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18.Dic

Stretta sui cibi ultraprocessati, verso documento per raccomandazioni e regole

Stretta sui cibi ultraprocessati, verso documento per raccomandazioni e regole

Ogni giorno nei carrelli della spesa entra una categoria di prodotti che mette a rischio la salute in modo silenzioso: gli alimenti ultraprocessati (ultra-processed foods, Upf). In alcuni Paesi occidentali rappresentano fino al 50-60% dell'apporto calorico giornaliero (l'Italia è al 20%, ma il trend è in crescita), e secondo gli studi più recenti si associano a un aumento del 15-20% della mortalità per tutte e le cause e del 12-18% dei decessi cardiovascolari. Anche consumi apparentemente modesti di Upf, pari a 100 grammi al giorno, risultano collegati a un incremento di ipertensione, malattie cardiache e mortalità generale. Al contrario, tagliarli del 10% riduce del 14% il rischio di diabete di tipo 2. Muove da queste premesse il convegno 'Alimenti ultraprocessati e salute. Dalla classificazione Nova alle politiche pubbliche', organizzato oggi a Roma a Palazzo Grazioli dall'Intergruppo parlamentare Stili di vita e Riduzione del rischio. Obiettivo: "Tradurre le evidenze scientifiche in politiche di prevenzione".

L'incontro mira infatti a elaborare "un position paper che possa contribuire a orientare le politiche nazionali nei prossimi anni. Il documento, frutto del confronto tra esperti, istituzioni e stakeholder, fornirà raccomandazioni su regolamentazione, etichettatura, educazione, ricerca e monitoraggio, affrontando l'impatto multidimensionale degli Upf su salute, economia, ambiente ed equità sociale". Dopo i saluti istituzionali di Simona Loizzo, presidente dell'intergruppo parlamentare promotore, l'agenda dei lavori prevede le relazioni di Duilio Carusi (Osservatorio Benessere e Resilienza), Massimo Ciccozzi (Campus Bio-Medico), Francesco Sofi (ospedale di Careggi), Marialaura Bonaccio (Neuromed, studio Moli-sani), Alessio Molfino (università Sapienza) e Giuseppe Novelli (Genetica medica Tor Vergata), quindi una tavola rotonda multidisciplinare con Fabio Beatrice (Mohre), la parlamentare Eleonora Evi, Stefano De Lillo (Ordine dei medici Roma), Francesco Luongo (Heated Community Hub), Enrico Prosperi (Società italiana educazione terapeutica) , Francesco Pozzi (Iulm) e Daniela Galdi (Lifeness).

"E' il momento di discutere dell'argomento prima che l'Italia raggiunga i livelli di altri Paesi dove gli Upf dominano la dieta quotidiana - dichiara Loizzo - La prevenzione è più efficace e meno costosa dell'intervento tardivo. Le politiche di contenimento della diffusione sono più urgenti proprio dove i consumi sono sotto controllo e il modello di cibo pronto non sia prevalente". Bisogna agire ora perché "il carico sui sistemi sanitari è destinato a crescere esponenzialmente - prospettano gli esperti - con proiezioni che indicano un incremento della spesa sanitaria del 15-25% entro il 2040 in assenza di politiche preventive efficaci".

"L'idea di questo convegno - spiega Johann Rossi Mason, direttrice dell'Osservatorio Mohre - Salute, medicina e riduzione del danno - nasce da una domanda: perché i cibi pronti costano meno dei singoli ingredienti se hanno alle spalle un processo industriale? Dopo essermi documentata ho trovato la risposta: in questi cibi non ci sono materie prime di qualità, ma surrogati; la lavorazione elimina nutrienti essenziali e sapore che sono aggiunti con sostanze chimiche per dare forma, sapore, stabilità e allungare a dismisura la vita sugli scaffali (shelf-life). Una recente ricerca apparsa su 'Nutrition & Metabolism' ha messo in luce il ruolo degli Upf nell'insorgenza di prediabete: anche solo un aumento del 10% nella dieta accresce il rischio di prediabete del 51% e di un'alterazione della tolleranza al glucosio del 158%. All'informazione devono affiancarsi politiche sistemiche capaci di contenere la diffusione dei prodotti e arginare la creazione di un ambiente 'obesogeno' in cui è forte la pressione dei 'determinanti commerciali' delle malattie".

"Lo studio Moli-sani, condotto nella regione Molise su oltre 24.000 partecipanti e attualmente in corso presso l'Irccs Neuromed di Pozzilli - sottolinea Bonaccio, dell'Unità di ricerca di Epidemiologia e Prevenzione dell'istituto in provincia di Isernia - ha confermato che anche nella popolazione mediterranea, tradizionalmente protetta da pattern alimentari più salutari, il consumo di Upf è associato agli stessi rischi documentati a livello internazionale. E i dati sono stati confermati dalla recente serie di Lancet 'Ultra Processed Food and Human Health', presentata lo scorso novembre a Londra. L'esposizione a un modello alimentare caratterizzato dalla presenza importante di Upf degrada la qualità della dieta. Nelle famiglie che consumano regolarmente questi alimenti altamente processati si osservano quantità inferiori di frutta, verdura, cereali integrali, fibre e grassi vegetali. E gli studi sono concordi nel collegare il consumo di Upf ad almeno 32 malattie croniche".

"Gli alimenti ultraprocessati, definiti dalla classificazione Nova come 'formulazioni industriali con 5 o più ingredienti, contenenti sostanze raramente utilizzate nella cucina domestica' - chiarisce la specialista - non rappresentano solo un problema di eccesso di zuccheri, grassi e sale, ma sono una fonte importante di additivi alimentari, come coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti, il cui fine principale non è migliorare le proprietà nutrizionali degli alimenti, ma piuttosto quello di esaltarne il sapore, l'aspetto e anche la durata. Recenti studi pubblicati su 'The British Medical Journal' e 'The Lancet' documentano associazioni significative con malattie cardiovascolari, tumori del colon-retto, mammella e pancreas, malattie neurodegenerative, declino cognitivo e disturbi mentali inclusa depressione e ansia", elenca Bonaccio. "L'esperienza internazionale - concludono gli esperti - dimostra la fattibilità di interventi regolatori efficaci. E' tempo che anche l'Italia si doti di una strategia sistemica per proteggere la salute dei cittadini, in particolare delle fasce più vulnerabili, preservando al contempo la nostra tradizione alimentare mediterranea e la cucina italiana che è appena stata nominata Patrimonio immateriale dell'umanità dall'Unesco".

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