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Nella guerra c’è in gioco l’indipendenza dell’Ucraina o quella della Russia?

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By Democrazia Oggi
Democrazia Oggi

← 14 aprile dibattito CGIL-ANPI-CDC per la pace, contro la guerra[1]

12 Aprile 2022
Nessun commento[2]


Andrea Pubusa

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Se esaminiamo la guerra in Ucraina senza pregiudizi per capire come può finire e chi deve farla finire, dobbiamo partire da prima del fatidico e disgraziato 24 febbario. La Russia, più o meno accerchiata dalla NATO dapertutto nella parte occidentale, contro i patti e le promesse assunti con Gorbaciov al momento della caduta del muro di Berlino, chiede che l’Ucraina non entri nella NATO. Una richiesta stravagante o limitativa dell’indipendenza e della libertà di scelta del governo ucraino? Stravagante no, limitativa sì, tuttavia, più o meno, quanto gli States hanno preteso da Cuba e hanno imposto al confinante Messico. Quindi del tutto in sintonia coi principi e con la pratica internazionale occidentale.
Sappiamo com’è andata nei rapporti USA-Nato-UE e Russia, ma immaginiamo anche come può finire. Salvo che le mire degli USA e della Nato non siano diverse, la guerra potrebbe finire accordandosi sulla sistemazionee del Donbass. Sì solo a questo si riduce oggi il contenzioso, perché l’indipendenza dell’Ucraina è fuori discussione e lo ha ammesso lo stesso Putin, il quale ha anche detto di non porre veti ad un ingresso di Kiev nella UE. D’altronde, con quel vastissimo sostegno che l’Ucraina ha ad occidente, pensare ad una compressione della sua indipendenza è pura fantasia o meglio follia.
E allora una prima domanda. Vale la pena mettere a rischio la pace mondiale per quei territori di confine? La risposta è ovviamente negativa. Il che non vuol dire ch’essi devono essere annessi senz’altro alla Russia. Eppure Putin dice che l’obiettivo della “operazione speciale” è il Donbass e anche Zelensky annette all’esito delle operazioni in quell’area un valore decisivo della guerra: si vince o si perde in Donbass.
Ma se è così, proseguire il conflitto, con quel terribile carico di morti e di devastazioni, sembra insensato, perché la storia politica e delle istituzioni, la pratica degli stati offre molti modelli di territori mistilingui dotati di speciale autonomia e legati agli stati vicini da relazioni pacifiche ed amichevoli. Una trattativa seria potrebbe muoversi in questa direzione e concludersi con un trattato internazionale asseverato dall’ONU e dalla maggiori potenze, quindi estremamente sicuro. Una garanzia totale per le popolazioni e i territori interessati, per l’indipendenza e la sicurezza di Ucraina e Russia.
Se non si fa così, vuol dire che gli obiettivi inconfessati sono altri, ben più pericolosi per la pace mondiale e devastanti per gli ucraini e i russi. Vuol dire che sulla pelle di questi popoli (e anzitutto di quello ucraino) si sta giocando una partita che vuole insidiare l’indipendenza della Russia, sul modello di quanto si è fatto già in Irak e in Libia, ad esempio. Ma questa prospettiva obbliga tutti a fuoriuscire dalla narrazione dei media nostrani e ci costringe ad un più preciso e deciso posizionamento nei confronti di questa guerra e dei suoi attori diretti e indiretti. Insomma, rende doverosa una mobilitazione contro la politica dei nostri governi ben più decisa e forte e coinvolge non solo la Russia, che ha invaso e deve cessare le ostilità, ma anche il governo ucraino, che metterebbe in gioco la inolumità dei suoi cittadini per obiettivi che interessano gli ambienti estremisti occidentali, ma travalicano quelli essenziali e non negoziabili del popolo ucraino.

References

  1. ^14 aprile dibattito CGIL-ANPI-CDC per la pace, contro la guerra (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

14 aprile dibattito CGIL-ANPI-CDC per la pace, contro la guerra

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By Democrazia Oggi
Democrazia Oggi

← La Costituzione e l’invio di armi[1]

11 Aprile 2022
Nessun commento[2]


Tre grandi associazioni democratiche illustrano insieme le loro posizioni per la cessazione della guerra in Ucraina e per una soluzione pacifica - come prescrive l’art. 11 Cost. - in seno alle organizzazioni internazionali preposte alla composizione delle controversie internazionali. 

Partecipate tutti in presenza o da remoto (verrà diffuso il link per il collegamento)!

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References

  1. ^La Costituzione e l’invio di armi (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Il giorno della vergogna

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Democrazia Oggi

← Carbonia. Dopo il fermo di Velio Spano, il questore vieta i comizi in piazza. “Carbonia, da città caserma a roccaforte del proletariato isolano e della democrazia”: l’estate del ‘48 stretta fra licenziamenti e violenze poliziesche[1]

11 Aprile 2022
Nessun commento[2]


Dal Coordinamento per l democrazia costituzionale riceviamo e volentieri pubblichiamo.

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“Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo s’incomincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato!”
Queste parole dello scrittore ceco Milan Kundera si attagliano in modo particolare al nostro Paese, dove da troppo tempo è in corso un processo di liquidazione della memoria e di cancellazione della dimensione di senso della nostra storia. Il 5 aprile è stato compiuto un passo significativo per la liquidazione della cultura antifascista, posta a fondamento della Costituzione e dell’identità della Repubblica italiana e per la sostituzione con un’altra cultura di segno opposto con l’approvazione della legge che istituisce la “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini”.
Il 20 luglio del 2000 fu approvata una legge che istituiva il “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. L’art. 1 prevedeva: La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.” L’art. 2 prevedeva una serie di iniziative per riflettere su quanto è accaduto “in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere”. Adesso questa memoria è stata cancellata e sostituita da un’altra memoria: la Repubblica celebra un evento opposto, la battaglia di Nikolajewka (26 gennaio 1943), per ricordare l’eroismo dimostrato dal Corpo degli Alpini, cioè dal corpo di spedizione italiano inviato in Russia da Mussolini per sostenere l’aggressione della Germania nazista contro l’Unione sovietica.  Contestualmente la giornata si propone di “promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano.” In altre parole, facendosi scudo del Corpo degli Alpini, è stata introdotta una sorta di celebrazione del sovranismo, cioè di una impostazione politico-culturale antitetica all’antifascismo.
Il 26 gennaio, più che il giorno della memoria, dovremo celebrare il giorno della vergogna.

References

  1. ^Carbonia. Dopo il fermo di Velio Spano, il questore vieta i comizi in piazza. “Carbonia, da città caserma a roccaforte del proletariato isolano e della democrazia”: l’estate del ‘48 stretta fra licenziamenti e violenze poliziesche (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

La Costituzione e l’invio di armi

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Democrazia Oggi

← Il giorno della vergogna[1]

11 Aprile 2022
Nessun commento[2]


Andrea Pubusa

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C’è un’istintiva propensione ad aiutare anche con le armi chi è aggredito. Risponde ad un pensiero elementare socorrere chi appare più debole di fronte all’aggressività del più forte. Si comprende quindi umanamente chi cerca di far ammettere dalla nostra Carta costituzionale la facoltà di invio di armi in Ucraina. Ma il diritto è un’altra cosa: c’è il testo normativo e ci sono le regole d’interpretazione e c’è anche la forza del “precedente”, che nel diritto costituzionale ha una particolare forza cogente per regolare i casi futuri.
Voglio partire da qui per ricordare che la Costituzione rigida impone una condotta alle maggioranze contingenti del futuro di qualsiasi colore esse siano. Quindi, chi sostiene una certa interpretazione e crea un precedente deve sapere che la regola così formata vale per qualsiasi maggioranza e per qualunque caso che si presenti in futuro. Per parlarci chiaro, se io dico che possiamo inviare armi, ciò vuol dire che ove domani in Italia si formasse una naggioranza di estrema destra e questa simpatizzasse per uno stato fascistoide, il quale lamentasse un’aggressione, il parlamaneto potrebbe votare l’invio di armi in una situazione del tutto ribaltata rispetto a quella attuale. Quindi, attenzione!, quando interpretiamo e quando le istituzioni le applicano, esse valgono non solo per i casi che condividiamo, ma anche per quelli da cui fortemente dissentiamo. Non ci possono essere due pesi e due misure.
Detto questo, voglio esaminare sul piano strettamente giuridico l’articolo di Massimo Villone sul Manifesto dal titolo “La Costituzione fra difesa legittima e ripudio della guerra[3]“. In esso Villone ammette che l’art. 11 non consente l’invio di armi dell’Italia al di fuori delle organizzazioni internazionali volte alla risoluzione in modo pacifico delle controversie internazionali. Se così non fosse, non ricorrerebbe, come invece fa, all’art. 10, che cosi’ suona: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute“. Ora fra queste vi e’ quella che consente la legittima difesa dei paesi aggrediti e, dunque, soggiunge Villone, anche il soccorso con l’invio di armamenti.
Questa tesi avrebbe un fondamento ove si negasse che l’art. 11 disciplina il caso della guerra di aggressione, ma lo stesso Villone ammette che la preveda e che non ammetta l’invio di armi. Ed è così. Basta leggere l’incipit dell’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli …“. Il caso è proprio quello della Russia che attacca l’Ucraina (lasciamo da parte il cotesto ostile ispirato dalla NATO, che ci porterebbe lontano). La Carta dice che l’Italia ripudia queste guerre, ossia le condanna sul piano giuridico e morale, senza se e senza ma. Ma individua anche le modalità per chiudere questi conflitti. Se l’attacco riguarda l’Italia i cittadini e le istituzioni hanno il sacro dovere di difendere la patria, la nostra patria. Art. 52: “ La difesa della Patria e’ sacro dovere del cittadino“. La disposizione è rivolta ai cittadini italiani, quindi la patria attaccata è l’Italia. Se invece lo Stato attaccato è un altro, la Costituzione condanna quella guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“, ma ci dice anche cosa, in vista di tali evenienze, deve fare l’Italia: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo“. L’Italia interviene a riportare la pace in seno alle organizzazioni internzionali a ciò preposte. L’art. 11 dunque esclude iniziative autonome dell’Italia per riportare la pace con azione armata o anche con modalità che alimentino l’uso delle armi. L’invio di armi e di uomini è consentito in seno a organizzazioni come l’ONU. Ma tali non sono la UE (che è un ordinamento di Stati europei) e tantomeno la NATO che è una organizzazione militare di alcuni Stati.
Stando così le cose, la preclusione del ricorso all’art. 10, intesa come norma generale sulla materia, discende dal noto principio interpretativo “lex specialis derogat legi generali“; questo brocardo esprime uno dei principi o criteri tradizionalmente utilizzati dagli ordinamenti giuridici per risolvere le antinomie normative: il criterio di specialità. Risponde a un ragionamento logico prima che giuridico. Se una materia ha una disciplina generale, ma per una parte o taluni aspetti di essa il legislatore ha introdotto una disciplina specifica, questa deroga a quella generale. Nal caso nostro, assumendo come disciplina generale della materia la normazione del diritto internazionale generalmente riconosciuta (art. 10), l’art. 11 disciplinando la guerra insieme all’art. 52, deroga alle regole che si dovrebbero applicare in assenza dello stesso art. 11.
C’è poco da fare, l’art. 11 non è aggirabile se non con forzature. Operazione pericolosissima per il futuro. L’art. 11 ha una ratio precisa e condivisibile. A parte la difesa diretta del nostro territorio, che è sacro dovere nostro e delle nostre istituzioni, tutti gli altri casi in cui si ponga il problema di un intervento con armi dev’esseree sottratto alla maggioranza parlamentare di turno ed essere rimessa ad una più ponderata decisione di organizzazioni internazionali di pace, di cui l’Italia è parte. Una bella garanzia contro avventure o decisioni unilaterali.

References

  1. ^Il giorno della vergogna (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)
  3. ^La Costituzione fra difesa legittima e ripudio della guerra (www.google.com)

Fonte: Democrazia Oggi

Carbonia. Dopo il fermo di Velio Spano, il questore vieta i comizi in piazza. “Carbonia, da città caserma a roccaforte del proletariato isolano e della democrazia”: l’estate del ‘48 stretta fra licenziamenti e violenze poliziesche

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Democrazia Oggi

Gianna Lai

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 Oggi domenica un altro pezzo della storia di Carbonia dal 1° settembre 2019[1].

Riunione dei rappresentanti comunisti, socialisti, del Partito Sardo d’azione Socialista, dell’UDI, della Lega dei contadini, dell’Associazione dei Partigiani, del Consiglio di gestione e delle Commissioni interne, che esprimono solidarietà a Velio Spano, denunciando come grave violazione della Carta costituzionale il suo fermo da parte dei poliziotti. E L’Unità prosegue, con l’informazione diretta da Carbonia, pubblicando il 4 settembre 1948 un articolo di Claudia Loddo, “Cuori di mamma”, sugli arresti del 28 agosto: “arresti eseguiti in ottemperanza alla circolare del 19 luglio firmata dal ministro Scelba”, per annunciare che l’appello lanciato dall’UDI, sull’accoglimento dei bambini, figli degli arrestati, nei paesi della Sardegna, ha avuto tante adesioni. 75 di loro, ospiti “delle famiglie democratiche”, durante la vendemmia. E incoraggiamento poi da tutta l’isola, con la creazione del “Comitato di solidarietà popolare per i compagni vittime della politica di Scelba”, su L’Unità del 10 settembre 1948.
Ma i partiti e le associazioni chiedono l’allontanamento di Pirrone e, quando il questore di Cagliari vieta ancora un comizio di Velio Spano, fissato per l’8 settembre, è il senatore stesso a denunciare pubblicamente, su L’Unità di quel giorno, “le responsabilità del governo e gli obiettivi di De Gasperi e Scelba di voler costruire un regime, uno Stato forte”. A seguire, immediatamente, la comunicazione del questore, sbrigativa e molto critica sul comportamento del senatore comunista: “Considerato che il 1 corrente mese è stato tenuto in Carbonia un comizio che, per l’intemperanza dell’oratore, la polizia è stata costretta a sciogliere, … e che si intende tenere un altro comizio a Carbonia sul tema - Le conseguenze della circolare Scelba ai prefetti - e che ciò potrebbe essere motivo di nuovi incresciosi incidenti, il comizio è vietato per motivi di ordine e sicurezza pubblica”. Così su L’Unità del l’8 e del 9 settembre. Sicché il sindacato è costretto a ripetere più volte iniziative e assemblee, nei locali aperti al pubblico, onde consentire la partecipazione la più ampia possibile degli operai, essendo vietato, oltre al comizio in piazza, anche ogni genere di “assembramento”. E a Pirrone, che pretende di vietare a Carbonia persino gli incontri nei luoghi aperti al pubblico, presso il dopolavoro n°4, è poi il questore stesso a rispondere, dichiarando immediatamente nullo il divieto. Pur se continua l’accanimento contro i dirigenti, i militanti della sinistra e gli operai delle Commissioni interne, durante la preparazione di tutte quelle manifestazioni pubbliche. Come in occasione del comizio del 10 settembre, quando L’Unità pubblica: “Giunti ieri camion di poliziotti in vista dell’assemblea del Circolo Enal N°1. I poliziotti si son schierati a semicerchio intorno agli ingressi del Teatro, con bombe lacrimogene in cima ai moschetti. La piazza si è riempita di operai che non potevano entrare nei locali, perchè stracolmi; essi seguivano la riunione attraverso gli altoparlanti, le comuncazioni radiodiffuse, iniziata col discorso del compagno Manera, proveniente dalla Segreteria della Federazione italiana lavoratori industrie estrattive, che si è soffermato sul significato reazionario e antidemocratico dei provvedimenti governativi”. E nel mentre, la dichiarazione della Democrazia Cristiana di Carbonia, “La sezione della DC ritiene più che giusto rivolgere un vivo elogio al Commissario di Pubblica Sicurezza Pirrone”, pur assistendo i democristiani, dalle loro sedi cittadine, all’allargarsi del movimento di massa, all’allargarsi della partecipazione in tutto il territorio. “Per la difesa delle libertà democratiche”, è la parola d’ordine con cui L’Unità dell’11 settembre 1948 annuncia, a tutta la Sardegna, l’assemblea del 12 settembre, ancora presso il Teatro Enal, e poi i comizi nei centri del Sulcis, tenuti dai dirigenti del PCI, del PSI e del Partito Sardo d’azione Socialista.
Ma il braccio di ferro tra la forza pubblica e il sindacato continua anche nei giorni successivi, allorché Pirrone vieta addirittura l’uso dell’altoparlante in città, che invita la popolazione a partecipare, il 12, all’assemblea della Camera del lavoro, “in quanto una riunione di migliaia di persone non può essere contenuta nel locale e si formerebbero assembramenti, in contrasto con il vigente regolamento”. Ancora l’intervento del questore ad annullare il divieto, “è dovuto intervenire il questore per rilasciare l’autorizzazione”, su L’Unità del 12 settembre 1948: al solito, la piazza invasa da centinaia di operai che non son potuti entrare nei locali già così affollati. Stessa cosa durante la manifestazione del 14 settembre. E il sindacato dichiara, per voce del dirigente E. Manera, su L’Unità del 15 settembre, “Distruggere le organizzazioni dei lavoratori è l’obiettivo della reazione a Carbonia, per poter sfruttare senza problemi le masse popolari. Carbonia la città caserma è divenuta, dopo la caduta del fascismo la roccaforte del proletariato isolano e della democrazia, …. nè si vuol risolvere la crisi finché non saranno stroncate le organizzazioni democratiche”.

Per non dare respiro al movimento, ancora arresti, questa volta a Bacu Abis : “A Bacu Abis nuovi arresti. 24 ore di sciopero il 19 settembre: agendo in stretto collegamento con la direzione SMCS, la polizia ha compiuto un nuovo rastrellamento”. Durante la notte del 17 di quel mese, come si legge su L’Unità del 21, i poliziotti, con i mitra spianati, hanno fatto irruzione nelle case popolari del piccolo centro, “otto operai imputati di tentato omicidio e rapina (per via delle due colombe sfuggite al cesto del Fiorito), e tradotti a Cagliari; fra loro un ragazzo di 17 anni”. Ci si riferisce ancora alle indagini sui fatti del 14 luglio, che hanno visto il consultore democristiano Fiorito denunciare i dimostranti per l’assalto alla sezione Acli: grande assemblea popolare in un locale di fortuna e dichiarazione dello sciopero, “avendo Pirrone vietato al padrone dell’unico locale pubblico di cederlo per le riunioni sindacali”. E si mantengono poi a lungo i presidi della polizia nel centro, “ancora in circolazione a Bacu Abis camion di poliziotti e carabinieri, mentre continuano gli interrogatori del maresciallo dei carabinieri agli operai”, su L’Unità del 21 settembre 1948
E’ in questo clima di terrore che Renzo Laconi, il 17 settembre, presenta un’interrogazione al ministro degli Interni Scelba, chiedendo provvedimenti contro il commissario Pirrone, “responsabile delle gravissime violazioni delle libertà politiche e delle immunità parlamentari- che avevano riguardato Velio Spano-”, come leggiamo su Maria Luisa Di Felice, nel suo “Renzo Laconi”, già citato 1). E sporge denuncia Velio Spano contro Pirrone, per l’arresto arbitrario e per l’aggressione alla folla, dispersa a manganellate e con il lancio di bombe lacrimogene, durante il suo comizio del 1 settembre. In riferimento alla condotta del commissario di Pubblica sicurezza, egli dichiara: “Mi ha bloccato per un’ora nei locali del Municipio con 10 carabinieri. Mi ha poi dichiarato in arresto, trattenendomi ancora un’ora, presso l’Albergo centrale, con minacce continue, lasciandomi libero solo dietro la pressione dei suoi collaboratori”, L’Unità del 21 settembre 1948.

References

  1. ^dal 1° settembre 2019 (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Altri articoli...

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  2. UE sempre piu’ schierata nel conflitto russo/ucraino. Favorisce una giusta soluzione diplomatica? Salva l’Ucraina dai massacri e dalle devastazioni?
  3. Amica Ucraina, sed magis amica veritas
  4. Ripudio della guerra e Costituzione. Dibattito con Umberto Allegretti

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