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04.Dic

Rutelli e i segreti di Roma: miti, tragedie e meraviglie della capitale

Esce per Newton Compton “Roma, la città dei segreti”, il nuovo libro di Francesco Rutelli dedicato ai luoghi nascosti, alle storie inattese e alle meraviglie meno visibili della Capitale. Un viaggio personale e documentato tra vicoli, palazzi, rovine e trasformazioni urbane, in cui l’ex sindaco di Roma guida il lettore alla scoperta di una città sorprendente, stratificata, spesso dimenticata. Un racconto che unisce memoria civile, curiosità, misteri e vicende poco note, svelando una Roma da leggere con occhi nuovi.

Di seguito, un estratto dal volume pubblicato in esclusiva per il sito di Adnkronos, che parla di ponti e monumenti a pochi metri dalla sede dell'agenzia:

COS’HANNO VISTO, QUESTI PONTI…

Dalle origini dell’Isola Tiberina a imperatori e papi gettati nel fiume: le storie custodite dal Tevere

Dove: Ponte Fabricio

Percorrendo i due lati del Lungotevere nell’area centrale, i ponti sono frequenti. Da Ponte Sublicio tra Trastevere e Testaccio (non l’antico, che non esiste più, ma quello risalente alla prima guerra mondiale, progettato da Marcello Piacentini, inizialmente chiamato Ponte Aventino) a Ponte Milvio lungo la via Flaminia, risalente a più di 2100 anni fa e che oggi è pedonale; ma ci pensa Corso di Francia, poco avanti, a farci passare il fiume in auto con il nuovo Ponte Flaminio, voluto da Mussolini e inaugurato dopo la fine della seconda guerra mondiale. In epoca romana di ponti esistevano Ponte Milvio e Ponte Elio, posto davanti a Castel Sant’Angelo; il Ponte di Agrippa, Ponte Neroniano, Ponte di Probo, crollati o scomparsi.

Elemento cruciale, dalla nascita della città, è il sistema degli attraversamenti tra l’Isola Tiberina e Ponte Sublicio. Da qui partiamo, per ritrovare i significati intrecciati con le vicende fondative di Roma, e un certo numero di segreti passati per queste rive. Alcuni di essi, leggendari, sono anche immaginari, come la storia secondo cui l’Isola sarebbe nata da un’antica nave incagliata in una secca del fiume, coperta progressivamente di detriti sino a formare un’isoletta; un’altra – raccontata anche da Ovidio nelle Metamorfosi – secondo cui alla deposizione del crudele re Tarquinio il Superbo fece seguito la dispersione nel Tevere della sua ricca dotazione di grano: tanto erano abbondanti quelle messi da formare e presto consolidare l’isola. Entrambi i racconti hanno tuttavia legami significativi con la realtà: nella leggenda della nave si trova il riferimento alla storia del dio Esculapio, venuto da Epidauro per sconfiggere la peste del 293 a.C. e al quale il serpente avrebbe indicato la localizzazione del tempio a lui dedicato, da cui la sistemazione del perimetro dell’Isola in forma di nave; quello sul grano di Tarquinio richiama invece i ripetuti intasamenti del fiume, specialmente in riva sinistra, a causa dell’attività dei mulini che vi erano collocati (e che qui operarono per nove secoli).

tiberina

L’Isola della Salute – così chiamata per l’antica tradizione delle cure mediche e dei presìdi sanitari e ospedalieri che ha ospitato – è collegata alle due rive dal Ponte Cestio (risalente al 46 a.C.), radicalmente ristrutturato nel corso dei secoli, e dal Ponte Fabricio, il “Ponte Quattro Capi” (62 a.C.). Il Ponte Sublicio originario, il primo della storia di Roma, fu smantellato, dice la leggenda, per impedire l’accesso alle truppe di Porsenna, mentre Orazio Coclite si batteva eroicamente. La magistratura dei Pontefices era legata alla salvaguardia dei ponti. Dopo un millennio, il titolo di Pontefice Massimo passò al papa, vescovo di Roma. Lunga è la storia di Ponte Emilio, o Ponte Rotto, più volte ripristinato e crollato; inizia nel 181 a.C. e si conclude a fine Ottocento con l’affiancamento ai suoi resti di Ponte Palatino.

Si parla frequentemente di tornare a fare il bagno nel Tevere; in prossimità del moderno Ponte Garibaldi, costruito nel 1884-88, era viva la tradizione della spiaggia della Renella, da cui il nome di via Arenula. Ma vi prego di non trascurare che qui, sul Lungotevere, dov’è oggi una sede del ministero della Sanità, inizia fisicamente una delle strade più lunghe del mondo antico: la via Aurelia, la quale assunse altre denominazioni oltre il tracciato nelle Gallie, per arrivare fino a Gibilterra lungo le coste mediterranee, e affacciarsi sull’Atlantico.

Scopriamo alcune emblematiche sciagure avvenute nel Tevere. Perché se il grande Plinio il Vecchio asserì che il compito di Roma è “dare umanità all’uomo”, e se la storiografia predilige le glorie o i drammi solenni, noi tendiamo a trascurare gli eventi spregevoli. Se non vogliamo considerare che il Tevere è stato per millenni la principale discarica della città (è anche per il trasporto delle macerie, dei detriti e dei rifiuti, che il suo estuario si è conseguentemente allungato di circa otto chilometri), non possiamo trascurare che il fiume è stato scenario anche di molti eventi scellerati.

Per secoli si è coltivata la leggenda secondo cui la Menorah, il candelabro (d’oro) a sette braccia trafugato nel 70 dall’imperatore Tito nel Tempio di Gerusalemme, fosse finito nel fiume. In vari rilievi si vede la scena del trafugamento (in particolare, nell’Arco di Tito al Foro, luogo nel quale siamo riusciti nel 1998, per il cinquantesimo anniversario dello Stato di Israele, a realizzare una cerimonia pubblica di riconciliazione storica). È stato tramandato che i vandali di Genserico, nel 455, lo portarono via dal Templum Pacis, dov’era custodito; ma la loro nave in fuga affondò nel Tevere. Storici e narratori (anche il Belli) si sono industriati a restituire curiosità e ansia della sua ricerca nei fondali.

Varie personalità del potere pontificio, tra il Sette e l’Ottocento, hanno progettato di deviare il corso del fiume, varando mezzi specializzati per l’esplorazione, come la nave Medusa nel 1819. Ricerche più rudimentali, fai-da-te, nel letto del Tevere sono state costanti, ma senza risultato.

 

In antico, le cronache raccontano con orrore che, al termine dei violentissimi scontri della guerra civile della Repubblica romana dell’82 a.C., Lucio Cornelio Silla fece gettare nel fiume un numero enorme di avversari sconfitti e uccisi. Non pochi personaggi controversi subirono una damnatio memoriae associata al lancio del loro cadavere nel Tevere. L’imperatore Commodo, che fu al potere dal 180 – diciannovenne – al 192, con un esercizio dirompente e spesso bizzarro del culto della propria persona, fu ucciso in una congiura, dopo aver schivato in precedenza un tentativo di avvelenamento. Il Senato decretò fosse gettato nel Tevere, ma fu invece sepolto nel Mausoleo di Augusto, e conobbe anche riabilitazioni postume. Nel Tevere fu gettato Eliogabalo, proclamato imperatore – come Marco Aurelio Antonino – a soli quattordici anni, nel 218, e ucciso dai pretoriani nel 222, dopo un governo stralunato e dominato dagli eccessi (tra corruzione, orge collettive, sacrifici di fanciulli e innovazioni magico-religiose legate al culto del Sole).

Nei primi secoli del papato si registrò la strana sorte di papa Formoso, il cui corpo dovette subire un gran traffico. Nato nell’816, eletto papa nell’891, morì dopo quattro anni e mezzo di pontificato, nell’896. Su ordine del successore, papa Stefano vi, fu disseppellito e il suo cadavere mummificato fu sottoposto a processo: il celebre “Concilio del cadavere”, svoltosi in Laterano nell’anno 897. Al termine, i suoi resti furono gettati nel Tevere; un monaco avventurosamente li ritrovò su una sponda del fiume presso Ostia e li custodì, finché papa Teodoro ii non li seppellì nuovamente in San Pietro.

sinodo

Questi episodi ci lasciano intendere che le condanne a morte e le brutali esecuzioni fossero un’eccezione, nella Città Eterna? No, purtroppo. I roghi non si limitavano ai casi più eclatanti, come Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, e lo stesso valeva per le decapitazioni (che nel Medioevo avvenivano specialmente in Laterano, in prossimità della statua di Marco Aurelio, che lì si trovava), estrema sanzione verso oppositori politici primari, come accadde per Angelo Targhini e Leonida Montanari, e attraverso le performances epocali di Mastro Titta. Egli, il Boia per eccellenza, svolse le sue mansioni addirittura per sessantotto anni, giustiziando più di cinquecento persone.

Tra i tanti episodi non esplorati, e pochissimo noti, c’è la vicenda della comunità di omosessuali che si era ritrovata nella bella chiesa di San Giovanni a Porta Latina, a ridosso delle mura Aureliane. Quando l’ho raccontata a due miei cari amici che qui si sono sposati di recente, faticavano a immaginare che fosse vera. Secondo la testimonianza del 1580 di Michel de Montaigne nel suo Journal de Voyage, due anni prima sarebbe emersa qui un’esperienza, specialmente da parte di viaggiatori iberici, per cui «durante la messa si sposavano uomini con uomini, attenendosi alle stesse cerimonie che usiamo noi per le nozze. Si comunicavano insieme, leggevano il medesimo vangelo nuziale e poi dormivano e abitavano insieme». Scoperti, arrestati e processati per sodomia, undici componenti questo gruppo furono condannati a morte, impiccati a Ponte Sant’Angelo, e bruciati a San Giovanni a Porta Latina.

Con le singolari storie di questo cuore della città in mezzo al Tevere potrei riempire ben più che le pagine del nostro libro. Se aveste fatto parte del Comune di Roma nel 1791, ad esempio, avreste dovuto valutare il progetto dell’architetto Natale Marini relativo al prosciugamento del ramo sinistro del fiume (spesso intasato per i detriti e per gli scarti delle attività dei mulini), eliminando il Ponte Fabricio e rendendo l’area edificabile. Se foste stati nella Commissione del neonato Stato unitario incaricata dal 1871 di contrastare le piene del Tevere, avreste dovuto votare pro o contro la proposta di eliminare l’Isola Tiberina (poi bocciata dal ministro dei Lavori pubblici Gerolamo Guisso, del governo Zanardelli). Se foste stati nel Parlamento all’inizio degli anni Trenta, in epoca fascista, avreste letto su «La Tribuna» l’appello a demolire “il palazzone” dell’ospedale: «Cancelliamo il ricordo di questa specie di tetro lazzaretto, bonifichiamo l’isola con energica opera». Se foste stati a Londra nel 2023 avreste potuto partecipare al novecentesimo compleanno del Barts (St. Bartholomew’s Hospital), fondato nel 1123 dal pellegrino Rahere che, ammalatosi di malaria a Roma e guarito sull’Isola Tiberina dai monaci di San Bartolomeo, così decise di onorare la salvezza romana.

Da qui…

Da Ponte Fabricio si visita l’Isola Tiberina, con la basilica di San Bartolomeo, che ospita la singolare evocazione dei “Nuovi Martiri” del xx secolo, voluta da Giovanni Paolo ii. Oltre all’ospedale Fatebenefratelli, che ha quasi mezzo millennio di storia, vi è una sede dell’ospedale Israelitico. Sulla riva sinistra c’è l’antico Ghetto Ebraico, sulla riva destra il rione Trastevere.

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