Al progetto, 20 anni fa considerato brutto, collaborò anche Maria Lai. Lo condivise a tal punto da proporne i modelli in alcune sue mostre. GUARDA LA FOTOGALLERY
Quando il progetto della piazza di Sinnai vide la luce suscitò una scia di polemiche. Fu ritenuto brutto e contrastante rispetto all'urbanistica tradizionale. A circa venti anni dalla sua realizzazione la Biennale di Venezia 2014 lo ha invece riscoperto e inserito in una storia per immagini della miglior cultura progettuale italiana. Cino Zucchi, curatore del Padiglione Italia e dell'allestimento Innesti/Graftings, lo ha scelto per rappresentare il concetto di “modernità anomala”, ossia la capacità «di innovare e al contempo di interpretare gli stati precedenti». «È un riconoscimento per noi certamente lusinghiero», dice Gaetano Lixi, architetto cagliaritano che insieme a Francesco Delogu firmò il progetto nel 1995. «Eravamo consapevoli del senso della sfida. Intervenire in “sa piazza 'e cresia” - precisa - è come lavorare nel soggiorno di una casa privata. Lì sono custodite memorie ed affetti. Storie di incontri, matrimoni, nascite e funerali. Tutte le scelte che minacciano la sicurezza del noto sono oggetto di critica e discussione». «Quando nel 1998 consegnammo la nuova piazza al Comune - racconta ancora - avevamo la consapevolezza di aver realizzato un progetto innovativo ma di averlo fatto con scrupolo e competenza, chiedendo peraltro - come nella migliore tradizione italiana - la collaborazione di un'artista». Si trattava di Maria Lai. Non partecipò materialmente alla stesura del progetto ma lo condivise a tal punto da volere un modello della piazza di Sinnai in una mostra antologica che si svolse a Oristano e in una successiva che raccontò la sua arte a Torino. Alla maestra di Ulassai non piacque soltanto il disegno dello spazio urbano, che ricorda scacchiere e bicromie delle piazze rinascimentali italiane, pensò anche alla contestualizzazione di un palazzone che, eretto negli anni Cinquanta davanti alla parrocchiale di Santa Barbara, stride ancora fortemente con le architetture pubbliche e private che si affacciano sul sagrato. Insieme ai progettisti non approvò la possibilità della demolizione (che avrebbe comportato l'acquisizione della struttura da parte del Comune e quindi costi insostenibili) ma ipotizzò un'originale inserimento nel contesto urbanistico. Attraverso un sapiente alternarsi di vuoti e di pieni e inserendo entro le linee orizzontali di demarcazione dei piani motivi iconografici propri dell'artigianato sardo, immaginò che il prospetto del cubo di cemento, oltraggio al prospiciente campanile, potesse realizzare un grande tappeto. «Sarebbe stato un omaggio alle memoria delle processioni e delle festività cristiane - spiega Lixi - quando nei paesi è consuetudine esporre alle finestre i pezzi più pregiati del corredo domestico». I bozzetti di Maria Lai sono così parte integrante della storia di un progetto che a distanza di 20 anni è stato riscoperto, anche dal Comune. Gli stessi architetti cureranno i lavori di ripristino della pavimentazione danneggiata dal traffico di auto e mezzi pesanti. «L'avremmo voluta aperta solo ai pedoni - conclude Lixi - così che tornasse a essere, come nel passato, luogo d'incontro, confronto e discussione».
Manuela Arca
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