(Adnkronos) - La notizia dello sgombero definitivo del Leoncavallo di Milano "è l'ennesima prova di una politica culturale assente, un esempio di povertà". È il commento a caldo che Jacopo Fo affida all'Adnkronos, di fronte alla chiusura di un luogo simbolo per tanti artisti, inclusi i suoi genitori, il premio Nobel Dario Fo e Franca Rame. Per lo scrittore e regista i fatti sono chiari: "Per la cultura popolare non c'è spazio, a Milano c'è spazio solo per chi costruisce i grattacieli. Non si comprende il valore dell'impegno di migliaia di volontari che fanno muro contro la disperazione", sottolinea lo scrittore-attivista. Secondo Fo, "è incredibile che, in tutti questi anni, il Comune di Milano non sia mai riuscito a fornire una sede stabile e un sostegno a una realtà come il Leoncavallo che ha svolto un'attività culturale fondamentale, dai corsi di italiano per stranieri ai laboratori, dagli spettacoli alle mostre".
La sua è un'amara constatazione: "A Milano, sembra che se non si costruisce un grattacielo, nessuno ti dia retta. Se domani tutte le associazioni culturali e di solidarietà dovessero sparire, la città andrebbe a fuoco in un mese. Queste realtà, che agiscono con sacrificio e una perseveranza incredibile, sono il muro contro la disperazione e la violenza, ma le istituzioni non lo capiscono. C'è un disprezzo verso chi fa cultura di base, perché sono barricati nelle loro grandi kermesse".
Fo denuncia una sordità istituzionale che dichiara di aver toccato con mano più volte. "Dopo i funerali di mio padre, il sindaco Sala mi disse che ci avrebbe dato in gestione la Palazzina Liberty, quella che negli anni '70 i miei genitori avevano occupato per iniziative culturali. Noi facemmo un progetto, non per gestirlo per noi, ma per metterlo a disposizione di tutte le compagnie territoriali e gruppi culturali che non trovano spazi per le prove o per organizzare eventi. Dopo mesi di trattative e progetti presentati, tutto è caduto nel silenzio. Sono scomparsi".
E non solo. "Feci anche un'altra proposta al sindaco: istituire una 'Giornata dell'Associazionismo', come avviene in tante città europee come Copenaghen. Un giorno in cui tutte le associazioni – dal coro della chiesa a chi lavora con disabili e bambini – mostrano alla città le loro attività in luoghi come Piazza Duomo, ricevendo visibilità e riconoscimento. Il sindaco si mostrò entusiasta, disse 'facciamolo subito'. Poi, anche questo progetto è morto. Nessuno ha più risposto al telefono".
Non c'è rabbia, tuttavia, nelle parole dello scrittore, ma "la constatazione di un totale e sistematico disinteresse per il tessuto sociale. Manca l'idea che per combattere la droga, la violenza e l'abbandono scolastico si debba investire nella cultura, sostenendo chi già la fa a proprie spese". È semplice: "Se vuoi avere grandi calciatori, costruisci tanti piccoli campetti di calcio per far allenare i ragazzini. Se non fai lo stesso per la cultura, supportando le associazioni di base e volontaristiche, non avrai mai un vero sviluppo culturale. Avrai solo le grandi kermesse per i divi, finanziate dalle istituzioni".
L'appello finale è un misto di ironia e amarezza: "Spero che il sindaco Sala venga illuminato dal suo Dio o da un'entità extraterrestre e decida finalmente di dare spazi e finanziamenti stabili a queste realtà, sulla base di progetti seri. Perché un Comune come Milano non può essere sordo, cieco e muto di fronte al valore immenso dell'impegno civile di migliaia di volontari. La mia esperienza è chiara: mi hanno fatto perdere tempo e lavoro per progetti concreti, e poi sono spariti. Avevano altro da fare".
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