Fernando Codonesu
Qualcosa di nuovo.
L’ultima fotografia diffusa oggi dell’Istat parla di oltre due
milioni di famiglie che non possono permettersi le spese
indispensabili per poter vivere dignitosamente, come essere tornati
a ben 15 anni all’indietro nel tempo da un punto di vista sociale a
causa del Covid, non più nel 2020 quindi ma nel 2005, con un
ulteriore milione di persone entrate in povertà che si aggiungono
agli altri milioni di poveri già registrati.
E il PD che fa?
Zingaretti scrive: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel
Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di
poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza
ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e
la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove
generazioni”.
Il PD è senza segretario. Alla lunga, neanche tanto a dire il vero,
la continua guerra di logoramento contro Zingaretti voluta dai
maggiorenti del PD, in larga parte renziani della prima ora rimasti
a presidiare con forza quel partito, ha avuto la meglio. Quando sei
cannoneggiato tutti i giorni dall’esterno, dai cosiddetti
avversari, soggetto al fuoco amico degli esponenti del tuo stesso
partito, preso a sciabolate da chi ha condiviso tutti gli atti e le
decisioni assunte unanimemente negli organismo dirigenti, veramente
si comprende la forza dirompente del detto: “dai nemici mi guardo
io, dagli amici mi guardi Iddio”.
Si, è proprio troppo. Troppo per un segretario debole e non certo
carismatico, ma sicuramente affidabile rispetto ad altri che si
sono succeduti e, salvo prova contraria, onesto e che ha evitato un
tracollo ben maggiore di quel partito negli ultimi anni due anni
della sua segreteria.
Un partito, comunque, che non governa nessuna regione del Nord
Italia che rappresenta oltre il 60% del PIL del paese e questo è un
fattore di grave e irreversibile crisi di credibilità generale.
Un partito presidiato dai pretoriani renziani armati che
controllavano a vista il segretario dall’interno, oltre ai 50
parlamentari che dall’esterno, leggasi Italia Viva di Renzi, erano
e sono intenzionati a riprendersi quel che resta di quel partito. I
fatti degli ultimi mesi vanno in questa direzione e sono
precipitati all’improvviso con la nascita del governo Draghi.
Nel riposizionamento generalizzato del potere in Italia, acuito più
che mai dal governo Draghi, giova fare qualche considerazione sulla
corsa al centro da parte dei tanti partiti presenti nel
palcoscenico della politica italiana e, ultimo in ordine di tempo,
il M5S a guida Conte secondo il pensiero, si fa per dire, espresso
da Di Maio e sulla necessità inderogabile di porre fine anche solo
all’idea di un partito di sinistra.
Intanto si definisce centro, ma si intende destra, anche se non lo
si dice espressamente.
Almeno dal mio punto di vista, quando si rinnega la sinistra e ci
si sposta al centro si va a destra, non esistono vie di mezzo.
L’importante è che non ci sia la sinistra: è questo il tratto
dominante della politica attuale.
Questo è un processo che dura ormai da tempo, a partire dalla
nascita del PD, un partito originato da una fusione fredda tra il
PDS e la Margherita, quel che restava di quei grandi partiti di
massa del novecento che furono il Partito Comunista e la Democrazia
Cristiana.
Alla pari del ben noto bluff planetario della fusione nucleare
fredda di Fleischmann e Pons del 1989 immaginata con la fusione dei
nuclei degli atomi di deuterio che non ha mai generato energia
pulita, non un kilowattora neanche di quella di origine fossile a
dire il vero, da tempo si è riconosciuto che quella che è stata
definita la fusione fredda tra due forze politiche, il PdS e la
Margherita, non ha mai generato un partito vero, caratterizzato da
una precisa identità.
Per alcuni un aborto, per altri un ircocervo, animale inesistente,
per altri semplicemente un ibrido capace di mimetizzarsi come un
camaleonte a seconda dello spirar del vento o delle pretese del
mondo dell’impresa, dei poteri forti e della onnipresente ideologia
liberista sul cui altare tutto viene sacrificato, ma sicuramente
non un partito riconoscibile, identificabile e affidabile per uno
schieramento di strati sociali afferenti al mondo del lavoro, della
piccola e media impresa, delle donne, dei giovani. Un partito
riconoscibile e affidabile per gli strati sociali che pagano le
tasse.
Appunto, due forze che di tanto in tanto si incrociavano sulla
tolda di comando, ma che perseguivano idee, progetti e strategie
differenti. Un partito di sinistra, forse in qualche breve periodo
e in qualche frangente, ma mai negli atti di governo. Molto di più,
invece, un partito di centro ovvero di stampo democristiano come si
conveniva e si conviene ai Franceschini, Letta, Del Rio, Marcucci,
Renzi, etc.
Con meno sinistra, per cui in pochi anni niente spazio per i
Dalema, Bersani ed ora Zingaretti.
Zingaretti, uno degli ultimi esponenti della sinistra, impegnato
comunque nel disegnare un partito più di sinistra all’interno del
perimetro allargato del centrosinistra. E per questo scomodo,
specialmente di questi tempi.
Una persona per bene, anche se questo non basta per farne un
leader.
Certo, si è adagiato troppo su Conte e quest’ultimo che, forse
avrebbe potuto guidare uno schieramento politico reale da
sperimentare sul campo comprendente il PD, i 5S e i raggruppamenti
vari della sinistra oggi riconoscibili in LEU, con l’ultima scelta
da leader dei 5S ha affossato anche questo potenziale progetto.
E poi quella giravolta in un solo giorno che dall’indicazione di
Conte come unico leader dello schieramento progressista va
immediatamente all’abbraccio di Draghi, anche se, a dire il vero,
nel contesto attuale non poteva fare molto di più.
Un partito senza identità, sicuramente privo di un’identità di
sinistra, ma in cui si fa fatica anche a individuare una identità
di centrosinistra.
Molta Margherita che è come dire, molta ex Democrazia Cristiana,
con tutto quello che significa per chi appena ricorda le scelte di
quel partito e di quegli uomini nella prima repubblica.
Certo non sfugge che quel partito è stato capace di boicottare
Prodi come candidato presidente della Repubblica, vedasi i famosi
101 secondo molti osservatori guidati da Renzi, ha silurato Bersani
come segretario del partito nel 2013 con la regia di Napolitano, e
da lì è nata la segreteria Renzi che poi ha sostituito Letta al
governo con la famosa frase da Giuda “Enrico, stai sereno”.
Insomma, più che un partito, un nido di vipere.
E ora una riflessione amara sulla sinistra che non c’è,
proprio quando sarebbe bisogno più che mai di un partito di
sinistra in grado di rappresentare gli interessi e le aspirazioni
dei vasti, vastissimi strati della popolazione italiana che si
trova sempre più ai margini dei processi decisionali, senza
prospettive di crescita economica, politica, culturale e
sociale.
Che dire poi di quel che è successo a LEU con il governo
Draghi?
Contrariamente a quel che ci insegna la matematica, sono capaci di
costituire tre gruppi pur essendo solo in due: è la maledizione
della scissione continua e senza fine.
E’ questo ciò che resta del giorno della sinistra?
La realtà è che Zingaretti non ha fatto in tempo a dare una
connotazione di sinistra al PD perché non è andato alle elezioni
politiche: solo in quel caso avrebbe potuto scegliere i propri
candidati dando a quel partito un’impronta e un’identità
sicuramente più a sinistra rispetto a quella che caratterizzava
ierei e caratterizza oggi il partito sempre egemonizzato dagli ex
democristiani.
Personalmente credo che le dimissioni siano una cosa seria e per
questo auguro e suggerisco a Zingaretti di non farsi incantare
dalle sirene che intoneranno il richiamo con voci suadenti o peggio
ancora farsi fregare da chi gli chiederà di tornare, di ritirare le
dimissioni e di restare: diventerebbe un ostaggio senza più
credibilità alcuna, una vaso di coccio tra vasi di ferro, ancorché
ferro arrugginito e in decomposizione.
Forse bisogna prendere atto definitivamente che chi viene dalla DC,
leggi Margherita, è interessato ad inseguire la forza
attrattiva del “centro”, ma quello è un luogo adimensionale
geometricamente parlando con un riverbero certo anche in politica,
e il rischio è che i molti che intendono contenderselo finiscano
con elidersi a vicenda.
Insomma, per chiarezza politica, separarsi è un bene, e se due
forze hanno riferimenti ideali e strategie diverse è bene che
scelgano strade diverse se ciascuna vuole riprendere un percorso di
ricostruzione chiaro, riconoscibile e identificabile senza
confusione alcuna.
Le dimissioni di Zingaretti fanno parte del processo di
normalizzazione dell’Italia iniziato tempo addietro e accelerato
fortemente con la nascita del governo Draghi.
Chi dentro quel partito, e sono tanti sia nei quadri dirigenti e
territoriali e soprattutto nell’elettorato, si riconosce veramente
nei valori di base della sinistra provi convintamente a
intraprendere tutte le azioni possibili per rimetterne insieme i
vari pezzi per riscriverne la storia, e lavori per costruire una
strategia adeguata alla luce dei bisogni attuali del paese.