(Adnkronos) - Emma Marrone racconta di aver sviluppato un'abilità: "Leggere i volti dei medici". E' successo quando doveva ancora compiere 25 anni. "Stavo benissimo, avevo accompagnato un'amica dalla ginecologa e mentre eravamo lì mi hanno detto: ma perché non fai una visita anche tu? Faccio questa visita e lì vedo il volto della dottoressa mutare. 'Non voglio allarmarti, ma vedo qualcosa che non mi convince. Ti consiglio di ascoltare un altro parere', le sue parole".
Quello che succederà dopo è noto, perché la cantante non ha mai tenuto segreto il suo tumore ovarico. Ma oggi ripercorre quei giorni dal palco di 'Ieo con le donne', l'evento che l'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano dedica ogni anno all'ascolto delle sue pazienti. Emma lo aveva promesso in un video di 9 anni fa che avrebbe condiviso la sua storia con altre donne che hanno vissuto esperienze simili alle sue e ha mantenuto la parola.
Il suo racconto torna ai giorni della diagnosi: "Mi ricordo la sensazione, è come se da quel momento mi fossi estraniata dal mio corpo. Il mio problema non era quello che stava succedendo nel mio corpo, il mio problema era salvare i miei genitori prima che salvare me stessa, era questo il mio piano 'malefico', perché ho visto mia mamma e mio papà invecchiare di cent'anni di colpo, li ho visti cadere in mille pezzi. Poi è partita una pratica infinita, perché la situazione era abbastanza importante".
"La rabbia mi ha salvato - racconta Emma, bellissima in blazer e jeans, e "particolarmente emozionata", come da lei stessa ammesso - Non sono una abituata a piangersi addosso. Poi in verità, ragazze, c'è stata tanta paura di non farcela. Eppure la rabbia mi ha spinto sempre a dire alla malattia 'non puoi vincere tu'".
Dopo quel primo contatto con la ginecologa dell'amica, è il momento di parlarne in famiglia. "Sono tornata a casa da mamma e da papà, ho detto loro di essere andata a fare questa visita per caso e la dottoressa mi ha detto che devo vedere qualcun altro. Ma in che senso?", è stata la prima reazione. Incassato il colpo, mamma Maria ed Emma sono seduti davanti al ginecologo di famiglia, papà Rosario in sala d'attesa. "E lì si è fatta brutta - racconta la cantante - ho rivisto lo stesso sguardo. E' entrato anche mio papà e il medico ha detto: 'Rosario, Maria, le cose non sono per niente belle'. Si parlava di isterectomia su una ragazza di 25 anni e mio padre diceva 'no, non è possibile'. Quindi abbiamo iniziato a viaggiare, ad ascoltare tanti pareri, perché lui voleva trovare il modo di salvarmi sotto tutti i punti di vista".
"Sono finita a Roma - continua Emma - e ho fatto un intervento che è durato 6-7 ore, perché oltre a cercare di togliere questa massa importante, dovevano capire se c'erano focolai, metastasi. Mi hanno sminuzzata pezzetto per pezzetto. E poi è iniziata la mia vita, forse. Una vita strana, per assurdo. E' iniziata la mia carriera, perché avevo deciso proprio che io non ero quel corpo, io non ero quel cancro. Io ero una ragazza giovane che voleva fare carriera, cantare, essere famosa. E volevo vivere". Il cancro "è stato un ospite importante da debellare - ammette - io pensavo di averla chiusa lì e invece mi ha torturato per 10 anni, questo maledetto", sorride. "Ogni volta che dovevo fare qualcosa di figo, arrivava lui. Mi aspettava. Devi fare qualcosa? Aspetta che arrivo. Però l'atteggiamento è sempre stato quello: io non sono quel corpo, non sono quella malattia. Io sono la mia testa, la mia rabbia. Sono la mia famiglia, i miei amici che sono stati un cuscinetto emotivo importante". "Lui", il tumore, "ogni volta che arrivava, si portava via un pezzo importante di me. E infatti io adesso mi definisco un 'minotauro': metà donna e metà campo di battaglia".
Emma tiene a ribadirlo: "Il cervello, la testa può aiutare molto. Il fatto di non cedere, di non mollare, anche se ci sono stati dei momenti difficili, delicati. Non dovete mai mollare", dice rivolgendosi alla platea delle pazienti Ieo. "Anche quando ci sono quelle giornate in cui viene da dire 'perché tutte a me?', in realtà pensate che siamo tante, purtroppo. Ma siamo anche in tante che ce la facciamo e dobbiamo continuare ad essere sempre di più, grazie all'aiuto della ricerca che è fondamentale. Anche i medici, il modo in cui trattano la paziente può essere un aiuto in più. A volte mi sono sentita trattare come un numero e a volte invece sono finita nelle mani di medici che mi hanno fatto sentire come se fossi loro figlia e questo mi ha aiutato molto, la sensazione di non essere una patologia, un referto medico, ma di essere parte di una battaglia condivisa col mio medico mi ha aiutato molto. L'empatia e il rispetto per il malessere altrui, per la malattia dell'altro, credo possa in un certo senso infondere coraggio, perché poi siamo pronti a fare qualsiasi cosa, a prendere qualsiasi cura. Ma abbiamo bisogno anche della cura più importante, che è l'amore e il rispetto per il nostro dolore".
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