(Adnkronos) - Da cervello in viaggio per il mondo a cervello di ritorno. Lorenzo Guglielmetti, 42 anni, direttore del progetto EndTb, con Medici senza Frontiere ha trascorso davvero tanto tempo con la valigia in mano. Il suo colpo di fulmine scientifico: lo studio della tubercolosi resistente ai farmaci. Un incontro nato "un po' per caso. Ma poi ci siamo trovati e non ci siamo più lasciati", sorride, raggiunto al telefono dall'Adnkronos Salute. E proprio uno studio sulla Tbc resistente alla rifampicina, pubblicato quest'anno sul 'New England Journal of Medicine' gli è valso un importante riconoscimento: è stato inserito nell'elenco delle 100 persone più influenti del settore salute secondo la rivista 'Time'. E ora si appresta a tornare in Italia, dove da giugno comincerà una nuova parentesi lavorativa, all'Irccs ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.
"Le malattie infettive mi hanno sempre ispirato - spiega Guglielmetti - E' molto soddisfacente trattarle, perché si riesce a vedere un risultato, si riesce a curare. Di solito con i pazienti si ottiene un risultato in fretta". Ma non sempre è così. Alcune sfide sono più complicate di quel che si pensi. C'è poi l'aspetto umanitario: "Queste sono proprio le malattie delle disuguaglianze, delle fasce più marginali delle società, le grandi malattie neglette che hanno un impatto globale", osserva.
Sebbene sia personale, "il riconoscimento del Time è un riconoscimento al lavoro che è stato fatto in questo progetto nato quasi 15 anni fa, portato avanti con diversi partner da 3 Ong: Msf, Partners In Health (Pih), e Interactive Research and Development (Ird) - sottolinea - Un lavoro di ricerca ma anche molto di advocacy per cercare di migliorare il trattamento della tubercolosi resistente attraverso questi nuovi farmaci, creando nuove combinazioni di molecole in un ambito in cui c'è pochissimo interesse da parte delle case farmaceutiche e pochissimo finanziamento". L'obiettivo è dunque "riempire un vuoto".
Nello studio pubblicato su 'Nejm', spiega Guglielmetti, "abbiamo proprio identificato tre nuove associazioni di farmaci - combinazioni di 4 o 5 farmaci, alcuni nuovi, altri più vecchi - che con un trattamento di 9 mesi permettono di avere degli ottimi risultati nel trattare la tubercolosi resistente alla rifampicina" e quindi aiutare le 410.000 persone colpite ogni anno da questo ceppo. E' un trattamento "molto più corto" rispetto a quello storico di 18-24 mesi, "funziona almeno altrettanto bene, sono tutti farmaci orali, non ci sono iniezioni".
La tubercolosi non si guadagna quasi mai le prime pagine dei giornali, riflette il ricercatore, "si lotta per avere un po' di attenzione sul tema ed è assurdo se si pensa che, tra tutte le malattie infettive, la Tbc è l'agente che causa più morti ogni anno - 1,3 milioni di morti - e più di 10 milioni di casi. Un problema di sanità pubblica enorme, la pandemia più antica, e siamo lontanissimi dall'averla sconfitta. Penso dunque sia importante che si accendano i riflettori, specie in questa fase, con i tagli che sono stati fatti. Basti pensare che gli Stati Uniti hanno tagliato il 40% di tutti gli aiuti alla presa in carico della Tbc a livello mondiale". Gli impatti previsti "sono molto gravi: 30% di casi in più e più morti. Potenzialmente si ritorna indietro di decenni".
Guglielmetti, dopo la specialità in Malattie infettive all'università di Verona, si è messo in moto. "Adesso sono circa 11 anni che sono partito e sono andato a Parigi e da circa 10 anni lavoro con Msf. Sono partito in missione all'inizio, per uno o due anni, e ho lavorato sulla tubercolosi resistente come medico. Dal 2017 mi sono impegnato in questo progetto EndTb, che mi ha permesso di viaggiare nei 7 Paesi in cui abbiamo condotto questi studi, e adesso siamo alla fine, stiamo chiudendo dopo 8 anni".
Progetti per il futuro? Per Guglielmetti questo è un "momento di transizione". E' infatti in programma, come spiegato, "il ritorno in Italia. Riparto dall'ospedale di Negrar e continuerò a lavorare sulla Tbc, sempre inseguendo l'obiettivo di migliorare il trattamento".
(Adnkronos) - I reparti di Medicina interna dei nostri ospedali sono quelli che assistono quasi la metà dei ricoverati, in particolare anziani e cronici con comorbilità. Pazienti che necessitano di cure sempre più complesse, che richiederebbero adeguate dotazioni di letti e personale. "Ma oltre la metà delle medicine interne è attualmente in overbooking, mentre circa un terzo dei ricoveri potrebbe essere evitato con una migliore presa in carico dei servizi sanitari territoriali e se solo si facesse un po’ più di prevenzione. In più l’85,6% dei reparti denuncia carenze oramai croniche di personale". Sono alcuni dei dati che emergono dalla survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su 216 unità operative sparse in tutte le regioni italiane.
Nelle Medicine interne "si può dire che la sottoutilizzazione dei posti letto sia un fenomeno inesistente, visto che appena lo 0,46% delle unità operative ha un tasso di utilizzo inferiore al 50% e lo 0,93% tra il 51 e il 71%. Ma - sottolinea il report Fadoi - mentre il 40,28% dei reparti occupa tra il 70 e il 100% dei letti a disposizione, il 58,33% va appunto in 'overbooking', con oltre il 100% dei letti occupati. Ciò significa poi avere pazienti assistiti perfino su una lettiga in corridoio, con un solo separé a garantire la privacy. Ad acuire il tutto c’è poi la carenza di personale, riscontrata nell’85,65% dei casi".
Secondo la Fadoi: "Pochi letti, ancor meno personale, ma la situazione potrebbe essere un po’ più gestibile se si potessero evitare i ricoveri impropri, quelli frutto di una difficoltà di presa in carico dei servizi territoriali, basati su servizi di assistenza domiciliare, reparti di post acuzie e lungo degenza, ma in larga parte sulla rete dei medici di famiglia, anche loro sempre meno numerosi, con un numero elevato di pazienti da dover seguire e gravati sempre più da un enorme e spesso inutile carico burocratico".
"Mediamente un ricovero su quattro potrebbe essere evitato con una rete di assistenza territoriale più adeguata - prosegue la survey - Nel 32,87% dei reparti i letti che si sarebbero potuti liberare sono tra il 10 e il 20% del totale, nel 37% dei casi tra il 21 e il 30%, mentre nel 18,98% dei reparti si sarebbero potuti evitare tra il 31 e il 40% dei ricoveri con una migliore presa in carico del territorio. Percentuale che sale a oltre il 40% nel 6,02% delle unità operative, collocate soprattutto al Sud".
"Discorso analogo per la mancata prevenzione. Stili di vita scorretti, bassa aderenza agli screening, scarse coperture vaccinali, unite al più basso finanziamento pubblico d’Europa per la prevenzione, fatto è che a causa di tutto ciò almeno un quarto degli assistiti finisce in ospedale, quando avrebbe potuto evitarlo - rimarca la Fadoi - Nel 35,19% dei reparti tra l’11 e il 20% dei ricoveri sono dovuti alla poca prevenzione; percentuale che sale tra il 21 e il 30% nel 30% delle unità operative, mentre si sta tra il 31 e il 40% nel 19,44% dei casi e oltre il 40% nell’8,80% dei reparti".
La riforma della sanità territoriale. "Se su quel che precede e dovrebbe evitare molti ricoveri la nostra sanità ancora arranca, altrettanto non si può dire per chi viene dimesso. Qui la percentuale di chi va a casa ma con l’assistenza domiciliare integrata attivata è salita al 43,98%, mentre il 26,85% va in Rsa e il 21,30% in qualche struttura assistenziale intermedia. Solo il 7,87% si ritrova nel proprio letto ma senza servizi di presa in carico, né da parte del territorio, né dell’ospedale", osserva il report.
Cosa accadrà son le case e ospedali di comunità? "Quanto complessivamente la riforma della sanità territoriale, che stenta a decollare, possa migliorare le cose lo racconta la seconda parte dell’indagine, dalla quale emerge un mix di speranza e scetticismo rispetto all’operatività delle nuove strutture che dovranno aprire i battenti entro il giugno 2026 per non perdere i due miliardi del Pnrr stanziati proprio per questi servizi - avverte la Fadoi nel report - Fulcro della riforma dovrebbero essere le Case di Comunità, sorta di maxi-ambulatori dove dovrebbero lavorare in team medici di famiglia, specialisti ambulatoriali delle Asl e altri professionisti della salute. Strutture dove, oltre ad essere visitati, gli assistiti dovrebbero poter eseguire anche accertamenti diagnostici di primo livello, come Ecg o ecografie".
Per il 72,22% dei medici le nuove Case di Comunità potranno effettivamente ridurre il numero dei ricoveri, “ma bisognerà vedere come verranno realizzate”. Stessa risposta fornita dal 72,69% dei medici rispetto agli ospedali di comunità a gestione infermieristica, ai quali spetterebbe il compito di agevolare le dimissioni dai reparti, prendendo in carico quei pazienti che non hanno più bisogno dell’ospedale vero e proprio, ma che nemmeno sono nelle condizioni di tornare a casa. "Per il 20,37% degli interpellati, invece, nessun beneficio arriverà dalle Case di Comunità, così come non vede miglioramenti all’orizzonte derivanti dagli Ospedali di Comunità il 12,04% dei medici. Fermo restando che per il 32,87% tra l’11 e il 20% dei ricoveri potrebbe essere dimesso più rapidamente con queste nuove strutture intermedie ben funzionanti. Percentuale che sale tra il 21 e il 30% per il 33,33% degli interpellati, mentre per il 24,54% potrebbero lasciare più rapidamente il reparto oltre il 30% dei pazienti", conclude Fadoi.
Leggi tutto: Il report: "58% reparti Medicina interna in overbooking, ma 1 ricovero su 3 evitabile"
(Adnkronos) - Liberarsi dalla dipendenza dall'alcol con un'iniezione dimagrante. In uno studio presentato al Congresso europeo sull'obesità (Eco 2025), in programma dall'11 al 14 maggio a Malaga in Spagna, i pazienti che in una clinica di Dublino assumevano liraglutide o semaglutide per perdere peso hanno ridotto il consumo di alcolici di circa 2 terzi in 4 mesi. La ricerca aggiunge una tessera a un puzzle scientifico che sembra allargarsi sempre più: quello sui possibili benefici degli analoghi dell'ormone Glp-1 prodotto dall'intestino, medicinali antidiabetici a effetto dimagrante come l'Ozempic* a cui diversi volti noti hanno raccontato di aver fatto ricorso, da Oprah Winfrey a Elon Musk.
Il disturbo da consumo di alcol - ricordano gli autori del lavoro - è una condizione recidivante che causa 2,6 milioni di morti all'anno, pari al 4,7% di tutti i decessi a livello globale. Trattamenti come la terapia cognitivo-comportamentale (Tcc), terapie che mirano a rafforzare la motivazione a smettere o ridurre l'assunzione di alcol e i farmaci possono avere un grande successo a breve termine. Tuttavia, il 70% dei pazienti ha una ricaduta entro il primo anno. Gli analoghi Glp-1 hanno ridotto il consumo di alcol in studi sugli animali, ma soltanto ora stanno emergendo dati sul loro effetto in questo senso nell'uomo.
Carel le Roux dell'University College di Dublino, con colleghi in Irlanda e Arabia Saudita, ha raccolto dati prospettici sul consumo di alcol da parte di pazienti in cura per obesità in un centro della capitale irlandese. Lo studio in real-world ha coinvolto 262 adulti con un indice di massa corporea Bmi pari a 27 kg/metro cubo o superiore, per il 79% donne, di età media 46 anni e peso medio 98 kg, ai quali erano stati prescritti liraglutide o semaglutide per la perdita di peso. In base al consumo di alcol dichiarato prima di iniziare la terapia farmacologica dimagrante, i pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi: astemi (31, l'11,8%), bevitori occasionali (meno di 10 unità a settimana, 52 partecipanti ossia il 19,8%) e bevitori abituali (più di 10 unità/settimana, 179 pazienti, il 68,4%). Dei 262 adulti, 188 sono stati seguiti per un periodo medio di 4 mesi. I ricercatori hanno così osservato che nessuno di loro aveva aumentato il consumo di alcol. Anzi, il consumo medio è diminuito da 11,3 a 4,3 unità a settimana dopo 4 mesi di trattamento con gli analoghi del Glp-1: una riduzione di quasi 2 terzi".
In particolare, tra i bevitori abituali il consumo di alcol è diminuito da 23,2 a 7,8 unità a settimana. "Questa riduzione del 68% è paragonabile a quella ottenuta con il nalmefene, un farmaco utilizzato per il trattamento dei disturbi da consumo di alcol in Europa", osserva le Roux.
"L'esatto meccanismo con cui gli analoghi del Glp-1 riducono il consumo di alcol è ancora in fase di studio - spiega - ma si ritiene che abbia a che fare con un calo del desiderio di alcol, che si manifesta in aree sottocorticali del cervello non sotto controllo cosciente. Pertanto, i pazienti riferiscono che gli effetti" sulla diminuzione del consumo di alcolici "vengono ottenuti 'senza sforzo'".
Gli scienziati indicano alcuni limiti del loro studio (ad esempio il numero relativamente piccolo di pazienti, l'utilizzo di dati auto-riportati sul consumo di alcol e l'assenza di un gruppo di controllo), ma anche i punti forti: su tutti, l'analisi di dati raccolti prospetticamente in un contesto reale. Conclude le Roux: "E' stato dimostrato che gli analoghi del Glp-1 trattano l'obesità e riducono il rischio di molteplici complicanze correlate. Gli effetti benefici che vanno oltre l'obesità, come quelli sul consumo di alcol, sono in fase di studio, con alcuni risultati promettenti".
Leggi tutto: Nuovi antiobesità riducono di 2 terzi il consumo di alcol: lo studio
(Adnkronos) - "La salita al soglio di Pietro di un pontefice statunitense rappresenta una svolta epocale capace di rafforzare enormemente il legame tra le due sponde dell'Atlantico. Le sue prime parole pronunciate dalla Loggia delle Benedizioni sono un potente richiamo all'umanità sui valori della pace, della fratellanza e della responsabilità, particolarmente sentiti nella difficile era che stiamo vivendo in cui siamo chiamati ad affrontare sfide di portata globale". Così, con Adnkronos/Labitalia, Simone Crolla, managing director di AmCham Italy, la Camera di Commercio Americana in Italia, sull'elezione di Papa Leone XIV.
"Da sempre il commercio ha promosso concordia tra i popoli e portato benessere a coloro che ne beneficiano e può a buon titolo considerarsi uno strumento di armonia e dialogo. La stagione di speranza e vicinanza tra le genti che si apre con questo pontificato, radicato nel solco dell'eredità spirituale di Papa Francesco, può rendere ancora più efficace l'azione di tale strumento, contribuendo così al ristabilimento di quella concordia di cui tutti percepiamo il bisogno. AmCham Italy rivolge pertanto le più sentite congratulazioni a Sua Santità Papa Leone XIV per la sua elezione e augura ogni successo nel suo operato", conclude.
(Adnkronos) - Il disegno di legge che prevede la partecipazione dei lavoratori al capitale, alla gestione e ai risultati dell’impresa sta seguendo il suo iter parlamentare e potrebbe diventare legge molto presto. Si tratta di un tema storico per il nostro Paese, sul quale anche i direttori del personale hanno espresso il loro pensiero. L’88% di loro, infatti, ritiene che il tema sia molto importante per lo sviluppo e il successo delle aziende e, di questi, il 33% dichiara che la proposta è molto utile. Nel merito della proposta di far partecipare i lavoratori alla governance dell’impresa, invece, circa il 72% dei direttori del personale si dichiara favorevole. Questo è uno dei dati di fondo emersi dall’indagine sul tema curata dal centro ricerche dell’Aidp (associazione nazionale per la direzione del personale), guidato dal professor Umberto Frigelli, a cui hanno risposto oltre 600 professionisti delle risorse umane.
“Il Disegno di Legge n. 1407 rappresenta un'opportunità unica per dare concretezza all'articolo 46 della Costituzione e favorire la partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale. La survey condotta da Aidp evidenzia chiaramente il grande potenziale di queste pratiche. La partecipazione non si impone, si costruisce: serve un’alleanza tra istituzioni, imprese e persone, come Aidp lavoreremo per ottenere questo risultato. solo così potremo creare un modello partecipativo efficace e duraturo. Questi e tanti altri saranno i temi al centro del nostro 54° congresso nazionale del 16 e 17 maggio”, spiega Matilde Marandola, presidente nazionale Aidp.
In questi anni sono state già implementate nelle aziende diverse forme e modalità di partecipazione dei lavoratori alla governance aziendale. Il 30% delle aziende, infatti, ha predisposto organismi consultivi attraverso forme e processi strutturati per avanzare suggerimenti e proposte di miglioramento; il 21% circa a definito delle modalità strutturate di coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni produttive e organizzative; il 20% circa ha definito modalità consultive, non vincolanti, attraverso la partecipazione dei lavoratori a comitati paritetici su temi come formazione, piani di carriera inquadramento; il 15% ha previsto modalità di partecipazione ai profitti e l’8% alla gestione e partecipazione alla scelte strategiche. Il 69% dei professionisti HR dichiara una certa soddisfazione su tali forme di partecipazione implementate che considera efficaci e proficue.
I direttori del personale che non hanno implementato la partecipazione. Tra le modalità di partecipazione sopra elencate i direttori del personale che non hanno ancora implementato nessuna iniziativa in questo senso prediligono, in grande maggioranza, le modalità consultive attraverso, processi strutturati (il 58%) o comitati paritetici consultivi non vincolanti (il 36%) su temi quali la formazione, la carriera, l’inquadramento. Quasi il 17% è favorevole alla partecipazione agli utili e il oltre il 9% alla partecipazione alle scelte strategiche.
Oltre il 60% dei direttori del personale ritiene che la partecipazione dei lavoratori, nelle varie forme possibili, serva ad aumentare l’ingaggio e la motivazione; il 29% circa ad avere proposte e suggerimenti utili alla gestione e il 19% a migliorare l’efficienza dei processi aziendali. Oltre il 21%, inoltre, pensa che serva a migliorare il clima aziendale e il 12% crede che la partecipazione dei lavoratori sia utile a migliorare la governance complessiva dell’azienda. Potrebbe, infine, migliorare le relazioni sindacali per il 9% e incrementare il compenso dei dipendenti per oltre l’8% dei rispondenti.
Il 54° congresso dell'Aidp dal titolo 'La Forza dell’Immaginazione', si svolgerà presso l’Allianz MiCo di Milano. Parteciperanno oltre 1.400 professionisti delle risorse umane provenienti da tutte le regioni d’Italia, 76 speaker di altissimo livello, nazionale e internazionale e una cena molto particolare con Leonardo Da Vinci, tutta da scoprire. Nella due giorni si discuterà di come la diversità culturale sia una fonte inesauribile di ispirazione e l’intelligenza artificiale, al centro della rivoluzione spazio-temporale del lavoro unita all’urgenza della sostenibilità, siano decisivi per immaginare un futuro in cui le visioni hanno il coraggio di diventare realtà.
Leggi tutto: Aidp: da 72% direttori personale sì a partecipazione lavoratori a governance aziendale
(Adnkronos) - "Un Papa che ha subito invocato la pace, che ha indicato pur in poche parole la via difficile di una nuova concordia che parte dagli ultimi, i vessati, gli oppressi dei Sud del mondo, dalle periferie dell'esistenza. C'è tanta continuità nell'attenzione alle vittime dell'economia dello 'scarto' anche nella scelta di un nome molto impegnativo, quello di un predecessore come Leone XIII che ha fondato nei fatti la dottrina sociale con la prima Enciclica Rerum Novarum che guarda al mondo del lavoro, dei diritti, dell'inclusione". Così, con Adnkronos/Labitalia, Luigi Sbarra, già leader della Cisl, commenta l'elezione di Papa Leone XIV.
(Adnkronos) - All'inizio della sua carriera non voleva diventare esattamente un chirurgo dell'obesità. Eppure oggi, proprio grazie alla sua attività 25ennale ed esperienza in questo campo, Francesco Rubino, 53 anni, per la rivista 'Time' è una delle 100 persone più influenti nel mondo della salute. L'essere stato inserito nell'elenco 2025 (categoria leader) "è stata una doppia soddisfazione: non solo un riconoscimento personale, ma un riconoscimento alla Lancet Commission, 56 esperti dagli Usa all'Australia, di tutti i continenti, con i quali abbiamo affrontato un lavoro di anni, iniziato nel 2019, per definire per la prima volta la diagnosi di obesità. Una diagnosi che distingue tra obesità clinica e preclinica. Lo abbiamo fatto spontaneamente e senza compensi, con la stessa passione che si ha quando si entra alla scuola di medicina", spiega all'Adnkronos Salute Rubino, responsabile Metabolic and bariatric surgery al King's College London.
"Finora - sottolinea l'esperto - non avevamo una diagnosi clinica di obesità, avevamo una classificazione basata sul peso. E non è facile usare una classificazione che, con l'indice di massa corporea, non riflette la salute dell'individuo". Come spiegare alle persone cos'è l'obesità? "E' uno spettro di condizioni - chiarisce Rubino - Ci sono persone che vivono con un'obesità moderata e non hanno immediatamente dei problemi di salute, magari hanno un rischio di averli in futuro e questo rischio va trattato con delle strategie diverse. Ma ci sono persone che hanno una vera e propria malattia, qui e ora, non un rischio futuro. Persone che non possono camminare, non possono respirare, lavorare. Purtroppo a loro spesso non viene riconosciuto questo stato di malattia, molto spesso non hanno accesso alle cure, poi ancora più spesso sono anche vittime di uno stigma. Per questo c'era bisogno di riconoscere l'obesità anche come malattia". Un lavoro, quello della commissione, che va dunque "anche contro i pregiudizi".
Pregiudizi che vanno "in due direzioni praticamente opposte. Da un lato c'è quello che ha fatto sì che non si potesse ritenere finora in maniera globalmente riconosciuta che l'obesità è anche una malattia - ragiona Rubino - E dall'altro il pregiudizio contrario di voler dipingere tutta l'obesità come una malattia, forse un errore involontario. Il punto è che questo è un problema che affligge talmente tante persone e occorre decidere in maniera concreta, scientifica, medica ed etica come e a chi dare priorità per farmaci e interventi chirurgici che non si possono dare a tutti, e trattare ognuno in maniera adeguata".
Rubino spiega che lui stesso aveva, all'inizio del suo percorso, "un'idea sbagliata" della questione. "Pensavo fosse molto legata agli stili di vita, qualcosa da affrontare facendo esercizio e mangiando meno. 'Perché operarsi?', mi dicevo - racconta - Poi invece ho capito che mi sbagliavo sia sulle cause dell'obesità sia sugli interventi, ho capito che non era tutto così semplicistico. E mi sono specializzato in questa chirurgia". E' insomma "un problema importante, sul quale a mio avviso abbiamo fatto un passo avanti, però è un passo avanti che richiede ancora che molte persone cambino un po' il loro modo di vivere e di vedere l'obesità, inclusi alcuni professionisti della sanità". C'è chi si schiera come se fosse un problema di opinione, "invece deve essere un problema trattato secondo evidenza scientifica. La commissione ha trovato il modo di riconoscere una realtà che è, tutto sommato, sotto gli occhi di tutti, e cioè che l'obesità può essere un fattore di rischio e può essere una malattia vera e propria che compromette il funzionamento degli organi nello stesso modo in cui lo fanno altre malattie, quindi queste persone non dovrebbero essere discriminate".
Rubino è stato un 'globetrotter' del mondo medico-scientifico. Intorno ai 28 anni ha messo il bisturi in valigia ed è volato Oltreoceano. Nato a Cosenza, ha frequentato Medicina a Roma, all'università Cattolica - Policlinico Gemelli. "Qui mi sono laureato e specializzato in Chirurgia generale e già durante gli ultimi anni di specializzazione ho cominciato a fare esperienza all'estero - dice - Poi ho lasciato l'Italia per fare un ulteriore training negli Stati Uniti, al Mount Sinai Medical Center, alla Cleveland Clinic". Poi c'è stata una parentesi di 7 anni in Francia, a Strasburgo. A quel punto "mi hanno offerto di lavorare alla Cornell University a New York", dove c'era uno dei primi centri di chirurgia del diabete al mondo. "Le mie ricerche precedenti avevano evidenziato un meccanismo per cui gli interventi chirurgici che si fanno per l'obesità cambiano di fatto anche il metabolismo degli zuccheri, in maniera indipendente dalla perdita di peso. Quindi in qualche modo avevo sviluppato questo concetto di chirurgia per curare il diabete di tipo 2".
L'esperto ha diretto questo centro alla Cornell "per 7 anni circa". E la Grande Mela è anche la città dove ha incontrato "per caso" sua moglie Christin, "americana della California, due storie completamente diverse le nostre". Lei "fa la cantante lirica e io, per un congresso che ho organizzato a New York, ho chiamato la Juilliard School per avere un cantante che si esibisse per l'occasione. E' arrivata lei". Il resto è storia. La coppia vive a Londra dal 2013 e oggi ha un figlio di 9 anni. L'Italia? "Manca, ma si torna ogni volta che è possibile, per far visita a mio papà che vive in Calabria e ha 87 anni". (di Lucia Scopelliti)