Andrea Pubusa
Gianfranco Pagliarullo - Presidente nazionale dell’ANPI
In questi tempi di forzature, falsità, polemiche sopra le righe,
gli opinionisti con l’elmetto stigmatizzano i pacifisti integrali,
ossia contrari all’invio di armi, come calabraghe, desiderosi solo
della resa degli ucraini. Ma è proprio così? In realtà, la
resa comporta la cessazione di ogni resistenza di fronte al nemico
che impone la propria volontà. Nel caso nostro - secondo questa
opinione - l’accoglimento della proposta pacifista importerebbe per
l’Ucraina una sottommissione al volere di Putin, senza
trattativa.
Ora nessuna delle forze pacifiste e degli esponenti del pacifismo
sostiene questa posizione. Nel suo documento di fine
febbraio[1] l’Anpi nazionale, dopo
aver con equilibrio e spirito di verità delineato la origini di
questa guerra, così avanza delle ipotesi di pace:
“In questo scenario l’unica via d’uscita è, anche attraverso un
(per quanto difficile) auspicabile e rinnovato ruolo
dell’ONU, l’immediato cessate il fuoco, il ritiro delle forze
armate russe, l’indipendenza e la neutralità dell’Ucraina al di
fuori della Nato e dell’Unione Europa in base a una ragionevole e
urgentissima trattativa diplomatica, l’autonomia (prevista dagli
accordi di Minsk ma mai realizzata da Kiev) delle regioni del
Donbass, l’isolamento e la condanna delle formazioni nazifasciste,
in un clima di costruzione di una concordia nazionale assente dai
tempi del colpo di forza del 2014. C’è da aggiungere l’avvio di
trattative per la progressiva smilitarizzazione dei confini fra i
Paesi dell’est (Estonia e Lettonia confinano con la Federazione
russa, la Lituania confina con la Bielorussia a pochi chilometri
dalla frontiera russa) e la Russia da entrambe le parti in forme e
modalità concordate. Ed infine, per quanto riguarda il nostro
Paese, il rispetto assoluto e incondizionato dell’art. 11 della
Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra….”), il che vuol dire
evitare ad ogni costo il coinvolgimento dell’Italia negli eventuali
sviluppi militari del conflitto. Non dimentichiamo mai che l’Italia
è piena di basi militari USA e NATO e che da giorni dall’aeroporto
di Sigonella decollano i droni di ricognizione
sull’Ucraina”.
Come si vede, al centro di tutte queste proposte c’è una trattativa
internazionale, possibilmente con l’ONU, ma in ogni caso al massimo
livello con gli alleati dell’Ucraina UE e USA. Quindi evidentemente
le ragioni ucraine non solo sono ben rappresentate, ma sono
supportate da una forza politica di pari rango rispetto alla
Russia. Nessuno nel mondo pacifista pone preclusioni ad una
presenza anche della Cina o all’intermediazione di Israele. Quindi
non c’è alcuna spinta alla resa, ma solo ad una ragionevole e seria
trattativa, che porti al cessate il fuoco immediato.
L’altro giorno ho sentito a Otto e mezzo la vicepremier
dell’Ucraina, Iryna Vereschuk, con incarico da ministro per la
reintegrazione dei territori temporaneamente occupati, di
professione militare, e, pur von tutta l’umana comprensione, ho
riportato un’opinione non positiva. Mi è parso fra l’altro che
anche gli altri interlocutori, la stessa Lilli Gruber, Massimo
Giannini, il direttore di Limes Caracciolo e il cotituzionalista
torinese Pallante siano rimasti perplessi nel sentire le sue
affermazioni. La Vereschuk ha sostanzialmente confermato la
richiesta alla Nato, agli USA e alla UE della no fly zone e
della fornitura di caccia e altri dispositivi di quella portata,
mostrandosi poco sensibile all’obiezione di tutti gli altri che
l’accoglimento di queste richieste comporta un allargamento del
conflitto e una guerra dalla portata inimmaginabile. Una sorta di
“muoia Sansone con tutti i filistei“o, più
ottimisticamente, un ritiro senza reazione della Russia, in ragione
della sua manifesta inferiorità rispetto alla NATO, USA e UE messi
insieme. Una posizione francamente irresponsabile, che non può
essere accolta. Tuttavia, se l’Ucraina non chiede la trattativa
urgente internazionale, vuol dire che spera o fa affidamento su
forme di sostegno più accentuate rispetto a quelle attuali e tali
da indurre la Russia alla ritirata dopo una sostanziale sconfitta
sul campo. Forse auspica un “incidente” per un allargamento del
conflitto? Mi pare una prospettiva pericolosa, allineata sulle
posizioni estreme, militariste, dello schiermento
occidentale. Non ritengo positivo neanche lo sbocco finale
auspicato da questa posizione, e cioé lo sfaldamento della Russia.
Un paese di questa portata più o meno ridotto come l’Iraq o la
Libia attuali serve ai grandi rapinatori globali di risorse, ma non
è utile alla pace e agli equilibri mondiali. Rimango testardamente
dell’idea che la Russia sia Europa e che vada ripreso con serietà
il discorso interrotto ai tempi di Gorbaciov, quando il leader
sovietico propose di avviare un processo d’inclusione della Russia
nella UE e/o nel concerto democratico. E’ preferibile un contesto
internazionale multipolare, che bilancia le forze e crea dei
contrapesi che limitano la tendenza di ciascuno schieramento alla
prova muscolare. Oggi sembra utopia, ma solo i progetti progressivi
forti sconfiggono le autocrazie, le oligarchie di là e di qua. Per
questo devono battersi le forze democratiche europee e occidentali.
Le vie fondate sugli elmetti negli scontri fra potenze, presto o
tardi, portano al disastro.