Alghero
Centinaia di migliaia di turisti diretti verso le favolose spiagge de Le Bombarde[1] e del Lazzaretto, verso l’affascinante baia di Porto Conte[2] e la suggestiva scogliera di Capo Caccia, ogni anno passano davanti a quei resti nuragici sul litorale di Alghero[3] e molti di loro si fermano tra le antiche pietre per scoprire questo speciale tesoro di storia. Il complesso nuragico di Palmavera lo conserva gelosamente, al pari di un altro grande complesso nuragico sardo, quello di Barumini[4]. Due torri (della terza poco è rimasto) e una cinquantina di capanne (ma probabilmente erano tante di più) raccontano di 1500 anni fa, del popolo dei nuragici: una civiltà, la civiltà dei sardi.
Fu l’archeologo Antonio Taramelli, nel 1904, a riportare alla luce il complesso nuragico di Palmavera. Un anno prima era stato nominato direttore del Museo e degli Scavi di Antichità. Quando arrivò ad Alghero[5], annotò sulle pagine del diario di aver trovato “un grandioso cumulo di pietre sconvolte”. Ma i suoi collaboratori che già avevano con lui mandato avanti una campagna di scavi nell’altro grande complesso archeologico algherese, la necropoli di Anghelu Ruiu[6], in quattro settimane, a quel cumulo di pietre, diedero un primo ordine.
Nel mondo della ricerca fu un fatto di grande rilevanza, perché la “prima esplorazione di un nuraghe condotta con criteri scientifici, ovviamente riportati agli inizi del secolo”, come scrive il professor Alberto Moravetti, archeologo, professore dell’Università di Sassari che più di mezzo secolo dopo e successivamente ad alcuni scavi degli anni ’60, dal 1976, ha proseguito quel lavoro di ricerca e al complesso nuragico di Palmavera ha dedicato anche un libro, utilissimo per la scoperta e il racconto di questo sito, grazie a una dettagliata descrizione.
L’attività di scavo è andata avanti negli anni, ancora non è conclusa, come in buona parte dei cantieri archeologici della Sardegna dove parecchio resta da scoprire.

Il villaggio nuragico di Palmavera, a ridosso della strada statale 127 bis Settentrionale sarda, sorge ai piedi di una collina e guarda il magnifico mare di Alghero[7]. Di fronte ha le acque cristalline tra Punta Giglio[8] e Cala Galera, precedute da una distesa di oliveti e vigneti e da un compendio boschivo. I nuragici sicuramente avevano scelto bene il luogo dove far sorgere questo loro insediamento. Tirarono su tre torri nuragiche e decine e decine di capanne. Delle torri ne restano due addossate al bastione dove si può salire per avere una visione d’insieme del complesso. Delle capanne, invece, se ne contano oggi una cinquantina, ma si presume che ve ne fossero numerose altre. La maggiore parte vennero edificate utilizzando blocchi di calcare, alcune con la pietra arenaria. Hanno forma circolare e avevano una copertura con pali e frasche, proprio come le attuali pinnetas, le case dei pastori che ancora oggi si possono vedere in molte campagne della Sardegna.
Le capanne sorgono attorno alle torri nuragiche e non proprio in un preciso ordine urbanistico: ad esempio gli ingressi alle capanne non sempre si affacciano sulle stradine interne al villaggio nuragico. Sembra di essere quasi in un labirinto.
Una di queste capanne ha una particolarità. E’ la cosiddetta capanna delle riunioni. Nella parte interna, attorno al muro perimetrale doveva avere una seduta circolare (oggi di sedute ne sono rimaste una trentina) e un tronetto, tra i manufatti più noti della Sardegna nuragica.

Gli archeologi hanno scoperto nelle capanne del complesso di Palmavera vasi interi con la bocca al livello del calpestio, chiusi da una semplice pietra o da una lastra di ardesia. Sono la dispensa degli antichi nuragici che abitavano in quelle costruzioni, contenitori per derrate o liquidi. Ovvio l’interesse dei ricercatori su quanto contenessero quei vasi, così, come sui resti faunistici della cosiddetta capanna delle riunioni. Sicuramente i nuragici a Palmavera allevavano e macellavano animali domestici; cacciavano e si alimentavano di selvaggina; pescavano nel vicino mare di Porto Conte[9]. Si nutrivano di carne di capra, di maiale, di lepre o coniglio, ma anche di uccelli. Non mancava il pesce e una grande varietà di molluschi marini, soprattutto patelle, oltre alla cosiddetta pinna nobilis.

Tanti gli oggetti riportati alla luce nelle campagne di scavo all’interno del perimetro del villaggio nuragico di Palmavera. Molti di uso comune: ciotole, vasi, tazze e tegami. Le ceramiche, sono considerate di buona fattura. Diversi oggetti di metallo, in particolare di bronzo: armi come spade e pugnali; strumenti da lavoro come accette e punteruoli; accessori ornamentali come bracciali e anelli.
Scrive il professor Alberto Moravetti: “Dai materiali rinvenuti scaturisce il quadro di un’economia di tipo misto – agricoltura, allevamento, pesca e caccia – che poteva fornire agli abitanti di Palmavera risorse sufficienti per uno standard di vita più che dignitoso”.
E ancora il professor Moravetti racconta, però, anche la fine del villaggio nuragico di Palmavera: “L’abitato venne distrutto da un violento incendio, probabilmente verso la fine dell’VIII secondo avanti Cristo”.

L’area archeologica che racchiude il complesso nuragico di Palmavera è visitabile tutto l’anno, tranne che il giorno di Natale. Gli orari di apertura: da novembre a marzo, dalle 10 alle 14; ad aprile, maggio e ottobre, dalle 10 alle 18; da giugno a settembre dalle 10 alle 19. Nel sito internet dedicato[10] si possono attingere altre utili informazioni.

Spostandosi ad Alghero[11], il Musa[12], il museo archeologico locale, offre un interessante spaccato sul profondo legame della città del corallo con il mare. Si parte dal relitto romano individuato nel litorale di Mariposa, una nave romana sorpresa da una violenta mareggiata nel I secolo d.C. e affondata nelle acque algheresi con il suo carico di coppette di fine ceramica. Si fa un salto fino al medioevo con il relitto di capo Galera, dal quale proviene l’elegante giara in terracotta: questa sarebbe stata realizzata in Andalusia tra il XII e la prima metà del XIII secolo, periodo nel quale la Spagna Meridionale era sotto la dominazione della dinastia musulmana berbera degli Almohadi.
Il relitto, scoperto nel 1995 nell’insenatura di capo Galera, giace attualmente a poco più di 5 metri di profondità, tra le foglie rigogliose della poseidonia. Risalente invece al periodo post medievale l’altro relitto individuato sempre nella zona di Mariposa, tra il 1988 e il 1989: costruito circa un secolo prima del suo naufragio avvenuto tra il XV e il XVI secolo, presenta la struttura tipica delle caracche, meglio conosciute come caravelle.
Gli oggetti rinvenuti raccontano degli spaccati di vita dei marinai durante il loro lungo peregrinare sulle rotte commerciali: un rosario di legno, barili contenenti sardine sotto sale, una pentola e un set per l’igiene personale. Le meraviglie del Museo di Alghero[13] sono visitabili il lunedì e mercoledì dalle 10,30 alle 13 e il martedì e giovedì dalle 17,30 alle 20. Dal venerdì alla domenica si seguono aperto sia di mattina che di pomeriggio dalle 10,30 alle 13 e poi dalle 17,30 alle 20.
Alghero[14], città del corallo, è ricca di mille altre bellezze: il viaggio parte dal suo porto, le cui banchine sono situate a ridosso delle mura della città vecchia. La prima tappa è la baia di Porto Conte[15], capace di accogliere le barche donando protezione dai venti da diversi quadranti. Facilmente raggiungibile da Alghero[16], le sue acque blu sono inserite all’interno del vasto parco di Porto Conte[17] al cui nord si staglia Monte Doglia e che include perle come Punta Giglio[18] e Cristallo, la spiaggia di Porticciolo con la sua torre, Cala Viola e le grotte di Capo Caccia, delle quali la più conosciuta è quella di Nettuno[19]. Imperdibile una sosta alla spiaggia delle Bombarde[20] per un tuffo nella sue acque azzurre.
Venerdì, 29 settembre 2023