(Adnkronos) - I Giovani Palestinesi Italia (Gpi) sono un collettivo politico-attivista diffuso in varie città - tra cui Bologna, Milano, Torino, Roma - molto presente sui social con un account nazionale da oltre 155 mila follower su Instagram. Nei propri canali si definiscono parte della "Resistenza palestinese", con parole d'ordine anticoloniali e antisioniste, rivendicando la formula "dal fiume al mare", slogan che presuppone (nell'uso che se ne fa nelle manifestazioni di queste settimane) uno Stato palestinese che vada dal fiume Giordano fino al Mediterraneo, di fatto cancellando lo Stato di Israele. Il profilo Instagram nazionale e quello bolognese mostrano una rete di capitoli locali, presidi, cortei e campagne coordinate.  

Diversi materiali social riconducono Gpi a un rapporto organico con il Palestinian Youth Movement (Pym), movimento transnazionale della diaspora giovanile palestinese attivo in Nord America ed Europa: in un post si definiscono esplicitamente "capitolo italiano" del Pym; i documenti "about" del Pym ne precisano impostazione, obiettivi e genealogia politica. In realtà, il fatto di essere il "capitolo italiano" è un'auto-attribuzione su Instagram perché non esiste un registro pubblico che certifichi formalmente l'affiliazione. 

 

L’attività con questo nome è rintracciabile almeno dal 2017-2019 su media pro-palestinesi italiani; dal 2022 compaiono campagne studentesche e lettere aperte su università italiane e boicottaggio accademico. Nel 2024-2025 i GPI diventano centrali negli “accampamenti” universitari e nelle mobilitazioni contro accordi accademici con Israele, con prime tende a Bologna e poi in altre sedi. Testimonianze e cronache di testate locali e internazionali descrivono il ruolo dei Gpi nell’“intifada studentesca” italiana.  

 

La comunicazione del collettivo sostiene la “resistenza con ogni mezzo”, celebra i “martiri” e in più occasioni hanno definito il 7 ottobre 2023 una “rivoluzione” o “dura sconfitta del sionismo”, posizione che ha generato forti reazioni politiche e istituzionali.  

Sul loro blog, già ad aprile scorso, scrivevano: “(…) la storia chiama a schierarsi senza ambiguità: o con la resistenza o con gli oppressori. Ogni esitazione equivale a un tradimento” e che “non basta limitarsi alla denuncia, serve un salto di qualità nella lotta!” Il manifesto è chiaro ed esplicito: “Ogni fucile imbracciato dai combattenti di Gaza, ogni pietra lanciata dai giovani di Jenin, ogni sciopero, ogni blocco popolare e ogni appello che arriva dalla Palestina ci indica la strada da seguire. La Palestina non è solo il simbolo della resistenza contro il sionismo: è politicamente il punto più avanzato dello scontro contro l’imperialismo occidentale, la linea del fronte da cui si irradia la lotta che dobbiamo portare anche qui”.  

 

Non risultano bilanci pubblici riconducibili a “Giovani Palestinesi d’Italia”; i capitoli appaiono come collettivi informali che attivano crowdfunding e donazioni dirette per spese legali, logistiche ed eventi, spesso tramite PayPal/Iban indicati nei post o piattaforme come Chuffed per sostenere le spese legali o per finanziare iniziative come la “Global Sumud Flotilla”.  

 

Il capitolo bolognese replica la linea nazionale: presidi, accampate universitarie, adesione a campagne contro “complicità accademiche” e alla Flotilla. I canali social locali rilanciano il frame “al fianco della Resistenza palestinese” e hanno promosso la manifestazione del 7 ottobre, che – scrivono nel post – è l’anniversario di un “momento glorioso”, considerato “la più grande azione di resistenza degli ultimi decenni contro l’occupazione coloniale sionista”.