(Adnkronos) - "Una legge con molti se e molti ma che dà attuazione alla norma di cui all’articolo 46 della Costituzione che, pur prevedendo 'il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende', era di fatto rimasta lettera morta non essendo mai stata emanata una legge che definisse un quadro normativo in materia. La legge prevede quattro forme di partecipazione dei lavoratori: gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva. La partecipazione gestionale passa dagli statuti delle società, i quali, in conformità alle previsioni dei contratti collettivi, potranno prevedere la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori agli organi di amministrazione e controllo della società. È bene, tuttavia, precisare che la partecipazione dei lavoratori non sarà né obbligatoria, né automatica". Così, con Adnkronos/Labitalia, l’avvocato Giuseppe Merola, associate partner Pirola Pennuto Zei & Associati, sull'approvazione, in via definitiva, della nuova legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese.  

Secondo l'esperto "anche in questo caso, infatti, saranno i contratti collettivi - non tutti, ma quelli stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi - a dettare le regole del gioco stabilendo le modalità attraverso le quali i lavoratori potranno in concreto partecipare alla gestione dell’impresa. Occorre, quindi, attendere che i contratti collettivi disciplinino la materia e, solo dopo che tale disciplina sarà stata emanata, le società potranno iniziare a prevedere nei relativi statuti la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori ai propri organi di amministrazione e controllo", sottolinea.  

Per il giuslavorista "il che significa che, in assenza di disciplina da parte della contrattazione collettiva, nessuna partecipazione gestionale dei lavoratori potrà concretamente essere attuata. Così facendo, il legislatore ha optato per un modello ispirato alla volontarietà della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, non alla sua obbligatorietà. I lavoratori non vantano, quindi, un diritto immediato alla partecipazione gestionale nell’impresa, ma un diritto condizionato alle previsioni degli statuti societari, i quali, a loro volta, potranno intervenire solo se i contratti collettivi lo avranno disciplinato".  

E il giuslavorista aggiunge che "ciò vale non solo per la partecipazione gestionale ma anche per quella organizzativa. Anche in relazione a tale forma di partecipazione, la legge non ha infatti introdotto obblighi a carico delle aziende, ma solo la facoltà di attuare talune misure tese a renderla concretamente possibile. Le misure sono in particolare due: la prima, la possibilità di istituire specifiche commissioni paritetiche (composte, cioè, in egual misura da rappresentanti dell’impresa e dei lavoratori) finalizzate all’elaborazione di piani di innovazione e miglioramento dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro; la seconda, la possibilità di individuare, in sede di contrattazione collettiva aziendale, le figure dei referenti su determinate materie di interesse collettivo, come la formazione, i piani di welfare, le politiche retributive, la qualità dei luoghi di lavoro, la conciliazione e la genitorialità, nonché quelle dei responsabili della diversità e dell’inclusione dei disabili. Nessun obbligo anche per quanto riguarda la partecipazione consultiva dei lavoratori", sottolinea.  

"Al riguardo, la legge -continua Merola- si limita infatti a prevedere che le commissioni paritetiche sopracitate possano preventivamente consultare le rappresentanze sindacali aziendali (rsa o rsu) in merito alle scelte aziendali (l’oggetto della consultazione è quindi molto ampio e non sono previste limitazioni su determinate materie). Tale consultazione, peraltro, dovrà avvenire conformemente ai contratti collettivi che, anche su tale materia, dovranno adottare specifiche regole. Queste le principali novità introdotte dalla legge. Vi è da chiedersi se siano davvero sufficienti a garantire la partecipazione dei lavoratori nell’impresa e quali siano gli effettivi cambiamenti. La sensazione è che, quanto meno nell’immediato, le cose non cambino", sottolinea l'esperto.  

"Al di là delle modalità e tempi con i quali la contrattazione collettiva dovrà disciplinare la materia, tutto l’impianto normativo sembra ancorato al principio per cui la partecipazione dei lavoratori intanto può essere attuata in quanto l’azienda intenda avvalersene. Per come la norma è stata scritta, è come se il coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell’impresa rappresenti un’opportunità per le aziende, non un onere. Pertanto, gli strumenti partecipativi previsti dalla legge potranno essere colti dall’impresa che voglia effettivamente operare secondo logiche inclusive e che cerchi di sfruttare le opportunità derivanti dalla partecipazione di coloro (i lavoratori) che l’impresa la vivono da un’altra prospettiva, anch’essa portatrice di idee e innovazione", conclude.  

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