(Adnkronos) - L'attacco israeliano all'Iran è un nuovo colpo per l'economia globale. L'atto di guerra si aggiunge alle pressioni già da anni consistenti, esercitate dal conflitto in Ucraina e dalle tensioni in Medio Oriente, con Gaza e la Cisgiordania in piena crisi umanitaria. Sale il livello di incertezza e aumentano i rischi per la crescita e la tenuta del sistema degli scambi commerciali, già penalizzato dalla politica di Trump sui dazi. Mai come in questa fase diventa il fattore geopolitico l'elemento di maggiore preoccupazione per le istituzioni internazionali, dalla Bce al Fmi e alla Banca Mondiale, che provano a prevedere e gestire l'impatto delle crisi che si stanno moltiplicando nel mondo.  

Se l'impatto della notizia dell'attacco all'Iran è stato subito evidente per i mercati finanziari , le ripercussioni sull'economia reale e per il tessuto produttivo saranno quantificabili con più precisione solo nel tempo. Partendo, però, dall'evidenza che si sommeranno alle fibrillazioni già in atto. 

Un altro fattore che va considerato è l'effetto spesso perverso delle sanzioni, che sono l'unico strumento possibile per esercitare una pressione su chi aggredisce un altro Paese, è il caso della Russia, o su chi non rispetta gli standard internazionali, è il caso dell'Iran. Nel caso di Israele, che ha legami forti con tutte le economie occidentali, le sanzioni si sono limitate finora a quelle personali, contro i due ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, da parte di Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Norvegia. Il problema delle sanzioni, in generale, è sempre lo stesso: possono colpire un bersaglio ma si portano sempre dietro effetti collaterali che indeboliscono anche chi le impone.  

Quali sono, più in concreto, le conseguenze sul piano economico dell'escalation tra Israele e Iran? Se ne possono sintetizzare tre: l'aumento dei prezzi dell'energia, la contrazione dell’export, le tensioni sulle catene di approvvigionamento. Il primo tema, quello dell'energia, riporta in primo piano il livello di indipendenza dell'Italia dall'estero. Gli sforzi fatti per ridurre l'impatto della Russia nel mix energetico hanno contribuito a esporre di più il Paese su altri fronti. A oggi, quasi un terzo delle forniture di gas e petrolio arriva dal Medio Oriente. La salita del prezzo del petrolio, in particolare, ha conseguenze immediate sia sull'inflazione, e quindi sui prezzi al consumo, sia sui costi di produzione. Un problema ulteriormente aggravato dall'instabilità politica dei Paesi da cui arrivano forniture alternative, come quelli africani. 

Da un punto di vista commerciale, le imprese italiane che fanno import/export con Israele e Medio Oriente sono destinate a fare i conti con un aumento dei costi per la logistica e per la protezione assicurativa, oltre che con una domanda inevitabilmente in calo. Quando parliamo di logistica, non possiamo trascurare i costi per il trasporto delle merci. Le rotte commerciali mondiali sono state già colpite, sia per la guerra in Ucraina, sia per la crisi che ha interessato il Mar Rosso, con gli attacchi ai cargo da parte degli Houthi, sostenuti proprio dall’Iran. Oggi con i bombardamenti israeliani è facile prevedere che la tensione possa tornare a salire in tutta l'area. (Di Fabio Insenga) 

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