(Adnkronos) - Dall’assemblea generale di Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta le fonderie italiane, proviene un allarme drammatico sullo stato dell'industria. Il presidente Fabio Zanardi ha denunciato una crisi strutturale che sta mettendo in ginocchio un comparto strategico per l'intera manifattura italiana ed europea, con volumi produttivi ai minimi storici e prospettive fosche per il futuro prossimo. La situazione è di estrema urgenza, con molte aziende che rischiano la chiusura in assenza di un concreto cambio di rotta. Un contesto peraltro comune all’industria italiana nel suo complesso che, prima del leggero rimbalzo di aprile (+0,3%), era reduce da una lunghissima serie di 26 mesi consecutivi di calo tendenziale della produzione. L’assemblea, svoltasi a Soave, in provincia di Verona, ha visto la partecipazione, oltre che dei leader del settore, di esperti e rappresentanti istituzionali. La voce delle fonderie è stata rappresentata, oltre che da Zanardi, da Chiara Danieli (presidente Eff-European foundry federation): entrambi hanno chiesto risposte concrete sulle questioni più urgenti di politica economica all’on. Paolo Borchia, europarlamentare e membro della Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia.
Ad arricchire il dibattito, due voci che hanno chiarito il quadro geopolitico e regolatorio attuale: Gianclaudio Torlizzi (esperto di materie prime e consulente del Ministero della Difesa) e Massimo Beccarello (esperto di energia e docente all’Università degli Studi Milano-Bicocca). Il 2024 delle fonderie e le prospettive per il 2025 Nel 2024 la produzione delle fonderie italiane si è attestata a circa 1,6 milioni di tonnellate di fusioni, in calo del 12,3% rispetto al 2023, mentre il fatturato è diminuito del 12,8%. Per le fonderie di metalli ferrosi, il calo è stato ancora più marcato: -17,2% nella produzione, che ha raggiunto i livelli più bassi dal 1980, e -19,2% nel fatturato. Hanno invece mostrato qualche segnale di resistenza le fonderie di metalli non ferrosi, che hanno chiuso l’esercizio con un calo della produzione del 6,1% e del fatturato del 9,2%. Anche il primo trimestre del 2025 non ha invertito la rotta, registrando un -9,5% nella produzione e -8,7% nel fatturato rispetto allo stesso periodo del 2024. Questa contrazione non è un evento isolato, ma il risultato di una tendenza ormai di lungo periodo che compromette competitività e domanda globale delle imprese. La crisi energetica che prosegue Il settore è schiacciato tra una domanda in forte rallentamento e costi di produzione troppo elevati, in particolare quelli energetici, tra i più alti d’Europa e del mondo.
"L'emergenza energetica - sottolinea il presidente di Assofond - che persiste dal 2021, non ha ancora trovato una soluzione. Anche se il 45% del mix energetico nazionale proviene ormai da fonti rinnovabili, il prezzo dell'elettricità in Italia rimane legato a quello del gas: una grave anomalia che penalizza le imprese e distorce il mercato. E mentre le fonderie lottano per la sopravvivenza, i fornitori di utilities registrano profitti record". Il presidente Zanardi ha poi sottolineato il rischio che, ancora una volta, le imprese energivore di piccole e medie dimensioni possano restare sostanzialmente escluse dai sostegni, essendo "troppo piccole per rientrare tra i grandi energivori, e troppo energivore per rientrare tra le pmi".
Le fonderie italiane non sono tra le imprese più colpite direttamente dall’aumento al 50% dei dazi Usa su acciaio e alluminio. L’impossibilità di essere competitivi verso i mercati extra-Ue, proprio a causa dei costi di produzione troppo elevati, aveva infatti già portato negli anni precedenti a una forte riduzione della quota di export verso gli Usa (178 milioni di euro su 7,5 miliardi di fatturato totale nel 2024, -44% rispetto al 2023). Il problema è rappresentato però dagli effetti indiretti di queste misure, potenzialmente devastanti: la possibile invasione di fusioni provenienti dal Far East sul mercato europeo; il Carbon border adjustment mechanism (Cbam), che aumenterà il costo delle materie prime per le fonderie italiane, senza tassare le fusioni extracomunitarie che entrano nella UE; il rischio di nuovi dazi sui settori committenti (come l'automotive), che potrebbero ridurre ulteriormente la domanda di fusioni italiane.
Serve una forte presa di coscienza e un intervento rapido a livello europeo per sostenere la manifattura continentale. La spinta verso la decarbonizzazione, pur fondata su obiettivi condivisibili, si scontra con la realtà della competitività. "Siamo all’ultima chiamata - ha detto ancora Zanardi - non c’è più tempo per i tentennamenti. L’Europa deve decidere se perseguire i suoi obiettivi di decarbonizzazione con un approccio pragmatico e aperto a possibili deviazioni, oppure con un approccio ideologico che porta dritti alla deindustrializzazione, con effetti potenzialmente disastrosi non solo in termini economici e occupazionali ma anche di dipendenza strategica da Paesi ostili o potenzialmente tali. Ridurre i costi energetici, semplificare le normative, garantire l’accesso alle materie prime critiche e sostenere l’innovazione delle imprese sono esigenze imprescindibili". Le strategie per il rilancio Ma quali sono, in concreto, le possibili soluzioni? "Le nostre proposte sono chiare - ha ribadito - in prima battuta bisogna concentrarsi sull’energia, e mettere innanzitutto mano con coraggio al disaccoppiamento del costo dell’elettricità da quello del gas. Un primo passo è stato fatto con l’Energy Release, che di fatto restituisce un disaccoppiamento per il 35% del fabbisogno delle imprese partecipanti per tre anni. Ma questa misura è ancora bloccata dai rilievi della Commissione europea e, in ogni caso, non è definitiva: è necessario trovare il modo di arrivare a un disaccoppiamento strutturale".
L’altra leva possibile per ridurre i costi energetici è quella del credito d’imposta: "Quando è stato introdotto si è rivelato uno strumento rapido, efficace e mirato. Si potrebbe pensare di riproporlo, con le dovute modifiche e aggiornamenti al nuovo contesto, in attesa dell’auspicata riforma strutturale del mercato elettrico". Il tempo, però, è poco. «L’industria ha bisogno di un intervento immediato: la frustrazione è tanta, perché il problema è noto da tempo, ma nessuno fa nulla. E questo è mortificante. Perché, se almeno ci dicessero: 'non servite più', potremmo prenderne atto. Ma invece no: sappiamo che l’Europa ha bisogno delle nostre imprese. E troviamo ovunque conferme. Ma restiamo di fatto fermi, inermi di fronte a un declino che potrebbe diventare irreversibile. E ci nutriamo solo di speranze. Speranze che, quando ci ritroveremo senza lavoro, senza persone, con un pugno di impianti valorizzati al peso del rottame, non ci serviranno più a nulla".
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