
Il voto, questione di vita o di morte. Alla prossime elezioni tutti alle urne, se non altro per scaramanzia. Mentre in Italia si avvicina il tempo di nuove Regionali, una ricerca scientifica condotta in Finlandia accende i riflettori su un'inaspettata associazione che non è - premettono gli autori - automaticamente indicativa di un rapporto causa-effetto: il comportamento di voto, emerge dallo studio, sarebbe fortemente collegato al rischio futuro di morte.
I dati
Nel dettaglio, chi si dovrebbe preoccupare sono gli astensionisti: secondo uno dei dati rilevati dai ricercatori, non votare è costantemente associato a un rischio maggiore del 73% di morte per qualsiasi causa tra gli uomini e del 63% tra le donne. Il messaggio degli scienziati è che questo fattore - così come l'istruzione e forse addirittura di più - potrebbe essere considerato davvero un potenziale determinante sociale della salute, cioè uno di quei fattori non medici che influenzano il benessere.
Non è la prima volta che se ne parla. Anche ricerche pubblicate in precedenza suggeriscono che gli elettori in genere godono di una salute migliore rispetto ai non elettori, ma non è chiaro se la partecipazione elettorale possa anche essere un fattore predittivo del rischio di morte futura.
Per approfondire la questione, gli autori dello studio - pubblicato online sul 'Journal of Epidemiology & Community Health' - hanno attinto ai dati, relativi all'intero elettorato dei cittadini finlandesi residenti nella Finlandia continentale e di età pari o superiore a 30 anni, sulla partecipazione elettorale alle Parlamentari del 1999.
Affluenza e salute, lo strano binomio
L'affluenza alle urne in questa fascia d'età è stata del 71,5% per gli uomini e del 72,5% per le donne. In totale, 3.185.572 persone (1.508.824 uomini e 1.676.748 donne) sono state incluse nello studio e la loro sopravvivenza è stata monitorata dal 21 marzo 1999 (giorno delle elezioni) fino alla morte o comunque alla fine del 2020. In questo lasso di tempo (1999-2020) sono morte 1.053.483 persone: 95.350 per cause esterne (incidenti, violenza e cause attribuibili all'alcol); 955.723 per altre cause sottostanti. Mentre 2.410 persone la cui causa di morte non era nota sono state escluse dall'analisi finale.
L'associazione fra non votare e un rischio maggiore di morte per qualsiasi causa risultava forte, spiegano gli autori. Dopo aver aggiustato il livello di istruzione (di base o sconosciuto; secondario o terziario), il rischio si è ridotto al 64% tra gli uomini e al 59% tra le donne. La differenza nel rischio di morte tra elettori e non elettori era maggiore rispetto a quella tra coloro che avevano un'istruzione di base e coloro che avevano un'istruzione terziaria. Ed era più forte per cause esterne di morte piuttosto che per altre cause.
Aggiustato per età, questo rischio era doppio tra gli uomini e le donne che non votavano rispetto a coloro che votavano. E la differenza nel rischio relativo di morte tra elettori e non elettori era più marcata tra gli uomini sotto i 50 anni. Un altro aspetto evidenziato dagli autori è che tra gli uomini che si trovano nel 25% più basso per reddito familiare il rischio di morte associato al mancato voto era del 9-12% più alto rispetto ad altri gruppi di reddito.
Voto, non voto e morte: ma c'è davvero un legame?
I ricercatori precisano che si tratta di uno studio osservazionale e, in quanto tale, non è possibile stabilire un rapporto di causa-effetto, ripetono ancora. Gli autori riconoscono "diversi limiti" ai risultati, tra cui il fatto che alcune persone avrebbero potuto voler votare, ma non essere state in grado di farlo, o semplicemente hanno scelto deliberatamente di non votare. Tuttavia, aggiungono, il fatto che il voto fosse più fortemente associato al rischio di morte rispetto al livello di istruzione "suggerisce una forte associazione tra voto e mortalità, dato che un sostanziale gradiente di istruzione nella mortalità è tra i modelli di mortalità sociodemografici più consolidati".
"Il voto, in quanto forma di partecipazione, è una forma di capitale sociale, legato ai benefici per la salute. Inoltre, il voto può aumentare altre forme di partecipazione civica - argomentano gli studiosi - I problemi di salute e le difficoltà correlate possono anche influire negativamente su molti importanti prerequisiti della partecipazione, tra cui l'aumento delle risorse, la motivazione al voto e la mobilitazione politica". La conclusione per gli esperti è dunque che "le informazioni sul voto possono essere utili in ambito clinico - ad esempio, l'abbandono dell'abitudine al voto può essere un segnale precoce di un significativo declino della salute - e nel monitoraggio del benessere della popolazione, della salute e delle disparità sanitarie. Inoltre, una forte associazione tra voto e mortalità solleva preoccupazioni circa la parità di rappresentanza politica".
Altro che 'libertà è partecipazione', come cantava Giorgio Gaber. L'iconico testo dell'artista italiano, che ha suggerito a intere generazioni un nuovo modo più consapevole di sentirsi liberi, per la scienza oggi avrebbe anche una sfumatura diversa e inedita, alla luce dei nuovi studi: salute è partecipazione.

Il voto, questione di vita o di morte. Alla prossime elezioni tutti alle urne, se non altro per scaramanzia. Mentre in Italia si avvicina il tempo di nuove Regionali, una ricerca scientifica condotta in Finlandia accende i riflettori su un'inaspettata associazione che non è - premettono gli autori - automaticamente indicativa di un rapporto causa-effetto: il comportamento di voto, emerge dallo studio, sarebbe fortemente collegato al rischio futuro di morte.
I dati
Nel dettaglio, chi si dovrebbe preoccupare sono gli astensionisti: secondo uno dei dati rilevati dai ricercatori, non votare è costantemente associato a un rischio maggiore del 73% di morte per qualsiasi causa tra gli uomini e del 63% tra le donne. Il messaggio degli scienziati è che questo fattore - così come l'istruzione e forse addirittura di più - potrebbe essere considerato davvero un potenziale determinante sociale della salute, cioè uno di quei fattori non medici che influenzano il benessere.
Non è la prima volta che se ne parla. Anche ricerche pubblicate in precedenza suggeriscono che gli elettori in genere godono di una salute migliore rispetto ai non elettori, ma non è chiaro se la partecipazione elettorale possa anche essere un fattore predittivo del rischio di morte futura.
Per approfondire la questione, gli autori dello studio - pubblicato online sul 'Journal of Epidemiology & Community Health' - hanno attinto ai dati, relativi all'intero elettorato dei cittadini finlandesi residenti nella Finlandia continentale e di età pari o superiore a 30 anni, sulla partecipazione elettorale alle Parlamentari del 1999.
Affluenza e salute, lo strano binomio
L'affluenza alle urne in questa fascia d'età è stata del 71,5% per gli uomini e del 72,5% per le donne. In totale, 3.185.572 persone (1.508.824 uomini e 1.676.748 donne) sono state incluse nello studio e la loro sopravvivenza è stata monitorata dal 21 marzo 1999 (giorno delle elezioni) fino alla morte o comunque alla fine del 2020. In questo lasso di tempo (1999-2020) sono morte 1.053.483 persone: 95.350 per cause esterne (incidenti, violenza e cause attribuibili all'alcol); 955.723 per altre cause sottostanti. Mentre 2.410 persone la cui causa di morte non era nota sono state escluse dall'analisi finale.
L'associazione fra non votare e un rischio maggiore di morte per qualsiasi causa risultava forte, spiegano gli autori. Dopo aver aggiustato il livello di istruzione (di base o sconosciuto; secondario o terziario), il rischio si è ridotto al 64% tra gli uomini e al 59% tra le donne. La differenza nel rischio di morte tra elettori e non elettori era maggiore rispetto a quella tra coloro che avevano un'istruzione di base e coloro che avevano un'istruzione terziaria. Ed era più forte per cause esterne di morte piuttosto che per altre cause.
Aggiustato per età, questo rischio era doppio tra gli uomini e le donne che non votavano rispetto a coloro che votavano. E la differenza nel rischio relativo di morte tra elettori e non elettori era più marcata tra gli uomini sotto i 50 anni. Un altro aspetto evidenziato dagli autori è che tra gli uomini che si trovano nel 25% più basso per reddito familiare il rischio di morte associato al mancato voto era del 9-12% più alto rispetto ad altri gruppi di reddito.
Voto, non voto e morte: ma c'è davvero un legame?
I ricercatori precisano che si tratta di uno studio osservazionale e, in quanto tale, non è possibile stabilire un rapporto di causa-effetto, ripetono ancora. Gli autori riconoscono "diversi limiti" ai risultati, tra cui il fatto che alcune persone avrebbero potuto voler votare, ma non essere state in grado di farlo, o semplicemente hanno scelto deliberatamente di non votare. Tuttavia, aggiungono, il fatto che il voto fosse più fortemente associato al rischio di morte rispetto al livello di istruzione "suggerisce una forte associazione tra voto e mortalità, dato che un sostanziale gradiente di istruzione nella mortalità è tra i modelli di mortalità sociodemografici più consolidati".
"Il voto, in quanto forma di partecipazione, è una forma di capitale sociale, legato ai benefici per la salute. Inoltre, il voto può aumentare altre forme di partecipazione civica - argomentano gli studiosi - I problemi di salute e le difficoltà correlate possono anche influire negativamente su molti importanti prerequisiti della partecipazione, tra cui l'aumento delle risorse, la motivazione al voto e la mobilitazione politica". La conclusione per gli esperti è dunque che "le informazioni sul voto possono essere utili in ambito clinico - ad esempio, l'abbandono dell'abitudine al voto può essere un segnale precoce di un significativo declino della salute - e nel monitoraggio del benessere della popolazione, della salute e delle disparità sanitarie. Inoltre, una forte associazione tra voto e mortalità solleva preoccupazioni circa la parità di rappresentanza politica".
Altro che 'libertà è partecipazione', come cantava Giorgio Gaber. L'iconico testo dell'artista italiano, che ha suggerito a intere generazioni un nuovo modo più consapevole di sentirsi liberi, per la scienza oggi avrebbe anche una sfumatura diversa e inedita, alla luce dei nuovi studi: salute è partecipazione.
Leggi tutto: "Rischio morte più alto se non vai a votare", lo studio e le elezioni salvavita

"La Russia non minaccia nessuno". Vladimir Putin invia un messaggio apparentemente rassicurante. Le parole del presidente della Russia, però, sono il prologo ad un discorso che va in un'altra direzione. Mentre la guerra con l'Ucraina si avvia verso il quarto anno - con combattimenti durissimi nell'est per il controllo dello snodo cruciale di Pokrovsk - il numero 1 del Cremlino accende i riflettori, ancora una volta, sul potenziale bellico di Mosca.
La Russia continua ad annunciare nuove armi e gonfia i muscoli per un arsenale che, a sentire Putin, non ha rivali. Gli ultimi nuovi arrivi sono il Burevestnik, il missile 'infinito', e il Poseidon, il drone sottomarino[1]. In entrambi i casi, si tratta di armi che possono trasportare testate nucleari. "Lo sviluppo di Burevestnik e Poseidon ha un significato storico per tutto il XXI secolo", dice Putin con enfasi prima di soffermarsi sui due elementi.
Il Burevestnik, secondo le informazioni diffuse dalla Russia, nel test di ottobre è rimasto in volo per oltre 15 ore e ha coperto 14mila chilometri. Il collaudo del 21 ottobre, a quanto pare, è stato osservato anche da una nave di un paese Nato: "Le Forze Armate russe non hanno impedito alla nave di condurre ricognizione nella zona di prova", dice Putin. Qual è stato l'ordine del Cremlino? "Lasciate che guardino".
"Per quanto riguarda la gittata, Burevestnik ha superato tutti i sistemi missilistici conosciuti al mondo. Le nuove generazioni di armamenti sono già in fase di sviluppo basandosi sull'impianto nucleare come quello di Burevestnik", gongola Putin, che sogna un'applicazione della tecnologia anche al di fuori dell'ambito bellico. "Le tecnologie di Burevestnik e Poseidon aiuteranno nella creazione di una stazione avanzata sulla Luna", dice.
Per ora si rimane sulla Terra e si pensa alla guerra: "Quest'anno la Federazione Russa metterà in servizio sperimentale operativo i missili Sarmat e l'anno prossimo li metterà in servizio operativo", dice ancora prima di sottolineare le qualità del drone Poseidon: "I nuovi principi di funzionamento daranno impulso allo sviluppo di tecnologie utilizzabili sulla piattaforma continentale nell'Artico".
Leggi tutto: Putin mostra le super armi e 'sfotte' la Nato: lo show dello zar

(Adnkronos) - "La Russia non minaccia nessuno". Vladimir Putin invia un messaggio apparentemente rassicurante. Le parole del presidente della Russia, però, sono il prologo ad un discorso che va in un'altra direzione. Mentre la guerra con l'Ucraina si avvia verso il quarto anno - con combattimenti durissimi nell'est per il controllo dello snodo cruciale di Pokrovsk - il numero 1 del Cremlino accende i riflettori, ancora una volta, sul potenziale bellico di Mosca.
La Russia continua ad annunciare nuove armi e gonfia i muscoli per un arsenale che, a sentire Putin, non ha rivali. Gli ultimi nuovi arrivi sono il Burevestnik, il missile 'infinito', e il Poseidon, il drone sottomarino. In entrambi i casi, si tratta di armi che possono trasportare testate nucleari. "Lo sviluppo di Burevestnik e Poseidon ha un significato storico per tutto il XXI secolo", dice Putin con enfasi prima di soffermarsi sui due elementi.
Il Burevestnik, secondo le informazioni diffuse dalla Russia, nel test di ottobre è rimasto in volo per oltre 15 ore e ha coperto 14mila chilometri. Il collaudo del 21 ottobre, a quanto pare, è stato osservato anche da una nave di un paese Nato: "Le Forze Armate russe non hanno impedito alla nave di condurre ricognizione nella zona di prova", dice Putin. Qual è stato l'ordine del Cremlino? "Lasciate che guardino".
"Per quanto riguarda la gittata, Burevestnik ha superato tutti i sistemi missilistici conosciuti al mondo. Le nuove generazioni di armamenti sono già in fase di sviluppo basandosi sull'impianto nucleare come quello di Burevestnik", gongola Putin, che sogna un'applicazione della tecnologia anche al di fuori dell'ambito bellico. "Le tecnologie di Burevestnik e Poseidon aiuteranno nella creazione di una stazione avanzata sulla Luna", dice.
Per ora si rimane sulla Terra e si pensa alla guerra: "Quest'anno la Federazione Russa metterà in servizio sperimentale operativo i missili Sarmat e l'anno prossimo li metterà in servizio operativo", dice ancora prima di sottolineare le qualità del drone Poseidon: "I nuovi principi di funzionamento daranno impulso allo sviluppo di tecnologie utilizzabili sulla piattaforma continentale nell'Artico".
Leggi tutto: Putin, lo show e il messaggio: "Ecco le super armi della Russia"

Una rovinosa caduta di Iva Zanicchi dal palco di 'Belve' negli studi di Rai 2 ha chiuso la seconda puntata del programma condotto da Francesca Fagnani. L'incidente è stato mostrato nel segmento finale della trasmissione di martedì 4 novembre. La caduta si è verificata durante la registrazione del programma, al termine dell'intervista all'ospite.
Mentre lasciava il palco, dopo l'intervista con Francesca Fagnani, la cantante 85enne è inciampata nel celeberrimo binario che attraversa lo studio ed è caduta a terra. Francesca Fagnani si è subito avvicinata, preoccupata, ma Iva Zanicchi ha rassicurato tutti. "Non mi sono fatta male, cado in continuazione", ha detto Zanicchi mentre veniva aiutata a rialzarsi in piedi. "Comunque sai cadere benissimo", ha commentato Francesca Fagnani. E poi ancora: "Ma non ti sei fatta male?". "No, perché il culo mi ha tenuto", ha risposto Iva Zanicchi. Curiosamente, prima di entrare in studio, la cantante era stata ripresa mentre firmava la liberatoria e si concedeva una battuta premonitrice: "Se mi rompo una gamba, voi ve ne fottete...".
Leggi tutto: Paura a 'Belve', Iva Zanicchi cade in studio. Lo aveva previsto...

(Adnkronos) - Una rovinosa caduta di Iva Zanicchi dal palco di 'Belve' negli studi di Rai 2 ha chiuso la seconda puntata del programma condotto da Francesca Fagnani. L'incidente è stato mostrato nel segmento finale della trasmissione di martedì 4 novembre. La caduta si è verificata durante la registrazione del programma, al termine dell'intervista all'ospite.
Mentre lasciava il palco, dopo l'intervista con Francesca Fagnani, la cantante 85enne è inciampata nel celeberrimo binario che attraversa lo studio ed è caduta a terra. Francesca Fagnani si è subito avvicinata, preoccupata, ma Iva Zanicchi ha rassicurato tutti. "Non mi sono fatta male, cado in continuazione", ha detto Zanicchi mentre veniva aiutata a rialzarsi in piedi. "Comunque sai cadere benissimo", ha commentato Francesca Fagnani. E poi ancora: "Ma non ti sei fatta male?". "No, perché il culo mi ha tenuto", ha risposto Iva Zanicchi. Curiosamente, prima di entrare in studio, la cantante era stata ripresa mentre firmava la liberatoria e si concedeva una battuta premonitrice: "Se mi rompo una gamba, voi ve ne fottete...".
Leggi tutto: Belve, Iva Zanicchi inciampa e cade mentre lascia lo studio

Irene Pivetti, ospite a 'Belve', ha detto di avere avuto una "carriera politica unica, fuori dalle statistiche". Come ha ricordato Francesca Fagnani, infatti, è diventata, a soli 31 anni, la più giovane presidente della Camera nella storia italiana e la seconda donna a ricoprire questa carica.
Poi le discusse esperienze televisive segnate da un netto cambio di look e immagine. Fagnani chiede: "Sente di essere venuta meno al decoro della carica che aveva ricoperto?". "In cosa? Le circostanze erano diverse", risponde con malcelato nervosismo Pivetti. "Ma non ha fatto un talk. Si è vestita da cat woman e ha fatto foto con Costantino Vitagliano. Nulla di male, ma è legittima la domanda", chiarisce la conduttrice e giornalista.
"A spingerla a fare tv fu il suo ex marito. Si dice che lei fosse influenzata da lui", chiede ancora Fagnani. "No, ero molto innamorata e come è giusto che sia in una coppia condividevamo molte cose", confessa Pivetti. "Era un rapporto tossico?", insiste la giornalista. "Un rapporto intenso e anche molto passionale", risponde Pivetti che poi racconta la "grande sofferenza" per la fine del secondo matrimonio "il giorno più doloroso della mia vita".

(Adnkronos) - Irene Pivetti, ospite a 'Belve', ha detto di avere avuto una "carriera politica unica, fuori dalle statistiche". Come ha ricordato Francesca Fagnani, infatti, è diventata, a soli 31 anni, la più giovane presidente della Camera nella storia italiana e la seconda donna a ricoprire questa carica.
Poi le discusse esperienze televisive segnate da un netto cambio di look e immagine. Fagnani chiede: "Sente di essere venuta meno al decoro della carica che aveva ricoperto?". "In cosa? Le circostanze erano diverse", risponde con malcelato nervosismo Pivetti. "Ma non ha fatto un talk. Si è vestita da cat woman e ha fatto foto con Costantino Vitagliano. Nulla di male, ma è legittima la domanda", chiarisce la conduttrice e giornalista.
"A spingerla a fare tv fu il suo ex marito. Si dice che lei fosse influenzata da lui", chiede ancora Fagnani. "No, ero molto innamorata e come è giusto che sia in una coppia condividevamo molte cose", confessa Pivetti. "Era un rapporto tossico?", insiste la giornalista. "Un rapporto intenso e anche molto passionale", risponde Pivetti che poi racconta la "grande sofferenza" per la fine del secondo matrimonio "il giorno più doloroso della mia vita".
Leggi tutto: Belve, Irene Pivetti: "Ho avuto una carriera unica, fuori dalle statistiche"

Mosca non modera i toni contro l’Italia e anzi rilancia. Convocato ieri alla Farnesina, l’incaricato d’affari russo ha fatto sue le parole della portavoce del ministero degli Esteri, secondo cui il crollo della Torre dei Conti a Roma sarebbe legato allo “sperpero” di soldi per sostenere militarmente Kiev. Parole definite “squallide e volgari” dalla Farnesina, che ha ribadito la “ferma condanna per le dichiarazioni inaccettabili” di Maria Zakharova. Dichiarazioni dai "toni contundenti e del tutto fuori luogo", che sottolineano ancora una volta come il ministero guidato da Sergei Lavrov "appaia talvolta più oltranzista dello stesso servizio stampa del Cremlino" nel rapporto con l'Occidente, dicono all'Adnkronos osservatori di cose moscovite.
Mosca insiste e rilancia
In un post su Facebook pubblicato a incontro ancora in corso con la direttrice generale per gli Affari politici della Farnesina ed ex ambasciatrice a Mosca Cecilia Piccioni, l’incaricato d’affari russo Mikhail Rossiyskiy[1] ha detto di aver ribadito “le fondate preoccupazioni manifestate da Zakharova sulla riduzione dei finanziamenti ai settori dei beni culturali e del patrimonio storico italiano, causata dall'impiego sconsiderato dei fondi provenienti dai contribuenti italiani a sostegno del criminale regime terroristico ucraino".
E poi, dopo aver fatto le condoglianze per la morte dell'operaio Octay Stroici, in un gesto che la Farnesina ha letto come una “smentita”, l’unica, “alla volgarità” della portavoce, il vice capo missione ne ha approfittato per esprimere "le proprie ferme rimostranze in merito all’aggressiva, esecrabile campagna antirussa promossa da Roma sui media". Senza tralasciare di denunciare “la scortesia diplomatica” di essere stato convocato nella Giornata dell’Unità nazionale, che è festa in Russia.
La dura reazione della Farnesina
Toni e affermazioni contestati con forza dalla Farnesina, dove all’incaricato d’affari - l'ambasciatore Alexey Paramonov non era in sede - è stato rivolto un richiamo formale e sono state contestate le volgari parole di Zakharova[2]. In una nota, la Farnesina ha ripetuto "con fermezza la condanna delle preoccupanti dichiarazioni della portavoce russa, diffuse mentre era in corso in Italia una tragedia che ha coinvolto vite umane". Parole "ancor più inaccettabili", è stato sottolineato, dopo i sentimenti di vicinanza espressi dall’Italia anche quando in Russia si sono verificati eventi luttuosi.
"L’Italia non cambia la sua posizione politica estera e il suo sentimento in virtù di attacchi verbali sconsiderati", rivendica la Farnesina, secondo cui "tutte le dichiarazioni aggressive che provengono dalla Russia non fanno che rafforzare l’idea del popolo italiano di difendere chi è sotto attacco in una aggressione illegale e ingiustificata, in violazione del diritto internazionale".
I toni estremi di Mosca, le ipotesi sul perché
Resta l'interrogativo sulle ragioni di una tale 'estremizzazione' del ministero degli Esteri russo. Secondo alcune fonti, potrebbe essere una forma di reazione ai recenti palesi insuccessi della diplomazia russa, provando a rispondere in termini propagandistici ai risultati deludenti e alla perdita di centralità interna. O potrebbe essere un modo di riconquistare il favore del Cremlino, dopo che Lavrov è diventato il capro espiatorio del fallimento del colloquio con Marco Rubio, che ha fatto naufragare il vertice di Budapest annunciato da Donald Trump, raccontano insider russi citati da media indipendenti.

(Adnkronos) - Mosca non modera i toni contro l’Italia e anzi rilancia. Convocato ieri alla Farnesina, l’incaricato d’affari russo ha fatto sue le parole della portavoce del ministero degli Esteri, secondo cui il crollo della Torre dei Conti a Roma sarebbe legato allo “sperpero” di soldi per sostenere militarmente Kiev. Parole definite “squallide e volgari” dalla Farnesina, che ha ribadito la “ferma condanna per le dichiarazioni inaccettabili” di Maria Zakharova. Dichiarazioni dai "toni contundenti e del tutto fuori luogo", che sottolineano ancora una volta come il ministero guidato da Sergei Lavrov "appaia talvolta più oltranzista dello stesso servizio stampa del Cremlino" nel rapporto con l'Occidente, dicono all'Adnkronos osservatori di cose moscovite.
In un post su Facebook pubblicato a incontro ancora in corso con la direttrice generale per gli Affari politici della Farnesina ed ex ambasciatrice a Mosca Cecilia Piccioni, l’incaricato d’affari russo Mikhail Rossiyskiy ha detto di aver ribadito “le fondate preoccupazioni manifestate da Zakharova sulla riduzione dei finanziamenti ai settori dei beni culturali e del patrimonio storico italiano, causata dall'impiego sconsiderato dei fondi provenienti dai contribuenti italiani a sostegno del criminale regime terroristico ucraino".
E poi, dopo aver fatto le condoglianze per la morte dell'operaio Octay Stroici, in un gesto che la Farnesina ha letto come una “smentita”, l’unica, “alla volgarità” della portavoce, il vice capo missione ne ha approfittato per esprimere "le proprie ferme rimostranze in merito all’aggressiva, esecrabile campagna antirussa promossa da Roma sui media". Senza tralasciare di denunciare “la scortesia diplomatica” di essere stato convocato nella Giornata dell’Unità nazionale, che è festa in Russia.
Toni e affermazioni contestati con forza dalla Farnesina, dove all’incaricato d’affari - l'ambasciatore Alexey Paramonov non era in sede - è stato rivolto un richiamo formale e sono state contestate le volgari parole di Zakharova. In una nota, la Farnesina ha ripetuto "con fermezza la condanna delle preoccupanti dichiarazioni della portavoce russa, diffuse mentre era in corso in Italia una tragedia che ha coinvolto vite umane". Parole "ancor più inaccettabili", è stato sottolineato, dopo i sentimenti di vicinanza espressi dall’Italia anche quando in Russia si sono verificati eventi luttuosi.
"L’Italia non cambia la sua posizione politica estera e il suo sentimento in virtù di attacchi verbali sconsiderati", rivendica la Farnesina, secondo cui "tutte le dichiarazioni aggressive che provengono dalla Russia non fanno che rafforzare l’idea del popolo italiano di difendere chi è sotto attacco in una aggressione illegale e ingiustificata, in violazione del diritto internazionale".
Resta l'interrogativo sulle ragioni di una tale 'estremizzazione' del ministero degli Esteri russo. Secondo alcune fonti, potrebbe essere una forma di reazione ai recenti palesi insuccessi della diplomazia russa, provando a rispondere in termini propagandistici ai risultati deludenti e alla perdita di centralità interna. O potrebbe essere un modo di riconquistare il favore del Cremlino, dopo che Lavrov è diventato il capro espiatorio del fallimento del colloquio con Marco Rubio, che ha fatto naufragare il vertice di Budapest annunciato da Donald Trump, raccontano insider russi citati da media indipendenti.

(Adnkronos) - Una manovra "inadeguata e ingiusta", che "non impatta il pil" o, nella migliore delle ipotesi, appare "scarsamente espansiva" e quindi da migliorare nell'iter parlamentare. Dai sindacati alle confederazioni, i protagonisti della seconda giornata di audizioni hanno puntato il dito contro quelli che a loro giudizio sono i punti deboli del ddl Bilancio e avanzato proposte e richieste.
Intanto il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato per il 14 novembre, per i segnalati il 18 novembre, il tutto con l'obiettivo di approvare il ddl in Aula al Senato entro il 15 dicembre.
Sul piede di guerra la Cgil che minaccia una nuova mobilitazione in assenza di modifiche. Una manovra "palesemente inadeguata, ingiusta e controproducente. Per questo abbiamo manifestato e per questo proseguiremo la nostra mobilitazione a supporto di richieste precise che in questa sede ribadiamo in maniera molto sintetica", affermano i rappresentanti della Cgil in audizione. Tra le richieste, la restituzione del fiscal drag e sua neutralizzazione, il rinnovo di tutti i contratti di lavoro pubblici e privati per difendere e rafforzare il potere d'acquisto dei salari, il rafforzamento e l'estensione della 14esima e la piena rivalutazione delle pensioni, il blocco dell'età pensionabile e una maggiore flessibilità in uscita, vere politiche industriali.
Più conciliante la Cisl che accoglie favorevolmente il taglio del secondo scaglione Irpef al 33% per i redditi fino a 50 mila ma chieste di estendere la platea dei beneficiari. "La riduzione della seconda aliquota l'abbiamo spinta anche noi, è un passo in avanti rispetto ai segnali al ceto medio. Proporremo degli emendamenti rispetto a un'ulteriore riduzione", affermano i rappresentanti della Cisl davanti alle commissioni Bilancio riunite. E sul contributo chiesto alle banche avverte: "l'importante è che ogni incremento non venga trasferito ai consumatori finali".
La UIl accoglie con favore le detassazioni sui rinnovi contrattuali ma punta i fari sulle risorse per la sanità. "Esprimiamo una forte criticità rispetto alla sanità. I 2,4 miliardi di euro per il 2026 che incrementano il fondo sanitario sono un atto di attenzione ma sono insufficienti", affermano i rappresentanti sindacali.
Viale dell’Astronomia riconosce “la disponibilità al dialogo del governo che si è tradotta nella condivisione di scelte importanti, in primis quelle su iperammortamento e Zes unica”, specie “alla luce dei ristretti margini di intervento, indicati nel documento programmatico di finanza pubblica, che rendono nullo l’impatto della manovra sul pil del prossimo anno”, ma la manovra “non ha la dimensione adeguata a rilanciare la competitività delle imprese, pur centrando alcuni obiettivi rilevanti”, spiegano i rappresentanti di Confindustria. Il nuovo iper-ammortamento è un “primo parziale sforzo”, ha riconosciuto Tarquini, ma “l’impianto è ancora debole”, scandisce.
Confcommercio auspica che nell’iter "ci possa essere qualche aggiustamento" alla manovra. Sulla riforma fiscale, i rappresentanti della Confcommercio chiedono di estendere il taglio dell’aliquota Irpef fino a 60.000 euro, rendere strutturale l’Ires premiale e superare l’Irap, prevedere l’esenzione dall’imposta del 21,25% sulle polizze anti-catastrofali per le imprese, innalzare il limite dei ricavi per il credito d’imposta sulle commissioni Pos, superare il payback sui dispositivi medici con un tetto di spesa realistico e rateizzazione degli oneri.
Confesercenti chiede più sforzi sul taglio Irpef. "Il taglio della seconda aliquota Irpef, invece, risulta inferiore rispetto alle anticipazioni della stampa: non 4 miliardi, ma 2,9. Con questa impostazione, secondo le nostre valutazioni l’effetto della manovra sulla crescita sarà minimo", sostiene la confederazione, lamentando l'assenza di stimoli sui consumi.
Bene la proroga dei bonus del 50% e del 36%, rispettivamente, per l’abitazione principale e per gli altri immobili, delle detrazioni per interventi di ristrutturazione edilizia ma serve "una riorganizzazione generale del sistema degli incentivi edilizi". Bocciati invece l’aumento della cedolare secca dal 21 al 26% per gli affitti brevi. E’ la posizione di Confedilizia, esposta dal presidente Giorgio Spaziani Testa, nel corso dell’audizione sulla manovra, auspicando che la legge di bilancio sia la sede per avviare la cedolare secca sugli affitti non abitativi.
L'Ance "apprezza la scelta del Governo di finanziare misure per la realizzazione di un Piano casa nazionale e per la messa in sicurezza del territorio e l’adattamento climatico, sebbene con risorse limitate e senza una chiara governance", rileva la presidente Federica Brancaccio in audizione, ma esprimendo anche "forte preoccupazione per l’assenza nella manovra di misure relative al caro materiali".
La Coldiretti chiede più sforzi per la competitività e la modernizzazione delle imprese agricole. Tra le richieste dell'associazione la proroga per il 2026 il credito d’imposta Zes unica, destinato alle imprese agricole attive nella produzione primaria, nella pesca e nell’acquacoltura. Coldiretti ha sollecitato un rafforzamento delle risorse destinate al credito d’imposta 4.0 per l’anno 2026, "oggi ritenute insufficienti a sostenere un numero adeguato di investimenti, chiedendo al tempo stesso di estendere la misura anche alle attività agricole connesse, attualmente escluse", si legge in una nota. Per la Cia "una manovra così è una batosta per l’agricoltura, vanificando il credito d’imposta per il settore. Non c’è niente nella legge di Bilancio 2026 che aiuti davvero il comparto, a cominciare dall’articolo 26 che impedisce la compensazione dei crediti di imposta con i contributi previdenziali e assistenziali, di fatto principale occasione di recupero per le imprese agricole”, attacca il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, davanti alle commissioni Bilancio riunite.
Leggi tutto: Manovra, dalla Cgil a Confindustria: ecco i punti deboli per sindacati e imprese

(Adnkronos) - Quello sulla riforma della giustizia sarà il quinto referendum di tipo costituzionale nella storia della Repubblica. Dal '46 a oggi, dalla prima consultazione popolare su monarchia o Repubblica, solo in altre quattro occasioni gli italiani sono stati chiamati a confermare o meno una modifica della nostra Costituzione votata dal Parlamento ma senza la maggioranza dei 2/3. Ecco le principali caratteristiche del prossimo voto referendario.
Secondo la legge il referendum confermativo deve essere richiesto entro tre mesi dalla pubblicazione della legge costituzionale sulla Gazzetta ufficiale. Nel caso specifico, dal 30 ottobre. Il referendum può essere richiesto da 1/5 dei membri di una Camera, 500.000 elettori o cinque Consigli regionali. Sono previsti alcuni passaggi procedurali, con le verifiche della Cassazione e della Corte Costituzionale, quindi le votazioni si possono tenere in una domenica compresa tra il 50/esimo e il 70/esimo giorno successivo all'indizione del referendum. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha parlato di un voto "tra marzo e aprile".
La scheda referendaria riproduce il testo della legge che si è chiamati a confermare e il voto è, quindi, un semplice sì o no. Gli aventi diritto al voto coincidono con il corpo elettorale. Per il referendum confermativo non è previsto quorum della metà più uno dei votanti ed è quindi valido a prescindere dall'affluenza alle urne.
Al di là dei Comitati per il sì e per il no, in vista del referendum i partiti si sono schierati. Per la conferma della modifica costituzionale, per il sì quindi, è compatta la maggioranza di governo che ha votato la legge in Parlamento. Contro la riforma, e quindi per il no al referendum, si sono è già espressa la maggior parte delle opposizioni con Pd, M5s e Avs su tutti. Nell'area del Pd, però, alcuni riformisti (a partire da Goffredo Bettini e a Libertà Eguale di Stefano Ceccanti e Enrico Morando) si sono detti a favore della separazione delle carriere, introdotta dalla riforma. Diversa anche la posizione su Iv e Azione, che già in Parlamento si sono distinti dalle altre opposizioni astenendosi o (come Carlo Calenda) votando sì.
Il primo referendum costituzionale è stato quello del 2001 sulla riforma del Titolo V del centrosinistra, vinse il sì con il 65,21%. Poi, nel giugno 2006, si votò sulla riforma costituzionale del governo Berlusconi e prevalse il no con il 61,29%. Nel 2016 il referendum bocciò, con il 59% di no, la riforma costituzionale di Matteo Renzi, che poi si dimise da presidente del Consiglio. L'ultimo voto costituzionale, con vittoria del sì con il 69%, è del 2020 sul taglio del numero dei parlamentari voluto dal M5s.
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(Adnkronos) - Adriano Pappalardo, ospite di 'Belve', ammette a Francesca Fagnani di non aver ancora digerito che all’Isola dei famosi Al Bano abbia avuto un cachet più alto del suo. "A me hanno dato 30mila euro, a lui mi pare 1milione e 200mila", dice. "All’Isola gli autori cercavano un altro Pappalardo! Trovarono Al Bano, poi trovarono altri, finché l’Isola dei famosi è diventata l’Isola della spazzatura".
Adriano Pappalardo ha ammesso un tradimento sul set de 'La Piovra', di cui si pente. "Stavo girando la Piovra e c’è stata una ragazza", ammette Pappalardo, che poi rivela che sua moglie gli disse di volersi vendicare con lui andando con Michele Placido. "Lei l’avrebbe sopportato?" chiede la giornalista. “Un suo tradimento? No”, la sua secca risposta.
Pappalardo ha parlato del momento in cui ha incontrato la moglie come del giorno che vorrebbe rivivere e poi, ammettendo di piacersi, ha detto che a sua moglie "all'inizio è piaciuto più il mio didietro della faccia".
Nello studio di 'Belve' Pappalardo parla anche delle offese rivolte alla Presidente del Consiglio. "Durante una recente serata musicale ha lanciato un’invettiva contro la premier Meloni, insultandola con gesti e parolacce volgari. Perché l’ha fatto?", chiede Fagnani. "Ho fatto solo un gesto poco reverenziale e alla seconda canzone ho chiesto scusa", risponde Pappalardo. "Non solo un gesto", precisa la giornalista che insiste: "Ha detto che prima di salire sul palco qualcuno gli ha detto 'qua siamo tutti di sinistra'. È vero o se l’è inventato?". "Inventato no. Ho sentito qualcosa…".
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(Adnkronos) - Grazie a Maria De Filippi, Francesca Fagnani diventa medico durante la sesta stagione di 'Belve'. Per la seconda volta 'Queen Mary', come viene chiamata sui social e come l'ha definita anche la conduttrice del programma di Rai 2, è stata ospite nello studio di 'Belve' e ha fatto spostare Francesca Fagnani sullo sgabello degli intervistati.
"Ho portato le mie analisi del sangue, sono sottolineati i valori non perfetti. Ce ne sono tre che non vanno". Maria De Filippi si presenta nello studio di Belve e si sottopone alla visita della 'dottoressa' Francesca Fagnani che, da ipocondriaca conclamata, osserva le analisi della sua ospite e commenta convinta.
"La distribuzione dell'emoglobina nei globuli rossi non significa niente. Gli eosinofili sono globuli bianchi che si attivano in caso di allergia. Lei vive con due cani, stia tranquilla. Il progesterone è salito perché ha fatto le analisi la mattina presto. Può stare tranquilla, se avesse fatto le analisi alle 12 sarebbe sceso", dice Fagnani. "Ho il colesterolo alto per familiarità, prendo un farmaco che mi dà il medico", dice De Filippi, che mette alla prova la 'dottoressa Fagnani' sottoponendo un ipotetico caso di caviglie gonfie. "Le caviglie gonfie, quando non c'è sedentarietà e non ci sono vene varicose, è ritenzione idrica: bisogna stare attenti a problemi renali, cardiaci o trombosi. Non vanno sottovalutate", dice Fagnani. La diagnosi non è totalmente soddisfacente, ma la conduttrice di Belve si guadagna comunque un camice.
Poi l'appuntamento a martedì prossimo, Maria De Filippi tornerà ancora per dialogare con Francesca Fagnani.
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(Adnkronos) - "Gli è partito un trombo e il cervello è andato in carenza di ossigeno, le possibilità di vita erano molto basse". Erika Bufano, moglie di Achille Polonara, ha raccontato così - alla trasmissione 'Le Iene' - le ultime difficili settimane del giocatore della Dinamo Sassari, che da mesi combatte contro la leucemia mieloide.
Dopo il trapianto di midollo osseo, Polonara ha vissuto giorni complicati e di paura. Giorni difficili e per fortuna archiviati, visto che a breve sarà dimesso dall’ospedale Sant’Orsola-Malpighi. Inoltre, dallo scorso weekend è stato concesso ad Achille di uscire ogni tanto dall’ospedale, come accaduto per esempio in occasione del quinto compleanno della figlia Vitoria, festeggiato sabato scorso in famiglia.
Leggi tutto: La moglie di Polonara: "Achille è stato in coma, le possibilità di vita erano basse"

(Adnkronos) - "Quanto ho sgridato Papa Francesco...". Iva Zanicchi, ospite a 'Belve', a Francesca Fagnani nella seconda puntata del programma su Raidue ripercorre le tappe della propria vita e della carriera. "La mia voce ha delle sonorità che non si possono imitare, penso e mi auguro di aver lasciato di più il segno come cantante più che come conduttrice di 'Ok, il prezzo è giusto'". Il nome di Mina torna spesso nell'intervista: la voce della collega "è bellissima ma è più facile da imitare".
Iva Zanicchi ammette di aver persino sgridato Papa Francesco durante un'udienza per l'errore di aver attribuito a Mina il brano 'Zingara', grande successo di Iva Zanicchi. "Gli ho detto 'Santità, Lei in un'intervista in Spagna ha detto che Zingara era di Mina. Era mia!'. Il Papa ha chiesto scusa, le ho detto 'la perdono'...".
"Non sono mia stata invidiosa di Mina, potevo provare un po' di rabbia". "Non potevi essere rivale di Mina. È un mito perché si è ritirata nel momento giusto, ma è rimasta: ogni anni fa uscire un disco, la tv tutte le sere e anche il mattino manda suoi filmati. Non si fa più vedere e le consiglio caldamente di rimanere a Lugano perché se torna finisce il mito", ha aggiunto.
Quando Francesca Fagnani le chiede se è felice che nel 2026 tornerà il suo programma cult, Iva Zanicchi dice: "'Ok, il prezzo è giusto' senza di me sarà un flop". "Saranno contenti i dirigenti", chiosa con un sorriso Fagnani.
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(Adnkronos) - Luciano Spalletti è solo alla sua seconda partita sulla panchina della Juventus, ma raccoglie già attestati di stima importanti. Come quello di Giorgio Chiellini, Director of Football Strategy della Juventus, che ha parlato così prima della sfida di Champions League contro lo Sporting. "Anche in passato la speranza era quella, di creare nuovi cicli e non parentesi brevi. Luciano ha lo status per aprire un ciclo alla Juve".
Chiellini ha anche parlato del possibile rinnovo di Vlahovic: "E' da inizio anno che dico che Dusan sta pensando solo alla Juventus, lo ha dimostrando giorno dopo giorno. A tempo debito faremo le valutazioni e non ci sono porte chiuse da nessuna delle due parti".
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(Adnkronos) - Voli sospesi all'aeroporto principale della capitale belga Bruxelles, in seguito a sospetti avvistamenti di droni. Lo ha reso noto un portavoce dello scalo. A scopo precauzionale, il traffico aereo è stato interrotto anche presso il secondo aeroporto più grande del Paese, Charleroi, hanno affermato gli operatori locali.
Solo due giorni fa un drone era stato avvistato sulla base aerea di Kleine Brogel. L'avvistamento era avvenuto appena un giorno dopo che diversi droni erano stati avvistati sulla stessa base aerea belga. I droni avvistati sono stati descritti come modelli di grandi dimensioni, che hanno volato ad alta quota. Per il ministro della Difesa belga Theo Francken, si era trattato di "un chiaro incarico con Kleine-Brogel come obiettivo".
Leggi tutto: Ancora un avvistamento di droni, voli sospesi all'aeroporto di Bruxelles

(Adnkronos) - Gli Stati Uniti hanno fatto circolare una bozza di risoluzione che il Consiglio di sicurezza dell’Onu potrebbe discutere nei prossimi giorni: al centro, la creazione di una forza internazionale di sicurezza (Isf) a Gaza, con mandato almeno biennale e la possibilità di estensione fino al 2027. La forza – definita dagli Stati Uniti come “di enforcement e non di peacekeeping” secondo Axios – avrebbe il compito di garantire la sicurezza nella Striscia, disarmare Hamas, stabilizzare i confini con Israele ed Egitto e addestrare una nuova polizia palestinese. A presiederne il coordinamento politico sarebbe la cosiddetta “Board of Peace”, un organismo transitorio che lo stesso Donald Trump intende presiedere. Tra i paesi pronti a contribuire truppe, sempre secondo le indiscrezioni del media americano, ci sarebbero Indonesia, Azerbaigian, Egitto e Turchia.
L’Adnkronos ne ha parlato con Giorgio Cuzzelli, docente di sicurezza e studi strategici alla Lumsa di Roma e generale degli alpini in congedo.
Generale, partiamo dai termini: che differenza c’è tra una forza di intervento e una di peacekeeping? E che cosa si sa, oggi, di questo contingente per Gaza?
“Pochissimo. Esaminiamo ciò che è noto: il piano di pace prevede una ventina di passaggi successivi, ciascuno dei quali presuppone il consenso di Israele, di Hamas e l’intervento di terzi, in primis gli Stati Uniti. Ma di questa forza di interposizione non conosciamo né il mandato politico né quello militare, e dunque neppure le regole di ingaggio. Dovrebbe garantire sicurezza sul territorio e permettere a una commissione di transizione di governare la Striscia, ma tutto resta ipotetico. Se davvero Washington porterà la questione al Consiglio di sicurezza, solo una risoluzione Onu potrà definire se si tratterà di peacekeeping – fondato sul consenso, la neutralità e l’uso limitato della forza, solo per l'autodifesa – o di una forza d’imposizione, espressione della volontà americana. Ma al momento è tutto da chiarire”.
Si parla di un contingente con paesi come Egitto, Turchia, Azerbaigian. Quanto è realistico?
«Non molto. La Turchia, pur offrendosi, è sgradita a Israele, che non vuole ex potenze imperiali in Palestina né ingerenze di Ankara in un’area cruciale per la sua sicurezza. Gli Stati del Golfo non hanno la capacità militare di reggere una simile missione. Gli egiziani sì, ma difficilmente vorranno farsi carico di un compito così ingrato, colpendo Hamas per conto di Stati Uniti e Israele. Resta, paradossalmente, solo il Pakistan: unica potenza nucleare islamica, sunnita, con esperienza nelle operazioni Onu e che avrebbe bisogno della legittimazione di Washington. I pachistani potrebbero essere gli unici a disporre della forza per un ruolo di primo piano. Non a caso il capo di Stato maggiore dell’esercito ha fatto un giro nell’area…”
E un’eventuale partecipazione occidentale, magari italiana?
“Sarebbe più un rischio che un’opportunità. Israele non vuole soldati occidentali sul campo, Hamas ovviamente neppure, e nei Paesi arabi l’accusa di neocolonialismo è sempre in agguato. L’unica eccezione potrebbero essere i Paesi già presenti in Libano, ma solo sotto un chiaro ombrello americano. Senza una cornice politica garantita dagli Stati Uniti - o dalle Nazioni Unite, che è la posizione italiana - nessuno si assumerà il rischio di impegnare i propri soldati in una missione dai contorni incerti. Basti ricordare come nasce, e come (non) evolve Unifil: formalmente doveva sostenere il disarmo di Hezbollah, ma non ne ha mai avuto né i mezzi né il mandato. E negli anni dei caschi blu, fino al post-7 ottobre, la milizia libanese è diventata più potente che mai”.
Quindi rischiamo un nuovo caso Unifil anche a Gaza?
“Assolutamente sì, se il mandato non sarà chiarissimo. E c’è un problema ulteriore: qui non parliamo di un avversario potenziale come Hezbollah, ma di un nemico attivo, Hamas, che non ha alcuna intenzione di disarmarsi o di rinunciare al controllo della Striscia. Senza la sua resa formale, nessuna forza di pace potrà garantire stabilità o sicurezza. Il piano americano si regge su un equilibrio fragilissimo: cessate il fuoco, disarmo di Hamas, intervento di interposizione, avvio della ricostruzione. Ma se salta un passaggio, salta tutto”.
Qatarini e sauditi hanno forzato la mano di Hamas per firmare l’accordo di Trump, e la Lega araba ha dichiarato che il futuro di Gaza non includerà il movimento terroristico. È un segnale di rottura?
“È un passo avanti, ma serve coerenza. Nella narrativa di molti paesi islamici, Hamas non è un gruppo terroristico ma un simbolo di resistenza nazionale. Le monarchie del Golfo e i paesi arabi moderati dovranno reggere la pressione delle proprie opinioni pubbliche. Il vero nodo è questo: come può un paese musulmano “colpire” chi, nel mondo arabo, è percepito come un martire dell’indipendenza palestinese?”
Realisticamente: questa forza internazionale vedrà mai la luce?
“Washington spingerà per approvare la risoluzione. Ma con chi, e con quali regole, non lo sappiamo. Sappiamo che ci sono militari americani già in Israele, e che si parla di gennaio per un possibile dispiegamento. Ma finché non ci sarà un mandato politico chiaro e condiviso, è tutto un pour parler. Senza chiarezza sui compiti e sulle regole d’ingaggio, anche la più potente delle forze rischia di fallire”. (di Giorgio Rutelli)
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