi salutiamo un monumento del nostro sport, ma anche un amico vero. Uno di quelli che ti dicono le cose in faccia, che sanno farti arrabbiare e poi ridere un secondo dopo. E questo, nel mondo di oggi, vale più di mille trofei. Grazie, Nicola. Per tutto quello che ci hai dato, e per tutto quello che continuerai a rappresentare per il tennis italiano", ha concluso Binaghi.

"Andrea Delogu è una persona magnifica, fantastica". E' il messaggio che Nikita Perotti, maestro di Andrea Delogu a Ballando con le stelle, invia alla sua partner nello show del sabato sera di Raiuno. "Tengo tantissimo ad Andrea, sentivo il bisogno di stare con lei", le parole di Perotti, che è stato accanto alla conduttrice di La porta magica. Delogu, una delle concorrenti più apprezzate nel programma condotto da Milly Carlucci, poche settimane fa ha vissuto una tragedia familiare. Il fratello Evan, 18 anni, è morto in un incidente in moto a Bellaria, in Romagna.
Perotti è stato accanto alla sua compagna d'avventura anche nei giorni segnati dal dramma, creando un legame che va oltre la trasmissione. Il feeling artistico si è mostrato in tutta la sua pienezza sabato sera, con l'esibizione che ha riproposto alcuni passaggi del film Dirty Dancing. "Andrea è una persona magnifica, fantastica. Farò di tutto e per sempre per farle tornare il sorriso. Certo che penso di arrivare alla vetta, per tutto quello che sta facendo Andrea se lo merita. Io però ho già vinto dal primo giorno in cui l'ho incontrata", dice Perotti dal salotto di La volta buona.

Si è svolto oggi a Milano l’evento “Un’ondata di innovazione”, durante il quale è stata presentata la nuova edizione della Ricerca Nazionale sulle Società Benefit 2025. Attraverso gli interventi dei Partner della Ricerca - Nativa, il Research Department di Intesa Sanpaolo, InfoCamere, l’Università di Padova, la Camera di commercio di Brindisi-Taranto e Assobenefit - è emerso un quadro aggiornato e approfondito della dinamicità del mondo delle Società Benefit e del ruolo sempre più centrale che queste imprese assumono come motore di innovazione per il sistema Paese.
L’analisi approfondisce il processo di adozione del modello Benefit e la gestione dell’impatto ed è stata condotta su un campione composto da oltre 300 Società Benefit e più di 550 società non Benefit. Dalla fotografia scattata emerge che destina oltre il 5% del proprio fatturato a finalità con impatto sociale e ambientale il 20% delle Società Benefit, a fronte di appena il 6% delle imprese non-benefit. L'integrazione del modello Benefit si riflette anche nella gestione quotidiana: per quasi il 50% delle Società Benefit (vs 23% delle non-benefit) la valutazione degli impatti su ambiente e comunità è pienamente incorporata nel processo decisionale e strategico, mentre un ulteriore 47% dichiara di considerarla in almeno alcune decisioni strategiche. Solo il 6% si limita alla conformità normativa, contro il 37% registrato tra le imprese non-benefit.
La decisione di diventare Società Benefit è una scelta interna all'organizzazione, che comporta un miglioramento del posizionamento sul mercato, delle relazioni con la comunità locale e del clima aziendale. L’adozione del modello Benefit trova un forte riscontro trasversale tra gli stakeholder. Tre imprese su quattro riportano reazioni positive o molto positive da parte dei dipendenti; livelli analoghi si registrano tra associazioni non profit (73%), clienti (72%) e comunità locali (71%). In particolare, tra i benefici interni più riconosciuti dal personale emergono un maggiore senso di appartenenza all’azienda, indicato da quasi il 60% delle Società Benefit, e un miglioramento della qualità dell’ambiente di lavoro (48%).
Per quanto riguarda gli stakeholder esterni, le Società Benefit dimostrano particolare attenzione alla filiera di fornitura: il 22% adotta un approccio rigoroso, valutando le performance di sostenibilità dei fornitori e collaborando solo con quelli più virtuosi, per le non-benefit la quota si dimezza e si riduce al 10%. La difficoltà di coinvolgimento della supply chain, tuttavia, è individuata come la principale barriera all’implementazione del modello benefit (29%). Per accelerare la diffusione del modello, le imprese individuano come intervento più desiderato l’introduzione di vantaggi fiscali (81%), seguita da premialità nei bandi pubblici (64%). Misure che, secondo le aziende, potrebbero contribuire a un’ulteriore espansione dell’ecosistema delle Società Benefit in Italia.
Accanto alla crescita del numero delle Società Benefit, (5.309 al 30 settembre 2025, +22% la crescita rispetto all’anno precedente, con un valore della produzione annuale pari a 67,8 miliardi di euro), la ricerca ha approfondito anche la dimensione statutaria, analizzando gli impegni concreti e pubblici che le Società Benefit assumono nei confronti delle persone, delle comunità e dell’ambiente. L’esame puntuale di 4.110 statuti, dotati di anagrafica completa e dell’indicazione di almeno una finalità specifica di beneficio comune, ha portato all’identificazione di 23.990 finalità specifiche, con una media di 5,8 finalità per impresa.
Tre le categorie che risultano predominanti tra queste. Diritti umani e relazioni con la comunità (6.419 finalità, il 26,8%) la prima; coinvolgimento, diversità e inclusione delle persone (4.597 finalità, 19,2%). Infine, diffusione del modello Benefit (1.668 finalità, 7%), testimonianza della volontà di promuovere approcci imprenditoriali orientati alla generazione di impatti positivi.
La classificazione Esg conferma un forte orientamento verso le finalità sociali (55%), seguite da quelle ambientali (29%) e di governance (16%). Inoltre il 77% delle imprese ha adottato almeno una finalità materiale (ovvero coerente con i temi che influenzano maggiormente le performance di sostenibilità nel proprio settore), dimostrando una certa consapevolezza su quali siano i fattori critici globali per migliorare il proprio impatto. Tra le principali novità di questa edizione vi è l’approfondimento della coerenza tra le finalità di beneficio comune dichiarate negli statuti e gli interventi rendicontati nelle Relazioni di Impatto.
L’analisi effettuata sulle 99 Società Benefit di grandi dimensioni mostra una sovrapposizione molto ampia tra le “promesse” statutarie e le attività realizzate, con un dato rilevante: l’85% delle 1.824 azioni censite ha raggiunto gli obiettivi prefissati nella relazione di impatto. Tali risultati indicano capacità di tradurre in modo efficace gli impegni statutari in iniziative concrete coerenti, un segnale importante per la crescita dell’intero ecosistema delle Società Benefit.
Dal censimento delle azioni sono emersi oltre 130 temi di impatto, raccolti nel primo Dizionario dell’Impatto delle Società Benefit, strumento utile per tradurre le finalità di beneficio comune in piani operativi e pensato per sostenere la crescita del modello Benefit in Italia.

"I dati della prima coorte europea sul cabotegravir PrEP portati alla conferenza Eacs", la conferenza sull'Hiv della European Aids Clinical Society, "hanno dimostrato che con la somministrazione ogni 2 mesi l'aderenza è stata superiore al 95%". Così l'infettivologa Valentina Mazzotta dell'Uoc Immunodeficienze virali presso l'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani Irccs di Roma, intervenendo al web talk 'Innovazione nella prevenzione dell'Hiv: miti e realtà', promosso da Adnkronos e realizzato con il supporto non condizionante di Viiv Healthcare. Un incontro teso a promuovere una corretta comunicazione basata sulle evidenze scientifiche e che spinge affinché si superino i falsi miti e le convinzioni errate che ancora troppo spesso ruotano attorno all'Hiv, un'infezione che coinvolge trasversalmente la popolazione.
La prevenzione è tutto. Ad oggi per contrastare l'Hiv, ma anche altre malattie sessualmente trasmissibili e per evitare la gravidanza, "il condom offre una protezione dell'85-86%", spiega Mazzotta che però fa notare: "Il problema è che il condom non arriva dappertutto". Ad affiancare il contraccettivo "abbiamo la PrEP (Profilassi pre-esposizione), che consiste nell'assumere dei farmaci prima di rapporti potenzialmente a rischio. Se utilizzata correttamente, l'efficacia di questa strategia è vicina al 100%".
Il cabotegravir - è stato ricordato - è un farmaco PrEP a lunga durata d'azione per la prevenzione dell'Hiv, somministrato tramite iniezione intramuscolare ogni 2 mesi. E' stato approvato dall'Ema, l'Agenzia europea per i medicinali, ma "la rimborsabilità non è stata approvata dall'Aifa", l'Agenzia italiana del farmaco, prosegue l'infettivologa che illustra poi i risultati del programma pilota allo Spallanzani di Roma: "La somministrazione è avvenuta in una determinata popolazione che aveva tossicità o effetti avversi alla PrEP orale o aveva problemi di aderenza, cioè a rispettare l'assunzione orale giornaliera. Nel follow-up, che ha avuto una durata di 7 mesi, non abbiamo osservato nessuna infezione, a conferma dei dati sui trial di efficacia di cabotegravir in PrEP. Solo meno del 2% delle interruzioni è avvenuta per effetti collaterali. Nonostante con il pilota avessimo a disposizione poche fiale, e quindi una limitata disponibilità di dati riguardo la desiderabilità della PrEP a lunga durata d'azione, più del 20% delle persone capitate in quel periodo nell'ambulatorio hanno avanzato delle fortissime richieste di passare alla long acting. I pazienti aspettano queste nuove opzioni con ansia e fiducia".
Alla conferenza Eacs è stato portato anche lo studio Clarity che ha comparato accettabilità e tollerabilità di cabotegravir in PrEP con l'altra opzione di PrEP iniettiva, il lenacabavir "che, quando sarà disponibile, si somministrerà una volta ogni 6 mesi", specifica Mazzotto. "Le persone che hanno ricevuto entrambi i farmaci a distanza di alcune settimane sono poi state intervistate sulla tollerabilità a una settimana dall'iniezione. Lo studio ha dimostrato come cabotegravir è altamente accettato dalle persone che lo hanno ricevuto. Mentre chi aveva ricevuto lenacabavir ha riportato molti più eventi avversi, connessi al sito di iniezione, in particolare i noduli, essendo la somministrazione più superficiale".
Lo studio citato da Mazzotta "aveva un breve follow-up". La disponibilità di dati a lungo termine con uno studio esteso nella real world, "quando avremo i farmaci disponibili su larga scala, ci aiuterà a capire quanto l'esperienza della somministrazione possa aiutare accettabilità ed aderenza al farmaco - evidenzia la specialista - Questi farmaci ci dicono che abbiamo a disposizione trattamenti che ci aiutano a proteggersi. Dunque in questo momento non abbiamo un problema di efficacia delle strategie di prevenzione, quanto di accesso. C'è bisogno di far conoscere questa forma di prevenzione", la PrEP long acting, "e renderla fruibile e accessibile al più alto numero di persone possibili".
"I primi dati sulla PrEP in Italia, raccolti anche prima della rimborsabilità della PrEP orale - rimarca Mazzotta - riportano un problema di aderenza e interruzioni al programma di prevenzione che prevede visite, controlli e follow-up. Nel primo anno il tasso di interruzioni si attesta al 25%. I fattori sono l'età giovane, stupefacenti durante i rapporti e la non rimborsabilità del farmaco. Conoscere questi fattori predittivi è importante per caratterizzare la popolazione e capire dove agire. I grandi ostacoli all'aderenza alla PrEP sono l'accessibilità e lo stigma. Le persone fanno fatica a parlare di vita sessuale. La narrazione va ribaltata e questo passa anche dall'informazione", conclude l'infettivologa.

Cinque assoluzioni "perché il fatto non sussiste". E' la sentenza pronunciata dal gup di Milano Roberto Crepaldi nei confronti dell'avvocata Alessia Pontenani, di quattro psicologhe e dello psichiatra Marco Garbarini accusati a vario titolo di favoreggiamento e falso nel caso di Diana Pifferi, condannata in appello a 24 anni di carcere per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana. Il pubblico ministero Francesco De Tommasi aveva chiesto condanne fino a 4 anni. Le motivazioni del verdetto odierno saranno rese note tra 30 giorni.
Per la pubblica accusa le psicologhe avrebbero "falsamente" attestato un quoziente intellettivo pari a 40 per Alessia Pifferi e quindi un "deficit grave" laddove invece il test Wais, non era da somministrare alla detenuta che "non era un soggetto a rischio di atti anticonservativi e si presentava lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e determinata". Una condotta che avrebbe avuto come obiettivo quello di fornire una base documentale che permettesse di richiedere e ottenere in giudizio, "la tanto agognata perizia psichiatrica" e provare così a evitare il massimo della pena. Secondo il pm le indagate avrebbero 'imbeccato' l'imputata - anche usando protocolli con "punteggi già inseriti" - affinché ottenesse una perizia psichiatrica in grado di accertarle un deficit, un'attività difensiva non lecita.
Le psicologhe - per l'accusa - sarebbero andate oltre il loro compito, somministrando test "incompatibili con le caratteristiche psichiche effettive della detenuta" e con colloqui "falsamente annotati nel diario clinico", mentre lo psichiatra Garbarini, consulente di parte, l'avrebbe "eterodiretta" nelle risposte da fornire. Di diverso avviso il giudice e i legali. "Confidavamo in questo esito: sulla mia assistita non c'era nulla. Questo processo parallelo non doveva neanche iniziare e ha causato danni gravissimi", il commento dell'avvocato Corrado Limentani, difensore della collega Pontenani. "E una sentenza giusta che ridà dignità a questi professionisti" le parole di altri due difensori, gli avvocati Adriano Bazzoni e Mirko Mazzali.

"Nel trattamento dell'Hiv dal punto di vista clinico, a parità di assunzione e restando estremamente aderenti, il tasso di efficacia tra terapia quotidiana e terapia a lunga durata d'azione (long acting) è lo stesso. Il driver principale nella scelta della terapia long acting è il bisogno del paziente. Oggi disponiamo di un trattamento con cabotegravir che prevede una somministrazione iniettiva ogni 2 mesi. Rispetto alla terapia quotidiana garantisce una più facile riservatezza, evita il disagio sociale collegato a una malattia altamente stigmatizzata e garantisce quindi una maggiore aderenza". Così l'infettivologo Davide Moschese, della I Divisione di Malattie infettive all'ospedale Luigi Sacco, polo universitario dell'Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano, intervenendo al web talk promosso da Adnkronos 'Innovazione nella prevenzione dell'Hiv: miti e realtà', realizzato con il supporto non condizionante di Viiv Healthcare. Un incontro organizzato con l'obiettivo di promuovere una comunicazione corretta e basata sulle evidenze scientifiche, volta a superare i falsi miti e le convinzioni errate che ancora troppo spesso ruotano attorno all'Hiv, un'infezione che coinvolge trasversalmente la popolazione.
"In Italia abbiamo avuto più di 2mila infezioni, con un'incidenza di circa 4 casi ogni 100mila abitanti - ricorda Moschese riportando dati dell'Istituto superiore di sanità (Iss) - Dal 2020 al 2023 c'è stato un aumento progressivo delle nuove diagnosi con una modalità di trasmissione legata ai rapporti sessuali. Il 39% dei casi riguarda uomini che fanno sesso con uomini, il 26% e 21% riguardano uomini e donne eterosessuali". All'interno dei gruppi sopra citati "la maggior parte delle diagnosi viene effettuata nella fascia d'età tra i 30-49 anni - sottolinea lo specialista - una fascia con il più facile accesso ai servizi di testing, prevenzione e terapia, a differenza dei più giovani che invece sono meno raggiunti dai mezzi diagnostici e terapetuci".
Tra i fattori che influenzano diagnosi e terapia, alcuni sono legati ad aspetti socio economici. "Migranti e transegreder", ad esempio, "si trovano in situazioni di intersezionalità - continua l'esperto - C'è poi la mancanza di informazioni. Molte donne hanno una bassa percezione della vulnerabilità di questa infezione che nel corso dei decenni è stata descritta come maschile e legata all'orientamento sessuale". Un insieme di variabili che secondo l'infettivologo ostacolano l'accesso ai test e favoriscono la diffusione dell'infezione. "La prevenzione e il trattamento dell'Hiv sono una storia di successo della medicina - conclude Moschese - Se vogliamo veramente avere impatto sulla curva epidemica italiana dobbiamo parlare dell'infezione e contrastare lo stigma. Le persone che vivono con Hiv non sono malate, vivono in una condizione che grazie alla terapia evita l'insorgere della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids). Occorre raggiungere tutta la popolazione e rendere accessibili le strategie preventive con una comunicazione sempre presente e non rilegata a un paio di giornate l'anno. Questo è il modo più concreto di contribuire alla salute pubblica".

"Se non sei un medico, non fare il medico". E' il messaggio della nuova campagna di comunicazione lanciata dall'Agenzia italiana del farmaco Aifa, in collaborazione con il ministero della Salute, per sensibilizzare gli italiani sull'uso consapevole degli antibiotici. In un Paese, l'Italia, che è ancora fra le realtà europee con i consumi più elevati e con "preoccupanti livelli di germi multiresistenti a più di una classe di antibiotici", spiegano i promotori dell'iniziativa che prevede spot sulle reti Rai e Mediaset, spazi dedicati su stampa ed emittenti locali e diffusione sui canali social per informare sui rischi legati all'autoprescrizione, al 'fai da te' su questi farmaci, i quali vanno al contrario "sempre assunti con la prescrizione del medico e seguendone le indicazioni".
Secondo i più recenti dati Aifa (Rapporto OsMed 2025), a livello territoriale gli antimicrobici (prevalentemente antibiotici) rappresentano la quota di consumi di farmaci più elevata (1,7%) in Italia, superata solo dalla Francia (2%). Nel nostro Paese, inoltre, si è registrato un aumento del 7% nel periodo 2021-2024, più che nel resto d'Europa (+4,4%). L'uso improprio contribuisce ad alimentare il fenomeno drammatico dell'antimicrobico-resistenza, la capacità cioè dei batteri di rafforzarsi e sopravvivere agli antibiotici, rendendoli di fatto inefficaci, con conseguenze anche molto gravi per la salute, spiega l'ente regolatorio in una nota. Non riuscire a controllare un'infezione significa rischiare la vita, specie se si è un paziente fragile.
La situazione descritta dai dati, osservano dall'agenzia, è il segnale che "occorre un impegno maggiore per circoscrivere l'impiego di antibiotici ai casi di reale necessità". Ridurre i consumi impropri significa assumerli "solo dopo aver consultato il medico, nelle dosi e per il tempo indicati", senza interrompere prematuramente il trattamento al primo miglioramento dei sintomi, ed evitando di utilizzare antibiotici avanzati da precedenti cure. Significa per esempio - continua l'Aifa - essere consapevoli che l'influenza stagionale è causata da virus e non da batteri e che quindi ricorrere all'antibiotico in questi casi, oltre a non produrre benefici, può peggiorare lo stato di salute della persona malata ed esporla a effetti indesiderati anche importanti. Con tono ironico, la campagna mette in guardia dall'affidarsi all'autodiagnosi consultando il 'dottor Google' o l'intelligenza artificiale, e sottolinea l'importanza di non ricorrere all'automedicazione con gli antibiotici ai primi sintomi influenzali.
"L'uso responsabile degli antibiotici - afferma il ministro della Salute, Orazio Schillaci - è necessario per contrastare la resistenza dei batteri che, come sappiamo, si traduce poi nel rischio di infezioni ospedaliere. Con questa campagna vogliamo sensibilizzare i cittadini a non consumare antibiotici se non affidandosi al proprio medico per garantire appropriatezza e una adeguata aderenza terapeutica. L'antibiotico-resistenza è una priorità di salute pubblica che vede il ministero impegnato su più fronti anche per lo sviluppo di antibiotici. E' una sfida, però, che richiede l'impegno di tutti: istituzioni, operatori sanitari e cittadini".
"Con questa iniziativa di comunicazione puntiamo a scoraggiare il fai da te, ribadendo con forza che non bisogna mai sostituirsi al medico - interviene il presidente di Aifa, Robert Nisticò - E' importante comprendere che l'antibiotico va usato se necessario e solo il medico può valutare caso per caso se prescrivere un antibiotico e quale sia il più indicato, tenendo conto di diversi fattori, perché gli antibiotici non sono tutti uguali. Un'altra parola chiave è prevenzione: possiamo fare molto per limitare le infezioni, con misure di igiene e comportamenti responsabili, anche e soprattutto negli ospedali e nelle strutture di lungodegenza, dove abbiamo pazienti più fragili e più esposti e dove è ancora più importante alzare la guardia. Solo un impegno di tutti verso un obiettivo comune può aiutarci a mantenere efficaci anche per il futuro questi preziosi strumenti di salute".

Il giovane pilota della Mercedes Kimi Antonelli è stato minacciato di morte dopo che la Red Bull ha insinuato che si fosse spostato deliberatamente per essere superato da Lando Norris nelle fasi finali del Gran Premio del Qatar di Formula 1. Norris è salito al quarto posto dopo che Antonelli è andato largo al penultimo giro della gara di domenica.
Norris ha guadagnato così due punti dall'errore di Antonelli, il che significa che ora può arrivare terzo, anziché secondo, nell'ultima gara di stagione di questo fine settimana ad Abu Dhabi, con la certezza di battere la Red Bull di Max Verstappen nella corsa al titolo. Ed è stata proprio la scuderia dell'olandese a 'notare' l'errore di Antonelli e insinuare qualche dubbio, preludio della shitstorm che si è abbattuta sul giovane pilota italiano.
Le accuse Red Bull: "Sembra che l'ha fatto passare" e la shitstorm
Il primo ad accusare, neanche troppo velatamente, Kimi Antonelli è stato l'ingegnere di pista di Verstappen, Gianpiero Lambiase, ha detto via radio al suo pilota, vincitore in Qatar: "Sembrava che (Antonelli) si fosse semplicemente fermato e avesse lasciato passare Norris".
Anche il consulente motorsport della Red Bull, Helmut Marko, ha criticato il 19enne esordiente, sostenendo che avrebbe "salutato" Norris. Antonelli, che ha sostituito Lewis Hamilton alla Mercedes, ha da allora oscurato la sua immagine del profilo Instagram[1] in seguito a una valanga di attacchi online.
La Press Association è stata informata che la Mercedes ha identificato "più di 1100 commenti gravi o sospetti", "molti dei quali erano minacce di morte", sugli account social di Antonelli. Altri 330 commenti "gravi o sospetti" sono stati segnalati anche sui canali social della Mercedes che ha condiviso i dati con la campagna United Against Online Abuse della Fia.
Le scuse della Red Bull e la difesa di Wolff
La Red Bull è stata spinta a presentare delle scuse. Una dichiarazione della Red Bull Racing recita: "I commenti fatti prima della fine e subito dopo il Gp del Qatar, secondo cui il pilota della Mercedes Kimi Antonelli avrebbe deliberatamente permesso a Lando Norris di sorpassarlo, sono chiaramente errati. Il filmato di replay mostra Antonelli che perde momentaneamente il controllo della sua vettura, permettendo così a Norris di sorpassarlo. Ci rammarichiamo sinceramente che questo abbia portato Kimi a ricevere insulti online".
La McLaren è alimentata da motori Mercedes e, parlando domenica sera, il team principal della Mercedes, Toto Wolff, ha dichiarato: "Questa è una totale, assoluta assurdità che mi fa impazzire. Stiamo lottando per il secondo posto nel campionato costruttori, il che è importante per noi. Kimi sta lottando per un potenziale terzo posto in gara. Voglio dire, quanto si può essere stupidi anche solo a dire una cosa del genere? E mi dà fastidio. Perché sono infastidito dalla gara in sé, da come è andata. Sono infastidito dall'errore alla fine. Sono infastidito da altri errori. E poi sentire queste assurdità mi fa impazzire".
"Ho parlato con Lambiase. Ovviamente erano emotivi in quel momento. Gli ho detto: 'Lui (Antonelli) è semplicemente uscito di pista. Ha avuto un piccolo momento di difficoltà nella curva precedente e poi ha perso velocità in ingresso nella curva a sinistra. Può succedere'. Quindi con lui è tutto chiaro. Abbiamo chiarito la situazione. Ha detto di non aver capito la situazione. Ma perché dovremmo farlo? Perché dovremmo anche solo pensare di interferire in un campionato piloti? Bisogna davvero controllare se stessi e capire se si vedono fantasmi".

A pochi giorni dalla diffusione dei risultati preliminari globali dello studio di fase 3 Oceanic-Stroke, Bayer Italia sottolinea il contributo del nostro Paese a un trial che potrebbe aprire un nuovo capitolo nella prevenzione secondaria dell'ictus ischemico non cardioembolico. Lo studio, che ha valutato l'inibitore del Fattore XIa asundexian in aggiunta alla terapia antiaggregante - informa una nota - ha mostrato una riduzione significativa del rischio di ictus ischemico rispetto al placebo, senza aumentare i sanguinamenti maggiori, raggiungendo così entrambi gli endpoint primari di efficacia e sicurezza. L'Italia ha dato un contributo importante alla ricerca con 22 centri clinici coinvolti in tutto il Paese. Grazie ai dati raccolti e alla gestione accurata del follow-up, i centri italiani hanno supportato lo studio in modo determinante, rafforzando la robustezza scientifica dei risultati globali.
L'ictus rappresenta ancora una sfida di portata globale: ogni anno colpisce circa 12 milioni di persone e nel 20–30% dei casi si tratta di recidive. E' la seconda causa di morte nel mondo e le recidive spesso comportano esiti ancora più gravi rispetto al primo episodio. Nonostante le terapie oggi disponibili, il rischio di un nuovo evento rimane elevato: 1 sopravvissuto su 5 può andare incontro a un secondo ictus entro 5 anni. "Lo studio Oceanic-Stroke - afferma Andrea Zini, direttore della Neurologia e Rete Stroke dell'Irccs Istituto delle scienze neurologiche dell'ospedale Maggiore di Bologna - segna un cambiamento importante nella ricerca neurologica. Gli inibitori del Fattore XIa come asundexian rappresentano una nuova frontiera nella prevenzione dell'ictus, un passo significativo nella lotta contro le recidive, soprattutto per i pazienti con ictus ischemico non cardioembolico per i quali le opzioni terapeutiche non sono state sostanzialmente innovate negli ultimi anni. Asundexian, primo farmaco di questa classe a completare con successo uno studio di fase 3, potrebbe offrire una soluzione efficace per ridurre il rischio di ictus ricorrenti in questa popolazione. La terapia antiaggregante attualmente in uso non è sufficiente per prevenire completamente i secondi ictus, il che rende l'approvazione di nuovi trattamenti ancora più cruciale"
Asundexian ha ottenuto la designazione fast track dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti come potenziale trattamento per la prevenzione dell'ictus nei pazienti con ictus ischemico non cardioembolico, ricorda la nota. Tuttavia - si legge - va sottolineato che asundexian è ancora un farmaco sperimentale e non è stato ancora approvato da alcuna autorità sanitaria. Lo studio Oceanic-Stroke ha analizzato efficacia e sicurezza di asundexian, inibitore orale del Fattore XIa, somministrato alla dose di 50 mg una volta al giorno, per la prevenzione dell'ictus ischemico in pazienti che avevano recentemente avuto un ictus ischemico non cardioembolico o un attacco ischemico transitorio (Tia) ad alto rischio. Il trattamento è stato valutato in combinazione con la terapia antipiastrinica standard. Si tratta di uno studio multicentrico e internazionale, randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco, a gruppi paralleli e guidato dal numero di eventi, che ha arruolato oltre 12.300 pazienti.

“Quando parliamo di Hiv non parliamo solo di una malattia, ma di stigma, di diritti e accesso alle cure. Se la scienza su questa infezione ha fatto enormi passi avanti, la comunicazione sembra essere rimasta un po' indietro: termini come contagiato, infetto, focolai, vittime dell'Aids, sieropositivo, non sono solo errori semantici, hanno un impatto e delle conseguenze reali. Superare questo tipo di comunicazione è un segno di rispetto verso le persone”.
Lo ha detto Irma D’Aria, giornalista medico scientifica di Medikea, partecipando al web talk promosso da Adnkronos ‘Innovazione nella prevenzione dell’Hiv: miti e realtà’, realizzato con il supporto non condizionante di Viiv Healthcare. Un incontro che ha visto anche la partecipazione di due infettivologi e che è stato organizzato con l'obiettivo di superare i falsi miti e le convinzioni errate che ancora troppo spesso ruotano attorno all’Hiv, attraverso una comunicazione corretta, basata sulle evidenze scientifiche.
Proprio sul tasto della comunicazione ha battuto la giornalista scientifica. “Di Hiv si parla poco e sui social se ne parla male, con atteggiamenti colpevolizzanti. Inoltre, circolano fake news potenti”, sottolinea. Poi si sofferma sui due antipodi che caratterizzano l’argomento: “Da una parte il catastrofismo, dall'altra una normalizzazione eccessiva. Una dualità che può portare i giovani a vivere una prevenzione superficiale - avverte - Noi giornalisti dovremmo prendere maggiore consapevolezza del mestiere che facciamo e il ruolo che abbiamo e combattere i falsi miti più diffusi. Dobbiamo costruire articoli, contenuti, anche in maniera semplice, che diano un contributo più fattivo”.
D’Aria ricorda inoltre l’importanza di diffondere una corretta informazione partendo dalle scuole, ma anche la necessità di adattare il tipo di comunicazione al contesto socio-culturale attuale: “Sui media mainstream i giovani non ci leggono più - dice - La comunicazione sui canali social va affidata ai giornalisti, non agli influencer, a meno che non siano particolarmente esperti - raccomanda - Bisogna usare un linguaggio coinvolgente per arrivare direttamente ai giovani. Inoltre - aggiunge - occorre puntare sui canali di comunicazione tradizionali per arrivare alle famiglie, che, a un certo punto, dovrebbero affrontare il tema sessualità con i loro figli - sottolinea ricordando che - Spesso i genitori riescono a parlare di contraccezione per evitare una gravidanza, ma difficilmente si parla di malattie sessualmente trasmissibili”. Per la giornalista, la necessità più stringente quando si parla dell’infezione è quella di “riuscire a comunicare che una persona con Hiv”, che segue una terapia antiretrovirale, “non trasmette il virus”.
C’è anche un’altra urgente necessità: “Per restituire un po' di umanità a un tema per troppo tempo raccontato con stigma, vanno coinvolte direttamente le persone con Hiv – spiega D’Aria - Perché nessuna campagna può funzionare se parla sulle persone anziché con le persone che vivono l'infezione”. Poi un invito ai colleghi giornalisti: “Anche se spesso le condizioni in cui lavoriamo ci portano a fare il nostro lavoro di corsa, non smettiamo mai di chiederci che impatto hanno le parole che scegliamo” conclude.
Il regista partenopeo al Teatro Massimo di Cagliari con Vizita...
Previste chiusure per mercoledì 3 dicembre... 
"Con questa nuova installazione di Joana Vasconcelos, il I Municipio rinnova il suo impegno nel valorizzare i luoghi simbolo della città attraverso progetti culturali che parlano al presente e costruiscono futuro. 'Solitário' non è solo un’opera spettacolare, è un invito alla riflessione collettiva e alla partecipazione, un modo per riportare l’arte al centro della vita urbana e restituirla alla cittadinanza". Così la presidente del I Municipio di Roma Lorenza Bonaccorsi dopo l'arrivo di "Solitário", la nuova installazione dell’artista internazionale Joana Vasconcelos, da oggi visibile sulla Terrazza del Pincio. L’opera approda in uno dei luoghi più iconici della città grazie al patrocinio di Roma Capitale e alla collaborazione con il Municipio Roma I Centro, che ha sostenuto fin dall’inizio la realizzazione e l’inserimento del progetto nel contesto urbano.
La cerimonia di unveiling si è svolta questa mattina alla presenza del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, dell’artista e di Giancarlo Giammetti, ribadendo il valore istituzionale dell’intervento e la visione condivisa di una città che porta l’arte negli spazi pubblici. La scultura, costruita con 110 cerchioni dorati e una piramide rovesciata composta da 1.450 bicchieri di cristallo, propone un linguaggio visivo monumentale e allo stesso tempo sofisticato, suggerendo una rilettura contemporanea dei simboli di status e della loro trasformazione. "Solitário" dialoga direttamente con la Terrazza del Pincio, palcoscenico monumentale e suggestivo, invitando a riflettere non solo sul ruolo dei simboli nella società contemporanea ma anche sui temi legati al genere, all’identità e alle narrazioni collettive. Il progetto prende forma grazie al Patrocinio di Roma Capitale e alla collaborazione con il Municipio Roma I Centro, che insieme alla Fondazione Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti ha costruito un percorso culturale fatto di installazioni, laboratori e iniziative diffuse, con l’obiettivo di promuovere democratizzazione dell’arte e rigenerazione urbana.
Per l'assessore alla Cultura, Giulia Silvia Ghia, "la collaborazione siglata tramite un accordo con la Fondazione Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti conferma quanto la cultura possa essere motore di inclusione e rigenerazione. Quest’opera, in dialogo con un luogo iconico come la Terrazza del Pincio, dimostra come arte e comunità possano incontrarsi generando bellezza, curiosità e nuove visioni. È un passo ulteriore verso una città che vive la cultura come esperienza condivisa". Con questa installazione, il Municipio Roma I Centro rafforza il proprio impegno nel rendere la cultura un elemento vivo della città, capace di creare relazione, partecipazione e nuove forme di identità urbana.

Il rapporto con Gino Paoli, la figlia Amanda, la carriera e le scelte. Stefania Sandrelli ospite a Belve, nella puntata in onda domani 2 dicembre su Raidue, risponde alle domande di Francesca Fagnani.
Si parte dall'incontro con Gino Paoli ("non sapevo che era sposato" dice), la passione ("ci siamo levati parecchie soddisfazioni"), l'arrivo della figlia Amanda nata 3 mesi dopo il figlio che Paoli ebbe con sua moglie Anna. "Come ha fatto ad accettare questa contemporaneità?", domanda la giornalista. "Amore a tre mai! Mi disse che non era stato lui, non gli ho creduto. Ha sempre negato. Disse anche che lei era libera di fare quello che voleva: anni dopo con Anna ne abbiamo parlato e riso insieme", risponde Sandrelli che nello studio di Belve rivela di aver fatto l’amore "in cima alla Basilica San Pietro, sulla scala verso la cupola".
"Chi era il fortunato?" chiede Fagnani. "Il solito" ammette Sandrelli riferendosi a Gino Paoli. L'attrice poi si commuove quando ricorda gli anni della separazione forzata dalla figlia Amanda che andò a vivere con il padre Paoli e la moglie, quando era sposata con Nichi Pende che ebbe problemi con l’alcol. "Ho sofferto molto. Mi sono separata da mio marito, non potevo rinunciare a mia figlia".
"Il sesso ha contato molto nella sua vita?" chiede Fagnani." Sì e sono molto contenta che Gino mi abbia svezzata. Perché anche lui era molto esuberante" risponde Sandrelli. La giornalista poi scherza su qualche suo vezzo "da diva". "Si dice che lei non debba mettere sempre gli slip". "Mi danno fastidio. Sono più le volte che non le metto..." dice Sandrelli. E Fagnani aggiunge: "Questa abitudine non l'ha persa?". "No, infatti stasera ho le calze". chiosa l’attrice con un sorriso.
Capitolo carriera: dopo aver lavorato con alcuni maestri del cinema, negli anni ’80 gira 'La chiave' di Tinto Brass. "Intraprende il filone erotico a 40 anni, perché?" chiede Fagnani. "La sceneggiatura era molto bella, ho avuto voglia di farlo", spiega Sandrelli. "Quando si è rivista ha sentito imbarazzo?", insiste Fagnani. "No. Mi sono piaciuta. E poi mi ha liberata…", risponde Sandrelli.
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