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la parentesi Draghi deve servire a rendere Renzi inoffensivo

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Scritto da Democrazia Oggi
Democrazia Oggi

Alfiero Grandi (Domani 22.2.2021)

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Renzi voleva la crisi del governo Conte 2, ne ha provocato le dimissioni e dopo avere seminato macerie tenta di convincere che aveva previsto tutto, compreso l’incarico a Draghi di formare un nuovo governo. Renzi appartiene a quelli che scrivono la storia dalla fine, ma non dice che dobbiamo a lui se Berlusconi e Salvini sono entrati nell’area di governo dopo l’incarico a Draghi, quando il Presidente Mattarella ha constatato l’impossibilità di altre soluzioni e spiegato con chiarezza che le elezioni anticipate avrebbero messo in pericolo il paese, per la gravità della pandemia, per l’urgenza di decidere sull’uso dei fondi europei a sostegno della ripresa dell’Italia - senza la quale l’Europa stessa sarebbe a rischio - per garantire la tenuta delle istituzioni repubblicane, concetto a cui Draghi ha fatto chiaro riferimento.

La maggioranza di Draghi non ha un asse di centro sinistra. Ci sono rischi di involuzione, di slittamenti a destra, l’unica via per evitarli è che le sinistre prendano seriamente gli impegni programmatici di Draghi e si muovano.

La destra che Renzi ha rimesso in gioco è di fronte a serie difficoltà. Basta ricordare le parole nette di Draghi sull’Europa, sull’Euro (non reversibile), sulle alleanze internazionali.

E’ Salvini che deve fare i conti con sé stesso. Qual’è il vero Salvini ? Sfoga la rabbia con questo e con quello, deve pur nascondere il suo voltafaccia.

Anche la precedente maggioranza è travagliata. Il Movimento 5 Stelle ha accelerato la sua crisi, curiosamente tante, alcune comprensibili, preoccupazioni vengono manifestate oggi con Draghi ma non c’erano quando si formò il governo 5Stelle/Lega. Eppure la Lega è un impasto reazionario, razzista, sanfedista. E’ auspicabile che questa complicata fase serva a rendere inoffensivo il corsaro Renzi, che continua a lavorare per riconquistare o distruggere il Pd.

E’ urgente riposizionare il cervello sulle novità. Bene o male Draghi offre questa opportunità.

La pandemia ha chiarito che non si può continuare con Regioni che sembrano avere l’unico obiettivo di fare confusione, di rendere i cittadini italiani diversi per residenza malgrado la Costituzione garantisca diritti uguali a tutti ma non tutti ne godano. Occorre un caposaldo costituzionale chiaro che garantisca l’interesse nazionale con l’obbligo per il governo di farlo rispettare, sostituendosi alle regioni che non ci stanno. Con questo, insieme al blocco dell’autonomia differenziata, l’Italia potrebbe dedicarsi alla lotta al virus, a ricostruire il SSN a partire dal territorio, alla salute dei cittadini, senza perdere tempo con una ciurma confusionaria.

Occorre una legge costituzionale proporzionale che garantisca ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti in parlamento, superando liste bloccate e decisioni dall’alto. Servono altri interventi per ridare dignità alla politica come una legge sulla democrazia nei partiti e la ricostruzione di partiti degni di questo nome, ma la nuova legge elettorale è urgente dopo aver corso il rischio di votare con il rosatellum riscritto dalla Lega, con il consenso del M5Stelle, nel maggio 2019.

Centrale, anche nel PNRR, è la transizione ecologica dell’economia e della società. Si è scritto che Draghi ha usato toni forti. Comunque sia va preso in parola. Se è vero che rappresenta l’elite vuol dire che questa ha capito che occorre impedire che salti il pianeta e se fosse così ci sono spazi per intese. La mia sinistra dovrebbe cambiare almeno altrettanto, se vuole essere all’altezza. La lacerazione tra lavoro e ambiente è stata devastante per decenni, va ricomposta puntando su una scelta green radicale per puntare su un lavoro diffuso di qualità, protagonista del futuro. Puntando su ricerca diffusa, innovazione e ristrutturazioni (camicia di forza a Salvini che vuole moltiplicare gli inceneritori) e costruendo nuovi settori produttivi a partire da quelli indispensabili per la salute, imprimendo una svolta nella produzione energetica che nei tempi previsti dall’Europa deve abbandonare il fossile puntando su idrogeno, estensione delle fonti rinnovabili e blocco di quelle da fossili e dei loro sussidi.

Occorre passare dalla descrizione dei pericoli (tanti) a quella degli obiettivi, ad organizzarne la realizzazione.

Forse esiste uno spazio di intesa tra sinistre reduci da una sconfitta ed élite invisa alla destra becera.

Se Renzi è riuscito nell’agguato è anche per gli errori di Conte e del resto della maggioranza, che non hanno capito che il governo aveva bisogno del parlamento, mentre si è fatto di tutto per mortificarne il ruolo con il taglio del parlamentari e l’uso di strumenti coercitivi come decreti, voti di fiducia, maxiemendamenti, dpcm.

Ora Draghi si rivolge al parlamento, va sfidato sulla coerenza.

Fonte: Democrazia Oggi

Solidarietà a chi insulta la democrazia?

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Scritto da Democrazia Oggi
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← Draghi, Il detto e il non detto[1]

24 Febbraio 2021
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Antonello Murgia

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Gli insulti sessisti e razzisti del prof. Giovanni Gozzini a Giorgia Meloni non sono solamente una caduta di stile, ma rappresentano in modo plateale l’abisso nel quale sta precipitando il confronto politico in Italia:  sempre più il ragionamento e la presentazione di differenti progetti politici, espressione di diversi valori e conseguenti visioni del mondo, vengono sostituiti dall’aggressione e dall’uso dello stigma. E la cosa è tanto più grave se a farne uso è uno storico e docente universitario che non solo dovrebbe avere gli strumenti culturali per evitarli personalmente, ma avrebbe il dovere di spiegare agli altri i motivi per i quali una società democratica sana non deve permetterli.
Superata l’indignazione suscitata a botta calda dall’esternazione del professore senese, mi permetto perciò di proporre una riflessione che spero venga percepita non come giudicante nei confronti di nessuno, ma come tentativo di riportare il confronto su binari più consoni all’art. 54 della Costituzione il cui dettato “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” mi piacerebbe fosse rispettato anche dai non addetti a funzioni pubbliche, nel semplice esercizio del diritto di cittadinanza. A scanso di equivoci, aggiungo subito la perplessità per i tanti messaggi di solidarietà dal campo progressista a Giorgia Meloni non tanto perché non si possa concedere la solidarietà ad un avversario politico, ma perché in questo caso la si sta concedendo rispetto a comportamenti che la stessa ha contribuito attivamente e ripetutamente ad alimentare. Non vorrei che il gesto della solidarietà scattasse come riflesso automatico in ragione di una autoreferente e decontestualizzata superiorità morale, che finisce per tuffarci in una melassa buonista nella quale non si capisce più chi sia la vittima e chi il carnefice. Non me la sento di esprimere solidarietà allo stupratore seriale mai pentito, quella volta che viene stuprato lui; mi limito a condannare l’episodio e a chiedere che giustizia sia fatta. Potrò esprimergli solidarietà se e quando avrà manifestato pentimento e orrore per ciò che ha fatto in passato. Non me la sento di dare solidarietà a Giorgia Meloni che indica come “criminale” il Presidente del Consiglio perché allo scoppio della pandemia ha detto che c’era una falla nel nostro sistema sanitario, che chiamava in causa la sua parte politica (come se la trasformazione della sanità lombarda da eccellenza in bottegone incapace di tutelare il diritto alla salute, non fosse tragicamente sotto gli occhi di tutti). Non me la sento di dare solidarietà a Giorgia Meloni che prima fa le manifestazioni di piazza contro il lockdown e plaude alla riapertura delle discoteche e poi indirizza il malcontento popolare sui migranti in arrivo che, contrariamente alle sue falsità razziste, sono fra i soggetti più controllati rispetto al Covid. Non me la sento di dare solidarietà a Giorgia Meloni che vota contro la risoluzione Ue sul razzismo, che si è opposta alla legge contro l’omotransfobia, che dirige un partito i cui dirigenti e militanti sempre più spesso fanno apologia del fascismo e del diritto del più forte di sottomettere il più debole, etc., etc.
Tutto questo non diminuisce la gravità delle parole di Gozzini, che sono espressione di una guardia che si sta abbassando sempre più pericolosamente: ad esempio, quanti progressisti, anche persone che stimo, si sono esercitati in questi giorni nella derisione di Renato Brunetta per le sue caratteristiche fisiche? Com’è che non ci rendiamo conto che l’uso dell’handicap (fisico o mentale, vero o presunto che sia) per criticare un avversario, per quanto spregevoli possano essere gli atti che hanno fatto scattare le critiche, è creazione di stigma del diverso e del più debole che ha preoccupanti assonanze con la cultura fascista? Davvero, non intendo mettere sotto processo nessuno, ma non vi sembra che questo sta accadendo perché il sistema di valori che fa da fondamento alla nostra Costituzione si sta sbriciolando? Non vi sembra che ci hanno accompagnato, sapientemente mi verrebbe da dire, ad una dimensione di tifoserie ultras nella quale anche l’insulto più becero è sdoganato ed il confronto di idee è precluso? Mi preoccupano e mi indignano le immagini di Sgarbi portato di peso fuori dal Parlamento dopo che aveva definito i magistrati mafiosi e aveva gridato un po’ di insulti verso alcune parlamentari che cercavano di ricondurlo all’ordine. Mi rendo conto che l’immunità parlamentare è un diritto inviolabile che ha la funzione di proteggere il rappresentante del popolo dagli abusi del potere e che va assolutamente conservata. Ma esistono altri strumenti che si potrebbero usare: ad esempio l’applicazione dei regolamenti parlamentari in modo più severo. Certo, 20 anni di Berlusconi con relativi guai giudiziari e parlamentari che votavano sulla “nipote di Mubarak” e andavano a manifestare sulle gradinate del Tribunale di Milano, hanno lasciato il segno; ma la tendenza non si invertirà se non si adotteranno condotte più consone al richiamato art. 54 della Costituzione. E dovrà essere la parte più sensibile e consapevole a fare il lavoro più grande sia in Parlamento che nella società, perché è difficile che lo facciano postfascisti o leghisti alla Papeete. E mi farebbe piacere se gli amici giuristi mi dessero indicazioni su possibili provvedimenti legislativi che possano arginare il clima da scontro sociale senza limitare libertà e garanzie costituzionali.
E per quanto riguarda Giorgia Meloni, prenda le distanze da quel fascismo col quale attualmente ha “un rapporto sereno”, espella dal partito gli apologeti del fascismo ed i violenti, smetta di difendere gli abusi di Casa Pound ed avrà diritto alla mia solidarietà.

References

  1. ^Draghi, Il detto e il non detto (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Draghi: una modifica dell’asse politico determinato dall’intervento mediatico (all’opera, a favore della destra, l’egemonia in senso grmasciano)

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← Carbonia. Nasce la Repubblica, continua lo sfruttamento dei lavoratori[1]

Draghi: una modifica dell’asse politico determinato dall’intervento mediatico (all’opera, a favore della destra, l’egemonia in senso grmasciano)

22 Febbraio 2021
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Andrea Pubusa

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 L’altro giorno Gianni Fresu, nel webinar su Gramsci organizzato dalla “Scuola di cultura politica F. Cocco“, ci ha magistralmente spiegato come, senza l’uso della forza, in Brasile, sia stata condotta una massiccia campagna mediatica che ha convinto la popolazione della bontà di un regime reazionario e autoritario. Ecco così Bolsonaro presidente, senza pronunciamenti militari o golpe di generali, senza spari di cannone o blindati nelle strade. Un esempio, del concetto di egemonia, gramscianamente intesa, applicata per determinare una certa guida di uno stato. Ma allargando lo sguardo, vediamo l’egemnoia operare su scala planetaria in favore del liberismo e del mercato. Sono diventate liberisti anche le propagini dei vecchi partiti della sinistra, ossia l’egemonia culturale della destra ha conformato la c.d. sinistra a se stessa.
Com’è stato possibile tutto questo senza l’uso della forza o del comando? Semplice, con l’uso spregiudicato dei media volti a convincere i ceti popolari della bontà delle politiche liberiste per tutta la società e, quindi, anche per loro. Così anche la diseguaglianza viene celata dietro un velo di utilità generale: i ricchi più son ricchi e più investono, con ricadute generali sull’occupazione e sulla crescita.
C’azzecca tutto questo nella vicenda attuale italiana. Beh, sì e in modo evidente. E’ stata montata una campagna a tappeto pro Draghi e contro Conte. Risultato? Disarcionato Conte, un presidente molto popolare in favore di un banchiere di prestigio, trasformato in santo senza aver ancora fatto il miracolo. Pensateci bene, quando Conte ha lanciato l’appello ai volenterosi, poteva farcela, a condizione però che i media non la ostacolassero. Invece, utilizzando Renzi (non nuovo a queste operazioni), hanno virato nella direzione opposta, cui tendevano i gruppi forti del paese. Risultato? Conte non ha coinvolto 15 volenterosi, Draghi, invece, si è trovato perfino in difficoltà per la ressa dei sostenitori. Una sterzata politica a destra, pilotata dai media, che hanno creato egemonia.
In Italia questa operazione è già stata fatta altre volte, ad esempio con Monti e con lo stesso Renzi. Il primo comparve con l’aureola del santo e, ricordo, ci voleva coraggio a criticarlo nei primi mesi. Anche Renzi fu presentato come il novello statista cui affidare il paese nell’avvenire. La stessa arma mediatica fu brandita contro i musi gialli. Guai a prenderli sul serio o a parlarne bene! Gli interlocutori nel migliore dei casi ti mostravano il loro stupore per l’insensatezza della tua posizione, più spesso ti prendevano a male parole.
Anche Draghi fra non molto tornerà quello che è e non è detto che il consenso artificioso e pregiudiziale rimanga intatto. Ciò che però resta è che un paese che non ha una libera stampa o ha una eccessiva concentrazione dei media in favore di un certo grumo d’interessi finisce per vedere vulnerata la democrazia nel suo punto più importante, la formazione dell’indirizzo politico, deciso non nelle libere elezioni, ma nel chiuso delle centrali che comandano i direttori dei media. Costoro determinano egemonia a tal punto che anche il parlamento si adegua. I generali dei golpe bianchi senza cannonate sono loro.

References

  1. ^Carbonia. Nasce la Repubblica, continua lo sfruttamento dei lavoratori (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Draghi, Il detto e il non detto

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← Draghi: una modifica dell’asse politico determinato dall’intervento mediatico (all’opera, a favore della destra, l’egemonia in senso grmasciano)[1]

23 Febbraio 2021
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Alfiero Grandi

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Più semplice è giudicare gli impegni presi da Draghi in parlamento durante la fiducia. Ma in questa occasione mi interessa mettere l’accento sui silenzi, che possono avere diverse motivazioni, come concentrare l’attenzione su alcuni punti oppure allontanare problemi complicati che potrebbero aprire ferite nella compagine che lo sostiene.
In attesa di chiarimenti vale la pena di sottolineare alcuni silenzi perché si tratta di argomenti di grande rilievo che prima o poi busseranno alla porta.
Anzitutto la legge elettorale.
Il governo Conte 2 si è occupato della legge elettorale nella fase finale della sua vita, quando il Presidente del Consiglio affermò in parlamento che il governo sceglieva il proporzionale. Troppo tardi perché ormai il destino del governo era imminente. La maggioranza parlamentare si era fatta bloccare dall’interdizione di Italia Viva che ha sabotato (anticipo di un sabotaggio ben più grave come la caduta del governo Conte) la possibilità di prendere decisioni in materia di nuova legge elettorale e di modifiche costituzionali ritenute importanti per recuperare alcuni dei difetti più gravi del taglio del parlamento. Perfino l’abbassamento dell’età per votare per il Senato è stato bloccato da Italia Viva. La maggioranza non ha saputo fare altro che subire lo stop in attesa di tempi migliori.
Così si è arrivati all’assurdo che il governo Conte all’inizio del gennaio 2021 ha approvato il decreto che ridisegna i collegi elettorali e le circoscrizioni previste dal rosatellum sulla base della legge fatta approvare nel maggio 2019 dalla maggioranza Lega – Movimento 5 Stelle che anticipava il taglio dei parlamentari. Andare al voto anticipato quindi voleva dire farlo con il rosatellum reso ancora più maggioritario e incostituzionale. Una legge che consegna a tavolino un vantaggio al centro destra, messa in funzione dalla maggioranza Pd/Leu/M5Stelle solo perché l’insipienza ha lasciato trascorrere il tempo. Quindi in caso di elezioni anticipate il sistema di voto sarebbe stato il peggiore possibile.
Draghi non ha chiarito cosa intende fare e se l’impegno per approvare una nuova legge elettorale preso dal precedente governo andrà avanti.
È vero che la legge elettorale è un tipico compito del parlamento. Anche se la Costituzione non detta regole precise su come deve essere costruita la legge elettorale sono previste regole per la sua approvazione e alcuni principi da rispettare. Tuttavia è normale che il parlamento approvi una nuova legge elettorale alla presenza del governo che dovrebbe evitare di invadere poteri altrui. In passato Renzi da presidente del Consiglio lo ha fatto per l’Italicum, usando più volte il voto di fiducia su un testo approvato dal governo. Per fortuna la vittoria del No al referendum ha sterilizzato anche la legge elettorale, l’Italicum.
Naturalmente sarebbe un errore chiedere al governo Draghi di imitare il governo Renzi, tuttavia il governo può e deve avere una sua opinione sull’argomento e può aiutare il parlamento.
Il nodo di fondo è comprendere che va chiusa l’epoca delle manomissioni della Costituzione, il cui ruolo è fondamentale nella nostra democrazia parlamentare. Per questo la legge elettorale dovrebbe aiutare a impostare la prossima legislatura come un’autentica svolta politica nella capacità di essere effettivamente rappresentativa dei cittadini e composta da parlamentari scelti da loro direttamente e non dai vertici dei partiti.  Una sorta di nuova fase politica, quasi una costituente, della capacità di rappresentare i cittadini.
Altrimenti sarà la nostra democrazia parlamentare a correre seri rischi, aprendo la strada al presidenzialismo, all’accentramento delle decisioni e dei poteri, all’uomo/donna forte. Per questo la legge elettorale deve cambiare, il rosatellum va buttato nel cestino della storia, con una scelta di fondo verso il proporzionale, la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, il superamento della subalternità del parlamento al governo. In altre parole va rilanciata la nostra democrazia parlamentare. Di questo il governo Draghi deve occuparsi e deve scegliere.
Il secondo silenzio riguarda il rischio che corre l’unità nazionale. Non basta citare Cavour come ha fatto Draghi. L’autonomia regionale differenziata su cui insistono alcune regioni, purtroppo anche di centro sinistra, potrebbe essere il grimaldello per mettere in discussione l’unità nazionale, la solidarietà, i diritti che la Costituzione garantisce a tutti i cittadini.
Anche su questo importante punto silenzio. Eppure la pandemia ha dimostrato che la non chiarezza nella divisione dei poteri tra regioni e stato, disegnata dal titolo V modificato nel 2001, spinge alla confusione che spesso ha prevalso durante questo anno segnato dal Covid 19 e questo ha indebolito la risposta e creato confusione e incertezza tra i cittadini. In realtà è la riforma del 1978 che ha creato il SSN che pian piano è stata modificata dalle singole regioni, che nel caso della Lombardia ha portato alla crisi del sistema sanitario territoriale e ha creato una pressione ingestibile sugli ospedali. In questo modo i diritti dei cittadini non sono stati garantiti allo stesso modo in tutta l’Italia, non solo nelle regioni più deboli ma anche nelle regioni considerate forti come la Lombardia. La differenziazione ha creato problemi a tutti i cittadini.
La sanità è solo l’antipasto. Se dovesse andare avanti l’autonomia differenziata ci troveremmo in settori fondamentali come sanità, scuola, investimenti, ambiente, lavoro di fronte al concreto rischio di non essere più in grado di garantire gli stessi diritti esigibili a tutti i cittadini in ogni parte del nostro paese.
Andrebbe rivisto il titolo V della Costituzione riscritto nel 2001, ma in questa complicata e difficile situazione politica e sociale è difficile immaginare che questo parlamento possa compiere questo miracolo, forse conviene concentrarsi su un punto centrale: rafforzare l’attuale articolo 120 prevedendo in sostanza una norma sulla prevalenza dell’interesse nazionale e l’obbligo per il governo di farlo rispettare alle regioni. In altre parole: no all’autonomia regionale differenziata, si al rispetto dei diritti per tutti i cittadini previsto dalla Costituzione.
Ci sono ragioni di preoccupazione per alcuni Ministri del governo, per il ruolo della Lega nella maggioranza anomala che sostiene il governo Draghi. Per questo la questione dell’autonomia regionale differenziata non deve essere lasciata a sé stessa, anche perché entrerà direttamente nelle scelte sul rapporto Nord/Sud.
Non è un caso che la neo assessore Moratti abbia cercato di gettare sulla bilancia delle vaccinazioni la spada di Brenno, proponendo di tenere conto del Pil nella suddivisione dei vaccini tra le regioni.
La questione Nord/Sud sarà centrale nelle prossime scelte nel PNRR che non solo deve essere indirizzato alla transizione ambientale ma essere caratterizzata da una priorità trasversale in tutte le materie di intervento, a partire dalla mobilità, per affermare che il motore della ripresa sarà la capacità di fare del rilancio del Mezzogiorno una chiave interpretativa fondamentale.
In altre parole ciò di cui Draghi non ha parlato lascia preoccupazioni ed interrogativi a cui occorre dare risposte e anzitutto deve darle il governo.

References

  1. ^Draghi: una modifica dell’asse politico determinato dall’intervento mediatico (all’opera, a favore della destra, l’egemonia in senso grmasciano) (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Carbonia. Nasce la Repubblica, continua lo sfruttamento dei lavoratori

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Democrazia Oggi

Gianna Lai

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Oggi nuovo post domenicale su Carbonia, dal 1° settembre 2019[1].

Al 1945, e per tutto il 1946, i salari orari medi dei lavoratori dell’interno, nel Sulcis-Iglesiente, si attestano intorno alle  25,75 lire per i manovali, 33,25 per i minatori, 42,38 per i sorveglianti, mentre si registra  un incremento  del rendimento medio totale per operaio, da 0,281 tonnellate, gennaio 1946, a 0,302, dicembre dello stesso anno.
Così basse le paghe in Italia, secondo lo storico Paolo Spriano, vera sofferenza “del vivere quotidiano: uno dei dati più drammaticamente reali  dell’immediato dopoguerra, il salario reale medio scende al 50-60% di quello del 1938″. E, per l’immediato futuro, niente di buono, “al 30 ottobre 1946, data di inizio della tregua salariale  stabilita con le organizzazioni sindacali, il salario reale è in costante diminuzione”.
Questo il quadro secondo Giorgio Candeloro, “fra il ‘39 e il ‘45 il costo della vita aumentò di quasi 25 volte, mentre l’indice medio dei salari operai salì solo di 5 volte, i bilanci familiari assorbiti totalmente dalle spese per la sussistenza, poco meno di due milioni i disoccupati”. E se ne  individuano le cause nelle politiche governative, fondate sulla compressione della  spesa, “prevalendo nei programmi per la ricostruzione le scelte liberiste, che ponevano al margine l’intervento dello Stato e difendevano la sovranità dell’impresa privata e la centralità del mercato”.
Anche a Carbonia la ricostruzione si fa coi bassi salari e mettendo in pericolo migliaia di posti di lavoro, a fronte di una massa sempre crescente di disoccupati, sempre all’insegna dell’emigrazione di origine rurale il quadro dell’avvicendamento in città.  L’ACaI, miniera a gestione governativa di proprietà dello Stato per il 98%, per il 2%  di enti parastatali, resta più che mai domina della città, né mai si sogna  di costruire relazioni più consone alla nuova fase politica dell’Italia della Repubblica, miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita per i minatori, a garanzia della dignità umana e del futuro della città. “Principale responsabile dello sfruttamento in miniera, il sistema di cottimo, le cui tabelle si aggiornano man mano, a seconda dei ritmi che i lavoratori stessi davano alla produzione, e tutto basato sui conteggi definiti dal sorvegliante: ne consegue  una struttura fortemente  gerarchizzata, non certo per ragioni tecniche, ma per poter esercitare un controllo continuo e diretto sul personale”. Questo secondo la testimonianza di Aldo Lai, a quel tempo dirigente regionale degli autoferrotranvieri CGIL e della locale sezione del PSI. “Impiegati tecnici, ma sopratutto amministrativi, e poi sorveglianti e capisquadra, erano tutti fortemente legati alla direzione nello svolgimento delle loro mansioni e, sopratutto, garantiti da un  decente trattamento economico. Ben pagati in particolare i sorveglianti, rispetto ai minatori, minatori essi stessi che controllano i ritmi di lavoro, ma considerati talvolta dagli operai  vere e proprie  spie dell’azienda, nella segnalazione dei minatori considerati ‘insubordinati e riottosi’ . E fortemente coinvolti nella gestione del lavoro  assegnando essi stessi, su incarico del caposervizio, i cantieri  alle varie squadre. E poiché non si fanno  reali e serie distinzioni  tra  filone e filone,  i minatori assegnati a quelli più redditizi, in base alle simpatie del sorvegliante stesso, lavorano  di  meno e  guadagnano di più, con grave nocumento per il lavoratore destinato ai luoghi meno redditizi, spesso in modo punitivo. Come nel caso dei comunisti e dei minatori sindacalizzati. La retribuzione ad incentivo, calcolata su tabelle di cottimo continuamente aggiornate dalla direzione aziendale, indennità di cottimo e indennità di presenza, da aggiungere alla misera paga base, essendo le altre varie indennità e i vari premi una tantum, sempre sganciati dal salario base”. E rigida sempre la disciplina in miniera, in particolare ai tempi dell’ingegner Giorgio Carta  che, entrato come dirigente locale, fece poi  carriera, divenendo direttore di gruppo e poi direttore generale. “A Seruci fu considerato tra i peggiori, trattava gli operai come schiavi, sottoponendi in continuazione a sanzioni pecuniarie, secondo il giudizio del sorvegliante, persino  quando i lavoratori si riposavano fuori orario-riposo, o quando non producevano come i dirigenti avevano stabilito che producessero, non riuscendo a completare l’intero ciclo”. Ed aggiunge Vincenzo Cutaia, della lega minatori, al tempo membro di Commissione interna, “in quel clima antisindacale, difficile la contrattazione  aziendale sulle condizioni di lavoro: restammo a lungo privi di vere attrezzature antinfortunistiche, mentre fioccavano multe e punizioni, in particolare durante i momenti di maggior contrasto, durante un’agitazione o una protesta; e poi sospensioni durante gli scioperi cosidetti politici, e poi schedature, come sempre, dal tempo del fascismo. E sempre mal retribuite le maestranze, arrivando al colmo, noi operai, di sperare che il tempo passasse più lentamente, per riuscire a lavorare di più, proprio a causa dell’applicazione del cottimo, la stessa del tempo degli alleati”. E se, rincarando la dose, Cutaia considera “venduti molti capisquadra, in gara fra loro per imporre ritmi più veloci ai minatori”, certo sorvegliata speciale ad oltranza deve ritenersi quella massa in continuo movimento, e ancora sottoposta alle solite forme di ricatto che, nelle  pessime  condizioni di lavoro della miniera, possono spingere alla reazione immediata e alla ribellione incontrolla. A risponderne son chiamati i dirigenti il movimento, per impedire l’esercizio delle libertà sindacali in miniera e per avere, d’ora in poi, mano libera sui licenziamenti, che si annunciano di massa: ignorati se non addirittura perseguitati i componenti le Commissioni interne nei vari cantieri.
Così il dirigente nazionale CGIL Aladino Bibolotti, in visita a Carbonia nel 1945, aveva  drammaticamente svelato, senza incertezze, responsabilità e ingiustizie, come riferisce Ignazio Delogu, “Questi uomini erano esasperati per l’incuria in cui erano da troppo tempo lasciati dai dirigenti della Carbonifera che sono, al tempo stesso, dirigenti e padroni della municipalità  e di tutta quanta la vita del paese…: i minatori e le e loro famiglie sono stati abbandonati a se stesssi, alla loro miseria, alle loro malattie e, come se ciò non bastasse, nelle miniere si è instaurato un sistema di vessazione e di angherie contro cui si leva la coscienza di ogni uomo civile”. Non cambiano le cose nemmeno dopo la nascita della Repubblica.

References

  1. ^1° settembre 2019 (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

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Sardara. ma quale mistero!
← Appello delle “Madri Contro la repressione-Contro l’operazione Lince” della Sardegna[1] 12 Aprile 2021 Nessun commento[2] Amsicora Bona Genti. quanta dietrologia noi sardi! E che mai! Un gruppo d...
Appello delle “Madri Contro la repressione-Contro l’operazione Lince” della Sardegna
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Carbonia. Il contratto collettivo degli operai dell’industria mineraria dopo la Liberazione
Gianna Lai Non c’è domenica senza post sulla storia di Carbonia a partire dal 1°settembre 2019.[1] Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro degli operai addetti all’industria mineraria viene firm...
Nel ricordo di Francesco Cocco e Marco Ligas, riflessioni sulla sinistra sarda
Andrea Pubusa    (Marco Ligas)   Nel giro di poco tempo, ratione aetatis, per ragioni anagrafiche, stanno pian piano scomparendo i protagonisti degli ultimi 50/60 anni della sinistra ...
Conte: il carattere di una politica
Recensione di Rosamaria Maggio   Rita Bruschi e Gregorio De Paola non sono politici ne’ iscritti a partiti, bensì una psicoanalista e filosofa ed un filosofo con un curriculum di tutto rispetto...

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