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18.Dic

Morto Peter Arnett, il premio Pulitzer per le cronache dal Vietnam aveva 91 anni

Peter Arnett - (Afp)

Morto il giornalista statunitense Peter Gregg Arnett, uno dei più celebri e all tempo stesso controversi corrispondenti di guerra del Novecento, vincitore del Premio Pulitzer e volto storico del giornalismo internazionale: aveva 91 anni. E' deceduto a Newport Beach, in California. A confermare la notizia della scomparsa è stata la figlia Elsa, precisando che la causa della morte è stata un tumore alla prostata.

Corrispondente di guerra intrepido, Arnett si impose all'attenzione mondiale durante la guerra del Vietnam, raccontata dal fronte per l'Associated Press, lavoro che gli valse il Pulitzer. In seguito divenne uno dei reporter televisivi più riconoscibili al mondo, seguendo guerre e insurrezioni per oltre 18 anni con la Cnn, spesso in prima linea, nei momenti più drammatici dei conflitti contemporanei. Arnett è stato una figura centrale del racconto dei conflitti della seconda metà del XX secolo, un giornalista che ha contribuito in modo decisivo a ridefinire il ruolo dell'inviato di guerra e il rapporto tra informazione, potere e opinione pubblica. Il suo stile diretto, talvolta discusso, ha lasciato un segno profondo nel modo di fare informazione dai fronti di guerra.

Dalle giungle del Vietnam all'Iraq

Dalle giungle del Vietnam all'Iraq, dove intervistò il presidente Saddam Hussein e fu due volte tra gli ultimi giornalisti televisivi occidentali a restare a Baghdad - all'inizio della Guerra del Golfo nel 1991 e durante l'invasione della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003 - Peter Arnett ha infranto regole e dato notizie esclusive, facendo infuriare leader politici e ispirando generazioni di reporter. In oltre 45 anni di carriera, Arnett ha raccontato 17 guerre in Asia, Medio Oriente, Europa e America Latina. Prima per l'Associated Press, poi per la Cnn e altre testate televisive e della carta stampata, ha realizzato documentari, scritto due libri, tenuto conferenze in tutto il mondo e nel 1997 ha intervistato Osama bin Laden, leader di Al Qaeda, in un luogo segreto dell'Afghanistan.

Il primo scoop

Il suo primo grande scoop risale al 1960: un colpo di stato in Laos. Quando i carri armati bloccarono l'ufficio del telegrafo a Vientiane, Arnett si tuffò nel Mekong e nuotò fino in Thailandia per trovare una linea aperta con cui trasmettere la notizia all’Associated Press. "Avevo la storia battuta a macchina, il passaporto e venti banconote da dieci dollari stretti tra i denti", raccontò più tardi. "Mi credevano pazzo, ma per me aveva senso: dovevo far uscire la notizia il più in fretta possibile".

Arnett era un ribelle del giornalismo: diffidava dell'autorità, si assumeva rischi calcolati, accettava la censura pur di raccontare i fatti dal campo e, quando lo riteneva necessario, metteva da parte la pretesa neutralità. Fu spesso accusato di simpatizzare con i nemici degli Stati Uniti in Vietnam e in Iraq. Negli ultimi anni di carriera incappò anche in gravi controversie. Lasciò la Cnn nel 1999 dopo un servizio su una presunta atrocità della guerra del Vietnam che si rivelò infondata, e venne licenziato dalla Nbc nel 2003 per aver dichiarato alla televisione di Stato irachena che il piano militare della coalizione stava fallendo.

Neozelandese di nascita, autodidatta e avventuriero, Arnett trovò la sua consacrazione professionale in Vietnam, dove lavorò per un decennio. Nel 1966 vinse il Premio Pulitzer per il giornalismo internazionale grazie ai suoi reportage di guerra, tra cui il racconto di un capitano americano costretto ad assistere impotente al massacro dei propri uomini.

Non aveva nulla dell’eroe romantico. Un osservatore lo descrisse come "uno spaventapasseri in mezzo a un campo di grano". Ma seppe cogliere l’essenza della guerra. Nel 1968, nella città di Ben Tre, riportò la celebre frase di un maggiore americano: "Si è reso necessario distruggere la città per salvarla", diventata il simbolo delle contraddizioni del conflitto vietnamita. Mentre Washington parlava di vittorie e di una "luce in fondo al tunnel", Arnett raccontava dal fronte sconfitte e rovesciamenti, mettendo in discussione le versioni ufficiali e anticipando il fallimento della strategia americana. Il presidente Lyndon B. Johnson e il generale William Westmoreland tentarono invano di farlo allontanare.

Nel 1975, mentre Saigon cadeva e gli ultimi occidentali fuggivano, Arnett rimase in città, raccontando il panico nelle strade e il caos all'ambasciata americana, con gli elicotteri carichi di profughi che decollavano dal tetto. Continuò a riferire anche dopo la vittoria del Vietnam del Nord.

Volto della Cnn

Nel 1981 entrò alla Cnn, allora una giovane emittente all-news. Seguì conflitti in America Centrale, Medio Oriente e Africa, ma fu la Guerra del Golfo a renderlo una figura globale. Rimasto solo a Baghdad nel gennaio 1991, divenne per giorni la voce e gli occhi del mondo occidentale sotto i bombardamenti. I suoi collegamenti telefonici dall'hotel Al Rashid, tra sirene e esplosioni, furono paragonati alle cronache di Edward R. Murrow durante il blitz su Londra nella Seconda guerra mondiale.

Celebrato e premiato, Arnett fu anche duramente criticato: per molti politici americani era un megafono della propaganda di Saddam Hussein. Lui respinse sempre l'accusa: "Ho solo raccontato quello che vedevo". Nel 1997 realizzò una lunga intervista filmata a Osama bin Laden, che anni prima dell'11 settembre minacciò apertamente una jihad contro gli Stati Uniti. "Vedrete e sentirete parlare dei nostri piani", disse il leader di Al Qaeda. La sua carriera subì un colpo definitivo nel 2003, quando accettò di parlare alla tv irachena durante l'invasione americana, lodando la resistenza di Baghdad. Licenziato, non riuscì più a ritrovare il ruolo centrale di un tempo.

Nato nel 1934 a Riverton, in Nuova Zelanda, Arnett lasciò la scuola a 17 anni per lavorare in un quotidiano locale. Dopo un percorso che lo portò dall'Australia alla Thailandia, approdò definitivamente all'Associated Press nel Sud-est asiatico. Si sposò con Nina Nguyen, dalla quale ebbe due figli. Ritiratosi nel 2007, insegnò giornalismo in Cina e pubblicò due memoir. Come scrisse il Los Angeles Times, la sua carriera dimostra che, al di là della tecnologia, il buon giornalismo si fonda sempre sulle stesse qualità: intuito, coraggio, ingegno e determinazione. Qualità che Peter Arnett ha incarnato fino in fondo. (di Paolo Martini)

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