Imprese, Barbaresco (Mediobanca): "In Italia manca recupero produttività, cresce perché si lavora di più"

“In Italia manca un recupero della produttività. Il nostro Paese cresce perché si lavora di più. Resta rilevante la questione salariale: la retribuzione oraria reale nel primo semestre del 2025 è del 5% inferiore al 2019, quando già veniva da anni di invarianza. Il tema salariale è legato a quello della produttività”. Lo spiega Gabriele Barbaresco, direttore Area Studi di Mediobanca, all’incontro stampa organizzato da Centromarca oggi a Milano, per illustrare dinamiche e prospettive economiche del comparto largo consumo e dell’industria di Marca per il 2026.
Restando in tema di produttività, Barbaresco fa sapere che “nell'ultimo triennio il Pil pro capite italiano è cresciuto dello 0,8% medio annuo solo grazie agli aumenti di occupazione e orario di lavoro, in assenza dei quali la produttività oraria lo avrebbe fatto cadere dell'1,3%. Tale dato – spiega – è a sua volta integralmente dovuto alla produttività totale dei fattori, che rispecchia le inefficienze del sistema Paese. Pesano anche l'aumento occupazionale in settori a basso valore aggiunto e il fenomeno del lavoro improduttivo: nel 2023-24 nella manifattura l'occupazione è salita del 2% a fronte di un calo del 5,3% della produzione. Eppure – continua – si stima un fabbisogno lavorativo al 2028 tra 3,1 e 3,6 milioni di persone, con un 80%-90% da puro replacement. I contratti di lavoro con difficoltà di reperimento sono passati dal 26% (2018) al 50% (2023)”.
Ma da cosa dipende questa difficoltà? “I due terzi dal labour shortage, ossia le candidature deserte – illustra Barbaresco – Un fenomeno che costa circa 2,5 punti di Pil. Rimaniamo una manifattura votata all'export, il cui successo si fonda su tre driver: qualità, specializzazione e competenza tecnica – approfondisce – Siamo invece penalizzati dal costo dei beni intermedi e da quello dell'energia (+20% tra 2020 e 2025)”.
“All'interno dei nostri punti di forza si nascondono anche insidie, tra le quali la medtech. Vedo però una call to action che si articola su due punti: il primo è il decisore politico, a cui si chiede di favorire la crescita dei settori a maggiore valore aggiunto e garantire l'autonomia strategica – illustra – Il secondo è chiedere al ceto imprenditoriale di intraprendere con convinzione la transizione digitale, intendendola come un investimento e non come un costo, e passando dalla mera adozione alla sua assimilazione, in modo che diventi uno strumento di miglioramento organizzativo e del mindset aziendale”.
“Altra leva è il rafforzamento delle logiche di filiera – dice – per contenere la sempre maggiore distanza tra imprese leader e imprese lagger. Spetta alle imprese leader collocarsi nei segmenti pregiati delle Cgv (Catene globali del valore) e veicolare conoscenza alla rete della fornitura nazionale. Qualità e competenze produttive sono garantite dal nostro capitalismo familiare, ma esso oggi è chiamato a un percorso di crescita inorganica (M&A), modernizzazione della governance e crescita degli investimenti intangibili".
"I fondi di Private Equity (PE) possono giocare un ruolo fondamentale: essi sono oggi portatori di proposte imprenditoriali votate alla crescita rispetto al loro precedente ruolo di puri efficientatori. Ritorna, su questo tema, il ruolo cruciale dell’uso a fini produttivi del cospicuo risparmio privato”, conclude.
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