(Adnkronos) - "L'Italia ha un sistema universitario e sanitario straordinario, con professionisti di altissimo livello. Dobbiamo però creare nuovi modelli formativi per preparare figure specializzate nella ricerca, integrando teoria e pratica direttamente in ospedale. Oggi possiamo utilizzare i big data e le tecnologie digitali per monitorare in tempo reale l'efficacia delle terapie e personalizzare le cure. Ad esempio, nel nostro ospedale gestiamo un database di 1 milione e mezzo di pazienti che ci permette di analizzare i risultati clinici e migliorare i trattamenti. Dobbiamo superare la burocrazia, rendere il sistema più rapido e integrato, capace di competere a livello internazionale e di offrire ai pazienti italiani le migliori cure possibili". Così Antonio Gasbarrini, preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell'università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, partecipando oggi al convegno 'Health Innovation Show 2025', evidenzia le sottolinea le sfide e le potenzialità del sistema italiano della ricerca clinica.  

Guardando la realtà italiana, "mancano figure professionali formate per supportare la ricerca clinica, non solo nei grandi ospedali ma anche nelle piccole realtà - evidenzia l'esperto - Serve formazione specifica per medici, infermieri e amministrativi, perché tutti conoscano e applichino le regole della Good Clinical Practice". Gasbarrini denuncia inoltre "tempi burocratici lunghi che rallentano la ricerca e differenze regionali che penalizzano la continuità e la qualità degli studi".  

Sulla necessità di "mettere al centro il paziente" per "dare una risposta reale" di salute, Gasbarrini spiega che la ricerca "si divide in 3 blocchi fondamentali: la ricerca di base, che studia i meccanismi cellulari; la ricerca traslazionale, che avvicina il laboratorio al malato, e la ricerca clinica applicata, spesso sponsorizzata da aziende farmaceutiche e produttrici di dispositivi, che arriva direttamente al paziente". In questo contesto rimarca l'importanza delle "regole rigide di agenzie del farmaco come Aifa ed Ema", rispettivamente italiana ed europea, che "sono fatte proprio per garantire la sicurezza del paziente: non si può accettare un farmaco che non sia sicuro, anche se promette di curare una malattia grave", conclude. 

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