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Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai

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By Democrazia Oggi
Democrazia Oggi

← Carbonia. Luglio e agosto 1948, muore un minatore a Bacu Abis, due morti e 59 feriti a Nuraxeddu. Da qui riparte la lotta, nonostante la repressione e le intimidazioni[1]

14 Marzo 2022
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A.P.

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Un tempo c’erano i soviet, degli operai e dei contadini, poi sono venuti i grandi burocrati, poi sono arrivati gli oligarchi in Russia e in Ucraina e in tutte le repubbliche ex sovietiche. Si sono spartiti la grande ricchezza collettiva che i lavoratori avevano prodotto in 70 anni di sacrifici e di lavoro, difendendo i loro territori, la loro e la nostra libertà contro i nazi-fascisti. Ora non senti parlar d’altro, ologarchi di qua, oligarchi di la’. E cosi’, mi son detto, questi spesso van d’accordo, talora si fan la guerra, non direttamente, giammai!, sempre per interposta persona, al massacro mandano sempre i popoli, il sangue e’ sempre della povera gente, in tutte le trincee, i tesori son sempre dei ricchi. Solo quando la guerra è contro costoro è giusta, se no, va contrastata, come fece Wladimiro nel ‘17, combattendo le oligarchie, anzichè battersi per loro. Io non sono un teorico e neanche uno stratega, ma mi pare che anche oggi dietro le sacre bandiere non ci siano i popoli, ma le grandi oligarchie che li affamano: le une dietro la Nato e Zelenski, le altre dietro Putin. Dice bene Luciano Canfora, uno scontro per interposta Ucraina, sulla pelle del popolo ucraino e anche di quello russo.  Ecco perche’ penso, ingenuamemte, che bisogna entrare in guerra contro la guerra, non per questo o quell’altro governo, ma contro entrambi, per il popolo ucraino e il popolo russo. Mi viene in testa un moto di un piccolo grande presidente: si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai.
Dico questo perché - confesso - per la prima volta ho paura. Ci sono troppe cose oscure in questa vicenda. Non c’è una ragione evidente dell’inerzia dei governi europei. Si riuniscono in pompa magna a Versailles e chiudono con una nuova dose di sanzioni economiche, mentre ci saremmo aspettati la proposta di una conferenza di pace con l’indicazione di due tre capi di stato europei per trattare con Putin. Come mai non si avanza la proposta concreta di soluzione diplomatica? Il presidente USA fa lo stesso. La mia sensazione è che ci sia sotto altro e non promette niente di buono.  Può essere l’utilizzo della questione ucraina, e il macello della sua popolazione, per disintegrare la Russia, come si è fatto con l’Iraq, la Libia e si è tentato in altri paesi, ricchi di risorse. Gheddafi, ad esempio, pretendeva di contrattare la vendita del suo petrolio e altrettanto Saddam.  Anche allora si è parlato di esportare la democrazia, ma la democrazia non c’entrava niente: l’unica cosa che conta sono le risorse. I paesi capitalistici, gli Usa e la Nato, ne dispongono meglio se disintegrano i governi e i paesi detentori delle risorse.
C’è in questa impasse d’iniziativa diplomatica per la pace un’ombra sinistra, che può estendere la guerra e la macelleria anche a noi. Si sta creando un clima d’intolleranza, di esaltazione militaresca, che favorisce i colpi di testa. L’unica iniziativa sensata, invece, e’ promuovere una conferenza di pace per indurre Putin a cessare l’invasione, garantendo alla Russia e all’Ucraina sicurezza e ai territori mistilingui condizioni di autonomia istituzionale condivise. Perché non si convoca una conferenza di pace subito? Le possibili risposte mi spaventano.

References

  1. ^Carbonia. Luglio e agosto 1948, muore un minatore a Bacu Abis, due morti e 59 feriti a Nuraxeddu. Da qui riparte la lotta, nonostante la repressione e le intimidazioni (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Carbonia. Luglio e agosto 1948, muore un minatore a Bacu Abis, due morti e 59 feriti a Nuraxeddu. Da qui riparte la lotta, nonostante la repressione e le intimidazioni

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Gianna Lai

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Anche oggi il post domenicale sulla storia di Carbonia, dal 19 settembre 2019[1].

Drammaticamente si era chiuso il mese di luglio in città, con i primi fermi e i primi arresti, dopo lo sciopero di protesta a seguito dell’attentato a Togliatti. Ancor più drammaticamente in miniera, con un morto a Bacu Abis, Simola Francesco di 49 anni, folgorato dalla corrente, e due morti a Nuraxeddu, Zuffanti Calogero e Serra Salvatore di 36 anni, mentre 59 sono i feriti in quel Pozzo 6, avvelenati dalle esalazioni di ossido di carbonio. Immediato l’intervento degli altri lavoratori per salvare i compagni da “s’aria mala”, come chiamavano gli operai l’esalazione di ossido di carbonio, forse proveniente da un avanzamento incoltivato o causato da una volata, che sfonda la parete dell’avanzamento abbandonato o dalla rottura di una tubatura deteriorata di aria compressa, che potrebbe aver sollevato un pesantissimo pulviscolo, dirigendolo verso il gruppo degli operai. Il gas ha investito i lavoratori, la scarsa ventilazione ha fatto il resto. Mancanza totale di comunicazioni ufficiali da parte della SMCS, denuncia L’Unità della Sardegna il 24 luglio 1948, chiusa in un colpevole lungo silenzio anche di fronte alle interruzioni del lavoro e alle assemblee operaie che seguono ad ogni incidente, mentre il Corpo delle Miniere ancora non inizia le indagini. Morti e feriti che si aggiungono ai quattro minatori deceduti tra gennaio e maggio: Piotti Antioco 27 anni, nella miniera di Serbariu e Pia Salvatore 28 anni, a Bacu Abis, entrambi investiti dai vagoni, e Manias Giovanni 44 anni, a Nuraxeddu e Pisu Tito 22 anni, a Sirai, entrambi per distacco di roccia, come leggiamo su “Sardegna: minatori e memoria”, a cura della Associazione Minatori e Memoria. E drammaticamente si era aperto anche agosto, a Carbonia, con la morte di un operaio di Bacu Abis, schiacciato dal carrello della discenderia a seguito della rottura di un cavo. E con alcuni fermi e arrestiuna serie di arresti che preludono alla Per chiudersi, il mese, con gli arresti del giorno 27. Il venir meno della manutenzione nei cantieri continua ad esporre gli operai a incidenti gravi, alla morte e, contro i morti in miniera, di nuovo la denuncia de L’Unità il 5 agosto che, dando la ferale notizia, si chiede cosa faccia “l’autorità giudiziaria dopo gli incidenti”, mentre sollecita ancora una volta indagini, per accertare cause e individuare responsabilità. Non dimenticando che Bacu Abis è la prima della lista nella scelta dei siti sulcitani da chiudere, uno di quelli ritenuto fra i meno produttivi: nessuna garanzia per la sicurezza, semplicemente inutile e dispendiosa la prosecuzione dell’attività estrattiva. Sono in allarme gli operai per l’aggravarsi delle condizioni di lavoro in galleria e insieme pressati dagli interrogatori, che proseguono per tutto il mese, sui fatti del 14 luglio, all’insegna dell’intimidazione e dell’autoritarismo. Così ancora la denuncia de L’Unità l’11 luglio 1948, che parla degli “atteggiamenti del nuovo Commissario di pubblica sicurezza, giunto recentemente a Carbonia per sostituire il commissario Della Valle: il dirigente sindacale Barboni è stato chiamato in questura e diffidato dall’attaccare i ministri democristiani e il governo”. E si può dire che, dove non arriva la forza pubblica, è l’azienda, sempre perfettamente in linea con la politica repressiva del nuovo commissario Pirrone, a sollecitarne l’intervento fin nei piazzali della miniera, non appena si registrino cenni di protesta contro i licenziamenti e, sopratutto, contro il modo in cui essi avvengono. Dato che, solo raramente, le Commissioni interne riescono a far riassumere i loro membri licenziati, come nel caso del minatore di Caput Aquas, di cui parla L’Unità dell’8 agosto 1948. La SMCS continua infatti a scegliere, come fior da fiore, tra i minatori più impegnati e tra i membri di Commissione interna, quelli da allontanare o “trasferire” per primi, nel corso dei licenziamenti di massa che funestano la vita sulcitana e che avviano ormai in città un vero e proprio nuovo processo migratorio. E se ne infischia degli accordi firmati con le rappresentanze sindacali e se ne infischia dell’intervento di alcuni membri del Consiglio di gestione contro i licenziamenti. E delle leghe, che chiedono il controllo dell’Ufficio di collocamento sui “trasferimenti” dei minatori alle aziende d’appalto AcaI, come denuncia L’Unità del 30 luglio 1948.
La ripresa della protesta nel Sulcis coincide ora con le lotte contro l’aumento del prezzo del pane, della pasta e dei generi di prima necessità, assemblee dapertutto, come nel resto del Paese, leggiamo su L’Unità del 7 e del 20 agosto, fino alle ferie estive, fissate per la metà del mese, che vedono la chiusura dei pozzi a partire dal giorno 18. E, alla riapertura, nelle fabbriche e nelle campagne ancora la non collaborazione, “specie ad opera delle organizzazioni di sinistra”, come tiene a precisare il prefetto, citato da Giannarita Mele in “Storia della Camera del lavoro di Cagliari nel Novecento” 2). Grandi scioperi si preparano infatti in tutti i settori, compreso quello agricolo e dice lo storico Sergio Turone, a questo proposito, nella sua Storia del Sindacato in Italia che, così come la non collaborazione avrebbe ridotto vistosamente la produzione di autovetture alla FIAT, nelle miniere sarde, “per agitazioni simili, il quantitativo di minerale estratto calò del 50%”: anche nel Sulcis, lavoro in economia e rifiuto del cottimo.
Grande manifestazione indetta per il 15 agosto a Carbonia, i salari ancora scesi durante i mesi estivi per una applicazione artificiosa e punitiva dei cottimi, di fronte alla non collaborazione, mentre si impongono le ferie forzate per le maestranze, il carbone giacendo da tempo invenduto a Sant’Antioco e nei piazzali della miniera. E, a firma di Pietro Cocco, su L’Unità del 19 agosto, “I lavoratori di Carbonia in ferie: come fare a trascorrere le ferie, dicono molti operai, se con i soldi che ho preso alla mano non riesco a saldare il conto al bottegaio? … I guadagni sono diminuiti, gli errori sulle buste paga si sono accentuati ed il tenore di vita del nostro minatore è diminuito enormemente e i debiti aumentano enormemente… Il bottegaio che vive intorno alla miniera si trova a disagio, insieme all’artigiano ….mentre, sempre più di frequente, vengono licenziati operai non più idonei, perché consumati dalla miniera: i disoccupati aumentano in tutto il bacino, …. migliaia di licenziamenti ancora da mettere in atto”

E la Carbosarda esaspera gli animi minacciando, per risolvere il deficit aziendale, l’aumento dei fitti, dell’energia elettrica e del prezzo del carbone distribuito nelle abitazioni, fino a questo momento cifre simboliche, quelle richieste ai minatori e, sostanzialmente integrative del salario mensile, così nell’articolo ancora a firma di Pietro Cocco su L’Unità del 7 luglio 1948. E gli fa eco la questura che, in agosto, parla di “crisi economica e finanziaria della SMCS e del protrarsi della preoccupazione fra gli operai per una gestione rovinosa dell’azienda”.
“Tutta la Sardegna guarda al Sulcis”, aveva detto Pietro Cocco a margine del Convegno dell’8 agosto in città, contro i pericoli di chiusura delle miniere denunciando, insieme, come i dirigenti non vedessero il problema sociale, quando pensavano di risolvere la crisi con i licenziamenti di massa. Legare le categorie interessate allo sviluppo e alla vita delle miniere, creare un organismo che le rappresenti tutte, contro “l’incuria deplorevole del governo nei confronti di questo problema sardo”, diviene ora la parola d’ordine nel Sulcis.

References

  1. ^19 settembre 2019 (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Ucraina: fermare le armi e rilanciare l’Europa dei popoli

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← Intrecci di vita e di lavoro nel racconto dei protagonisti/e[1]

11 Marzo 2022
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Andrea Pubusa

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E’ difficile ragionare sulla Russia e sull’Ucraina senza dire tutto il male possibile dell’una e il bene possibile dell’altra. E’ quasi impossibile ragionare senza essere travolti dalle passioni o dalle paure.
Premesso che le invasioni sono sempre da condannare con fermezza, e che quella russa non offre elementi per una deroga, si tratta di sforzarci a capire come se ne esce e cosa si fa nel frattempo.
Le tesi in campo nel mondo pacifista, in estrma sintesi, sono due: una quella classica che è contro l’alimentazione del conflitto con l’invio di armi, l’altra quella che ritiene doveroso l’aiuto anche militare. Personamente, pur comprendendo l’altra posizione, sono contrario all’invio di armi, e ciò per la semplice ragione che l’incremento dell’aspetto militare non fa altro che accentuare lo spirito e l’escalation bellica. Questo invio poi s’inserisce nel contesto di una crescita mai vista della spinta agli armamenti dei paesi europei, con il fatto preoccupante del riarmo della Germania. Si parla poi più concretamente della creazione di un esercito europeo, una grande organizzazione militare, che delinea un cambio di prospettiva: l’Europa, che doveva essere un promotore di pace, sceglie un’altra strada, quella della forza. In luogo dell’espansione della prospettiva democratica si torna a dar peso all’opzione militare. Ora, è del tutto evidente che questa spinta, al di là della vicenda ucraina, getta una lunga onda buia sul futuro dell’Europa e del mondo. E già oggi a livello di media e di opinione pubblica cresce un sentimento militarista, mai visto da decenni.
Che fare, in questa difficile situazione? Ci sono alcune cose da fare, parziali ma importanti. Anzitutto, non arruolarsi nel fronte che punta sulla soluzione militare sul campo. Questo vuol dire contrastare l’intensificarsi dei combattimenti per dare ad una delle parti una posizione di superiorità o di forza nella trattativa, perché questa strada concretamente si traduce in una accelerazione pericolosa delle devastazioni, delle morti e delle migrazioni di massa, con i dolori immani che accompagnano questi eventi. So che questo modo di ragionare può apparire freddo e distaccato, ma vuole essere l’esatto contrario: scongiurare che i rapporti di forza sul tavolo delle trattative si misurino sul numero dei morti dell’una o dall’altra parte, tenendo conto che non sono i due popoli i protagonisti attivi e passivi della macelleria, ma - come sempre - i governanti e i loro rispettivi gruppi economico-politici di riferimento.
Bisogna battersi per la pace subito sulla base di equilibri garantiti a livello internazionale. Sicurezza per i due Stati, indipendenza dell’Ucraina, un ragionevole assetto istituzionale (federale?) nella zone con popolazioni miste. Ed anche su questo punto diciamo una parola forte in favore della neutralità, che viene vista spregiativamente come una deminutio o mancanza di indipendenza, ed invece deve essere trasformata nel suo contrario, e cioè autodeterminazione rafforzata dal non essere una piccola ruota del carro di una grande coalizione.
Bisogna insieme rilanciare un movimento per riaffermare un visione pacifica e pacificata del mondo, a partire dall’Europa, che deve riassumere la prospettiva dei padri fondatori e del manifesto di Ventotene, pensato  come risposta democratica alla tragedie del militarismo e delle guerre.

References

  1. ^Intrecci di vita e di lavoro nel racconto dei protagonisti/e (www.democraziaoggi.it)
  2. ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)

Fonte: Democrazia Oggi

Kennedy, Krusciov e Giovanni XXIII: storia di una pace inaspettata

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James W. DOUGLASS da Aggiornamenti sociali - marzo 2014

 

Mentre infuria la guerra in Ucraina è utile ricordare che, prima di incrementare gli armamenti e le sanzioni, è bene sforzarsi a fare la pace. Occorre un onorevole compromesso garantito dalla UE e dalle maggiori potenze che sancisca la sicurezza di Russia e Ucraina e l’indipendenza di quest’ultima, con statuti speciali democratici per le aree in contestazione.
Mentre tutti i popoli del mondo invocano con ansia la pace, la Von der Leyen, a conclusione della conferenza di Versaille, non annuncia una iniziativa di pace, ma un quarto pacchetto di sanzioni. Mentre in Ucraina crescono i morti e le devastazioni i capi di governo, europei, riuniti a Versailles, parlano d’altro. Non decidono sull’unica cosa sensata: aprire subitp un tavolo credibile di trattativa. Ci sembra utile perciò ricordare che, per fare la pace, bisogna volerla fortemente, come nel 1962 Kennedy e Krusciov.

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Nel 1962, con la crisi di Cuba, il mondo precipita verso la guerra nucleare. La catastrofe viene evitata solo grazie alla decisione dei due leader, John F. Kennedy e Nikita Krusciov, di fidarsi l’uno dell’altro contro il parere dei rispettivi consiglieri. Da dove trassero ispirazione per un atto così coraggioso? Quale influenza ebbero Giovanni XXIII e il suo messaggio di pace e di rinnovamento? E quali legami possiamo rintracciare tra quella decisione di pace e il successivo assassinio di Kennedy? In momenti cruciali una singola persona può fare la differenza, a condizione che se ne sia costruita la possibilità, ma non senza accettare di farsi carico delle conseguenze delle proprie scelte.

[…] Costruire una relazione
Durante la crisi dei missili, Kennedy si convertì alla pace. Quando si giunse al punto di rottura del terribile conflitto che le sue stesse politiche contro Fidel Castro avevano contribuito a fare precipitare, egli cercò una via d’uscita, che i suoi generali giudicarono assolutamente imperdonabile. Non soltanto respinse le loro pressioni per attaccare Cuba e l’Unione Sovietica: peggio ancora, si rivolse al nemico in cerca di aiuto. Lo si poteva considerare un atto di tradimento. Krusciov invece lo vide come un segno di speranza.
Robert F. Kennedy, allora Procuratore generale e responsabile del Ministero della Giustizia, aveva segretamente incontrato, il 27 ottobre 1962 a Washington, l’ambasciatore sovietico Anatoly Dobrynin, avvertendolo che il Presidente stava per perdere il controllo dei suoi generali e aveva bisogno dell’aiuto dei sovietici. Quando Krusciov ricevette l’appello di Kennedy a Mosca, si rivolse al suo ministro degli esteri, Andrei Gromyko, dicendo: «Dobbiamo far sapere a Kennedy che vogliamo aiutarlo». Krusciov esitò all’idea di aiutare il nemico, ma ripeté: «Sì, aiutiamolo. Ora abbiamo una causa comune, salvare il mondo da coloro che ci stanno spingendo verso la guerra».
Come possiamo riuscire a comprendere quel momento? I due leader più pesantemente armati di tutta la storia, sull’orlo della guerra nucleare totale, improvvisamente si diedero la mano per opporsi a coloro che, da entrambe le parti, li spingevano ad attaccare. Krusciov ordinò l’immediato ritiro dei suoi missili, in cambio dell’impegno pubblico di Kennedy a non invadere Cuba e della promessa segreta di ritirare i missili americani dalla Turchia, come avrebbe poi effettivamente fatto. I due protagonisti della guerra fredda erano cambiati; ciascuno aveva a questo punto molto più in comune con l’avversario che con i suoi generali.
Né Kennedy, né Krusciov erano dei santi. Entrambi erano profondamente coinvolti nelle scelte politiche che condussero l’umanità sull’orlo della guerra nucleare. Ma quando incontrarono ciò che Thomas Merton definiva «il vuoto di Ciò che non è esprimibile», ciascuno cercò aiuto nell’altro. Così, portarono l’umanità verso la speranza di un pianeta pacifico.
La genesi della trasformazione di Kennedy e di Krusciov in occasione della crisi dei missili si trova nella loro corrispondenza segreta, iniziata circa un anno prima. Dopo il loro fallito incontro di Vienna nel giugno del 1961, il 29 settembre dello stesso anno Krusciov scrisse una lettera epocale al Presidente americano. Per far capire il nucleo del suo messaggio, il leader comunista fece ricorso a una analogia tratta dalla Bibbia, paragonando la sua situazione e quella di Kennedy all’arca di Noè. Così scriveva: «Nell’arca di Noè trovarono riparo e scampo sia i “puri” che gli “impuri”. Ma, a prescindere da chi si considerava “puro” e da chi invece faceva parte della lista degli “impuri”, tutti avevano ugualmente a cuore una sola cosa, che l’arca potesse continuare con successo il suo viaggio. Anche noi non abbiamo altra alternativa: o viviamo in pace, collaborando affinché l’arca possa continuare a galleggiare, oppure essa andrà a fondo».
Kennedy rispose il 16 ottobre: «Mi piace molto la similitudine con l’arca di Noè, dove “puri” e “impuri” sono ugualmente determinati a mantenerla a galla».
Così, attraverso la loro corrispondenza segreta, i due uomini lottarono per raggiungere una migliore conoscenza reciproca e una maggiore comprensione delle loro diversità. La crisi dei missili cubani un anno più tardi provò che non avevano affatto risolto i loro conflitti, eppure fu proprio grazie alle lettere segrete che ciascuno dei due comprese che l’altro era un essere umano degno di rispetto. Sapevano anche di essersi trovati d’accordo già una volta su una cosa: che il mondo era un’arca. Dovevano tenere l’arca a galla. E ci riuscirono, proprio nel momento di maggior pericolo.

La mutua ricerca della pace
Dopo che Kennedy e Krusciov si allearono nella crisi dei missili, cominciarono a “cospirare” per mantenere la pace. L’acme fu il discorso di Kennedy all’American University nel giugno del 1963. Presentò la sua visione della pace come risposta alle sofferenze patite dal popolo russo nel corso della Seconda guerra mondiale, riuscendo così a superare il solco che divideva i due avversari. Krusciov in seguito avrebbe detto al diplomatico americano W. Averell Harriman che «si era trattato del più grande discorso tenuto da un Presidente americano dai tempi di Roosevelt».
L’annuncio, dato da Kennedy in quella occasione, della cessazione unilaterale degli esperimenti nucleari nell’atmosfera e la speranza espressa in vista dei negoziati per un trattato a Mosca aprirono la porta
. Nel giro di sei settimane, Kennedy e Krusciov firmarono il Partial Nuclear Test Ban Treaty (Trattato sulla messa al bando parziale dei test nucleari). Era un segno che confermava la loro volontà comune di porre fine alla guerra fredda.
Un altro segno fu il consiglio di Krusciov a Fidel Castro di cominciare a collaborare con Kennedy. Castro si era infuriato perché Krusciov aveva ritirato i missili all’ultimo momento senza consultare l’alleato cubano, in cambio solo della promessa di un capitalista. Il 31 gennaio 1963 Krusciov scrisse a Castro per cercare la riconciliazione e la pace con l’alleato cubano, una lettera che corrispondeva a quella dell’arca di Noè inviata a Kennedy. Castro accettò l’invito a recarsi in Unione Sovietica.
La visita di Castro a Krusciov si svolse nei mesi di maggio e giugno 1963. I due leader viaggiarono insieme visitando l’Unione Sovietica. Castro riferì in seguito che Krusciov gli impartì un vero e proprio corso di formazione sulla necessità di dare fiducia a Kennedy. Giorno dopo giorno, Krusciov leggeva a voce alta a Castro la corrispondenza con Kennedy, ponendo l’accento sulla speranza di pace che ora potevano nutrire grazie alla collaborazione con il Presidente degli Stati Uniti.
Krusciov stava mettendo in pratica quanto papa Giovanni – che il leader comunista aveva imparato ad amare – aveva raccomandato nella Pacem in terris, quando scriveva «al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia» (n. 61). Il Pontefice aveva inviato a Krusciov una medaglia papale e una copia in russo dell’enciclica sulla pace, precedente la pubblicazione ufficiale. Krusciov ne fu commosso.
Nel settembre del 1963 Kennedy fece un altro enorme passo verso la fiducia reciproca, intesa come nuova base per la pace
. Iniziò un segreto dialogo con Fidel Castro, attraverso il diplomatico americano William Attwood, in servizio presso le Nazioni Unite, allo scopo di normalizzare le relazioni tra Stati Uniti e Cuba. Castro reagì con entusiasmo e iniziò a stringere accordi segreti per incontrare Attwood. Kennedy diede una forte spinta a tutto il processo ricorrendo a un canale ufficioso e riservato per comunicare con Castro. Il suo rappresentante non ufficiale, il corrispondente francese Jean Daniel, era impegnato nel secondo incontro con Castro il pomeriggio del 22 novembre 1963, quando li raggiunse la notizia della morte del Presidente. Castro si alzò in piedi, guardò Daniel e disse: «Tutto è cambiato. Tutto cambierà». Anche il dialogo tra Stati Uniti e Cuba morì a Dallas.
Poco prima della morte, Kennedy si era mosso anche per porre fine all’impegno militare degli Stati Uniti in Viet Nam
. Il National Security Action Memorandum No. 263, pubblicato l’11 ottobre 1963, afferma che in un incontro tenuto sei giorni prima Kennedy aveva approvato un programma di addestramento dei vietnamiti, in modo da consentire «il ritiro di mille soldati statunitensi entro la fine del 1963» e «di tutto il contingente del personale militare statunitense entro la fine del 1965». Il successore di Kennedy, il presidente Lyndon B. Johnson, ignorò completamente tali progetti. A Dallas la guerra in Viet Nam tornò a infiammarsi.
Appuntamento con la morte
La coraggiosa svolta di Kennedy dalla guerra globale alla strategia di pace spiega le ragioni della sua uccisione. Alla luce dei dogmi della guerra fredda che imprigionavano la sua amministrazione e della sua svolta in favore della pace, l’assassinio di Kennedy diventava una conseguenza logica, naturale. Fu chiaramente un atto politico, che tuttavia ci consegna la speranza della trasformazione. […]

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Titolo originale «A President for Peace. The deadly consequences of J.F.K.’s attempts at reconciliation», pubblicato in America, 18 novembre 2013, 13-16.
Traduzione di Elvira Fugazza.

Fonte: Democrazia Oggi

Intrecci di vita e di lavoro nel racconto dei protagonisti/e

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Rosamaria Maggio

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Intrecci di vita e di lavoro
del Gruppo biografe volontarie “storie di memorie”
Ed. LiberEta’

Nella giornata internazionale della donna, un lavoro di donne con donne, ma non solo, riallaccia storie di persone e di lavoro: intrecci appunto, come i nostri cestini ad intreccio in Sardegna. E come nell’intreccio delle nostre erbe palustri, il giunco, la palma nana, l’asfodelo, le amiche Rita, Elvira, Luisa, Efisia, Bernarda, Cenzina, Silvia, Vannina e Paola, hanno intrecciato racconti.
L’importanza di questo lavoro voluto dallo Spi-Cgil di Cagliari è insito anche nell’ originalità del partire dal racconto orale de* protagonist*, riuscendo a mantenere il ritmo dell’oralità anche nella trasposizione scritta, nella quale non è stato tradito il ritmo, pur nel rispetto dei codici linguistici.
La lettura è quindi scorrevole e pare di essere presenti durante le singole interviste.
Ogni intervista è ricca di esperienza di lavoro e di vita ma, per non anticipare troppo al lettore, mi soffermerò solo su alcune.
Fra tutte ne scelgo due: l’intervista a Pina B. e quella a Teresa P.
Pina è la cara Pina Brizzi, che è mancata di recente e che al momento dell’intervista aveva 92 anni.
Dei suoi ricordi è palese il clima antifascista in cui è cresciuta: i suoi avevano chiesto alla scuola che Pina non facesse educazione fisica perché di debole costituzione. Pina non capiva il perché di quell’esonero; lei non si sentiva affatto di debole costituzione. Ma poi il padre le spiegò che se voleva essere figlia sua e non del Duce, divise non ne doveva portare.
Racconta di come, dopo l’armistizio, diede rifugio a dei soldati italiani, nascondendoli in casa e vestendoli da civili. Viveva ancora a Carrara. Racconta del periodo in cui fa la staffetta partigiana. Dei pericoli corsi, di quando veniva ricercata dai tedeschi, di come è riuscita a salvarsi. Poi, dopo la liberazione, è iniziata la sua militanza nel partito comunista, il suo impegno come funzionaria di partito dopo il diploma. Fu inviata in Sardegna per lavorare nel partito, dove incontra il marito. Racconta della nascita delle figlie, delle occupazioni delle terre, del sacrificio di stare lontana dalle bambine per continuare l’impegno politico col marito, della partenza per la Germania dove ha lavorato per una radio che trasmetteva in lingua italiana, dell’impegno radiofonico per gli emigrati italiani, del rientro a Roma e poi a Cagliari dove ha creato la Federazione migranti sardi. Negli ultimi anni si è impegnata nel Comitato a difesa della Costituzione, ha costituito l’Anpi locale e si è dedicata fino agli ultimi suoi giorni ad andare nelle scuole a parlare con gli studenti medi e superiori per raccontare che cosa è stato il fascismo.
Diversa è la storia di Teresa P.
Non solo, a differenza di Pina, non è stata mandata a scuola, ma addirittura venne mandata a fare la bambinaia e la donna di servizio a 6 anni. Come lei, anche la sorellina. La madre era rimasta vedova e Teresa dice di essere stata buttata fuori di casa che non conosceva ancora i numeri e non sapeva leggere l’orologio. Storie diverse, Teresa del ’41, Pina del ’25, storie di dolore ma anche di diverse opportunità, la famiglia e la scuola segnano questa profonda differenza.
Teresa ha visto suo padre di 35 anni, morire ma senza averne coscienza.
Ha subito la violenza del padrone di casa dove lavorava, e il ricordo di quei fatti le provoca ancora sofferenza. Si è sposata, ha avuto cinque figlie ma questo trauma non lo ha mai superato.
Sua madre si era risposata con uno che Teresa definisce selvaggio. Viene sempre mandata a lavorare come domestica e viene anche picchiata da una padrona.
Quando si sposa il marito vuole risparmiare per costruire la casa. Lavora anche lei e costruiscono la casa. Lui vuole risparmiare molto, lei vuole accontentare ogni tanto le figlie perché nella sua infanzia è stata privata di tutto. Aiuta la famiglia lavorando in un caseificio. Poi scopre di avere un tumore. Si cura e fa la chemioterapia. È un periodo difficile. Supera la malattia. Le rimane il grande desiderio di imparare a leggere e scrivere. Se fosse possibile andrebbe a scuola.
Non può leggere le fiabe ai nipotini che le chiedono perché non sia andata a scuola.
Lei risponde che non la hanno mandata e loro ribattono: Beata te, nonna!!!
Il libro si sofferma sulla condizione di tanti giovani mandati precocemente a lavorare e sottratti al percorso scolastico.
Offre uno sguardo sullo sviluppo economico della nostra isola, sulla coscienza politica e sindacale della classe lavoratrice.
Si sofferma su attività imprenditoriali che portavano occupazione e ricchezza nell’isola, tutte esperienze naufragate per l’inadeguatezza della classe politica nazionale e regionale, incapace di avere uno sguardo lungo sul mondo globalizzato che si avvicinava e sulla istruzione dei giovani.
Attraverso i racconti personali si comprende la storia dello sviluppo economico mancato di questa terra, molto vandalizzata e sfruttata.

Fonte: Democrazia Oggi

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Alfiero Grandi   Le tragedie umane e materiali in Ucraina sono conseguenze della guerra innescata dall’invasione russa. Sulle tragedie, conseguenze della guerra, è in corso una campagna di propagand...
La resistenza, il pacifismo (e l’ipocrisia dei commentatori repubblichini)
Marco Pitzalis - Univ. - Cagliari Lo storico De Luna (UniBo) ci “spiega” sulle pagine del giornale atlantista radicale e interventista "La Repubblica" che la Resistenza non è stata pacifista. Il pro...
Due domande ai “pacifisti” sostenitori dell’invio di armi
Ormai tutti vediamo che siamo giunti molto vicini alla linea rossa che separa la guerra  Russia/Ucraina da conflitto fra Usa/Russia. Questa drammatica estensione ha degli automatismi. Se interviene ...
Appello dell’UNASAM per fermare la guerra in Ucraina, la corsa agli armamenti e alle basi militari...
Red C’è nella società una grande maggioranza contro la guerra, contro la politica del governo Draghi, della UE e della Nato. Non si condivide una risposta tutta incentrata sul profilo militare delle ...
ANPI. Pagliarullo rieletto presidente
← Nella guerra c’è in gioco l’indipendenza dell’Ucraina o quella della Russia?[1] 12 Aprile 2022 Nessun commento[2] Red Alcuni giornali, da sempre poco amichevoli con l’Anpi, la descrivono nella bu...
Nella guerra c’è in gioco l’indipendenza dell’Ucraina o quella della Russia?
← 14 aprile dibattito CGIL-ANPI-CDC per la pace, contro la guerra[1] 12 Aprile 2022 Nessun commento[2] Andrea Pubusa Se esaminiamo la guerra in Ucraina senza pregiudizi per capire come può finire e...
14 aprile dibattito CGIL-ANPI-CDC per la pace, contro la guerra
← La Costituzione e l’invio di armi[1] 11 Aprile 2022 Nessun commento[2] Tre grandi associazioni democratiche illustrano insieme le loro posizioni per la cessazione della guerra in Ucraina e per una...
La Costituzione e l’invio di armi
← Il giorno della vergogna[1] 11 Aprile 2022 Nessun commento[2] Andrea Pubusa C’è un’istintiva propensione ad aiutare anche con le armi chi è aggredito. Risponde ad un pensiero elementare socorrere...
Il giorno della vergogna
← Carbonia. Dopo il fermo di Velio Spano, il questore vieta i comizi in piazza. “Carbonia, da città caserma a roccaforte del proletariato isolano e della democrazia”: l’estate del ‘48 stretta fra lic...
Carbonia. Dopo il fermo di Velio Spano, il questore vieta i comizi in piazza. “Carbonia, da...
Gianna Lai  Oggi domenica un altro pezzo della storia di Carbonia dal 1° settembre 2019[1]. Riunione dei rappresentanti comunisti, socialisti, del Partito Sardo d’azione Socialista, dell’UDI, ...
Decimomannu migliaia in marcia per la pace in Ucraina
← UE sempre piu’ schierata nel conflitto russo/ucraino. Favorisce una giusta soluzione diplomatica? Salva l’Ucraina dai massacri e dalle devastazioni?[1] 9 Aprile 2022 Nessun commento[2] Red   ...
UE sempre piu’ schierata nel conflitto russo/ucraino. Favorisce una giusta soluzione diplomatica? Salva l’Ucraina dai massacri...
← Amica Ucraina, sed magis amica veritas[1] UE sempre piu’ schierata nel conflitto russo/ucraino. Favorisce una giusta soluzione diplomatica? Salva l’Ucraina dai massacri e dalle devastazioni? 9 Apri...
Amica Ucraina, sed magis amica veritas
Mario Dogliani   Daniel Chester French, La Verità, gesso, h. 148.6 cm, 1900, particolare. Art Institute of Chicago.     Sta girando molto in rete questo contributo dall’amico Mario Do...
Ripudio della guerra e Costituzione. Dibattito con Umberto Allegretti
← MARCIA PER LA PACE E IL DISARMO 9 APRILE ORE 15 - Decimomannu[1] 7 Aprile 2022 Nessun commento[2] Ripudio della guerra e Costituzione Caffè politico, venerdì 8 aprile ore 18.00, via Piceno 5 , Ca...
MARCIA PER LA PACE E IL DISARMO 9 APRILE ORE 15 - Decimomannu
← Fermare la guerra per riprenderci il futuro[1] 7 Aprile 2022 Nessun commento[2] MARCIA PER LA PACE E IL DISARMO 9 APRILE ORE 15 ITINERARIO: STAZIONE DI DECIMOMANNU-PARCHEGGIO AEROPORTO MILITARE D...

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