Alfiero Grandi

La guerra in Ucraina continua. L’invasione russa prosegue sia
pure con difficoltà, l’Ucraina ne contrasta l’avanzata. Le
richieste insistenti di Zelensky sulla No-Fly Zone, per la
fornitura di aerei dalla Nato, per avere armi letali come Iron dome
da Israele, per il blocco delle forniture all’Europa di gas dalla
Russia, confermano che un conto è contrastare, mettere in
difficoltà l’invasione russa, altro è vincere. Quanto sta accadendo
in Ucraina, dove ci sono morti, feriti, distruzioni e si sta
scavando un burrone tra mondi e culture, va fermato senza perdere
tempo. Non fermare subito i combattimenti significa che lutti,
distruzioni, la semina di odii e rotture profonde diventeranno
sempre più gravi, insopportabili in Ucraina e nel mondo.
L’impressione è che le parti in causa non abbiano ancora deciso se
sia giunto il momento per trattare seriamente e che anche i
mediatori siano in attesa di un momento più favorevole per svolgere
il loro ruolo. La speranza è che riservatamente qualcosa si stia
muovendo, ma per ora è solo una speranza. Nelle valutazioni che si
ascoltano e si leggono su questa guerra in Italia, e non solo,
prevale lo schierarsi a sostegno, ma questa non è una competizione
pacifica nella quale fare il tifo, è una guerra che deve arrestarsi
prima possibile.
L’obiettivo è farla cessare per risparmiare vite umane, altre
distruzioni, altri veleni che vanno in circolo in modo potente. Ad
esempio, il diffondersi della convinzione che evitare la guerra è
un sogno irrealizzabile, quasi fosse un fenomeno naturale, e per
questo la corsa al riarmo sarebbe inevitabile. Non a caso è tornato
di moda il motto latino guerrafondaio: se vuoi la pace prepara la
guerra.
Partendo dall’invio di armi all’Ucraina si passa con disinvoltura a
prendere in considerazione un intervento armato diretto
Esattamente dove porterebbero la No-Fly zone, oppure l’invio di
aerei da combattimento, richiesti da Zelensky, se non
all’estensione del conflitto, ad una guerra aperta tra Nato e
Russia? Si delinea sempre più nitido il pericolo di un’escalation.
Tanto è vero che iniziano le distinzioni tra guerra diretta tra
Russia e Nato e il rischio di un conflitto nucleare, che secondo
queste valutazioni sarebbe possibile evitare. Ne hanno parlato in
questi termini autorevoli dirigenti ucraini e anche esponenti di
altri paesi europei. Per questo l’iniziativa per una tregua e per
la pace debbono essere la priorità per tutti.
Per questo il movimento per la pace deve crescere, diventare
potente, unificando tutte le posizioni che convergono
sull’obiettivo di cessare la guerra e puntano ad un accordo di
pace. Posizioni che debbono convergere sull’obiettivo centrale
anche quando le valutazioni di partenza sono diverse. Oggi non è
così, il tentativo di contrapporre la piazza di Firenze a quella di
Roma è stato un segnale preoccupante. Il movimento per la pace in
Ucraina deve resistere ai tentativi di “arruolarlo” perché in gioco
ci sono le vite di altri e a loro deve guardare l’iniziativa per
fermare i combattimenti e imboccare la difficile strada di una
soluzione pacifica del conflitto.
La mediazione è indispensabile per trovare una via d’uscita dal
conflitto armato.
Le parti in causa hanno difficoltà a farlo direttamente, infatti
quando si rivolgono all’altro contendente danno l’impressione di
considerare la trattativa come un aspetto della campagna di guerra.
Occorre individuare una sede e un ruolo di mediazione. L’Onu è la
sede preferibile e naturale. Luigi Ferrajoli ha proposto che
l’assemblea generale dell’Onu si riunisca in modo permanente fino
alla fine dei combattimenti. È una proposta che indica con nettezza
l’importanza che l’Onu deve dare alla soluzione di questo
conflitto, sottraendolo ai rapporti di forza e alle convenienze
delle grandi potenze, facendo rientrare il loro stesso ruolo
nell’ambito delle Nazioni Unite. Certo, il ruolo dell’Onu negli
ultimi decenni si è molto indebolito, ma questo è il risultato di
scelte precise delle potenze mondiali grandi e meno grandi che
hanno preferito, per loro interessi, decidere loro interventi
militari mettendo l’ONU di fronte al fatto compiuto, facendogli
mancare le risorse. In questo hanno responsabilità tutte le
principali potenze del pianeta.
Ricordo che fino a poco tempo fa anche la Nato non godeva di grande
considerazione, basta ricordare i giudizi di Trump e Macron.
La tragedia ucraina può essere l’occasione per ridare peso e ruolo
alle Nazioni Unite, riconoscendo il loro ruolo di sede in cui
condurre le trattative. Questo non vuol dire che le grandi potenze
vadano tenute ai margini. Al contrario l’obiettivo deve essere di
imporre loro comportamenti che rispondano a tutta l’opinione
pubblica mondiale. Nel ruolo di mediazione sotto l’egida dell’Onu
possono essere stemperati anche i dubbi sulle reali motivazioni di
alcuni paesi che si sono candidati alla mediazione e possono essere
spinte ad assumere un ruolo potenze come la Cina, che altrimenti
sembrano restie, basta ricordare quanto ha detto XI a Biden: spetta
a chi mette il sonaglio al collo della tigre il compito di
toglierlo. In quella sede anche personalità di riconosciuta
credibilità possono svolgere un ruolo, altrimenti a quale titolo
potrebbero avanzare proposte alle parti in causa?
L’urgenza di sospendere i combattimenti deve diventare l’assillo
principale per tutti – oggi ancora non lo è – per spingere ad
imboccare la via della trattativa. Tra i veleni che si stanno
diffondendo, forieri di gravi conseguenze, c’è una fortissima
spinta al rilancio degli armamenti. Eppure Francesco ha detto solo
pochi giorni fa che non è accettabile che i soldi per le armi si
trovino sempre mentre quelli per fare stare meglio le persone no.
Spendere di più per le armi è una profezia che auto avvera la
guerra, per la quale vengono prodotte.
Eppure in passato quando si è arrivati sull’orlo del burrone
nucleare c’è stata una reazione che ha definito le modalità per
evitare errori irreparabili e avviato trattative per ridurre gli
armamenti, a partire dal nucleare. Sono state scelte vie diverse, a
volte tortuose, su segmenti, ma alla fine del percorso qualche
risultato significativo di disarmo è stato raggiunto. Ma ora la
posizione riarmista ha ripreso forza, mettendo in discussione
accordi e bloccando la possibilità di farne altri. C’è un abisso
tra l’attenzione ad evitare che l’Iran si doti di armi nucleari e
la distrazione, o peggio, sui comportamenti di quanti le hanno già,
il cui arsenale viene ammodernato e reso ancora più letale. Anche
l’Italia avrà presto sul suo territorio un
potenziamento/ammodernamento dell’arsenale nucleare, che è di
stanza nei depositi USA e Nato. C’è troppa rassegnazione verso il
riarmo, che la guerra in Ucraina sta spingendo potentemente.
Occorre puntare ad un clima politico che consenta di invertire la
tendenza al riarmo, anzitutto nucleare, per impedire che la
previsione della catastrofe mondiale si auto avveri. Dopo pochi
mesi rischiamo il tramonto definitivo di iniziative come quelle sul
clima, che hanno bisogno di un orizzonte mondiale, che si
aggiungerebbe alla sopraffazione sull’ambiente e sul clima che
rappresenta la guerra. Ci sono approfondimenti da fare sul rapporto
tra Europa e Nato. Unione europea e Nato non sono la stessa cosa.
L’UE non dovrebbe essere la dimensione europea della Nato. L’Unione
europea ha già affrontato una prova difficile estendendosi sul
versante dell’est Europa, male immaginata e peggio organizzata. Non
a caso la capacità di decisione su questioni di fondo in Europa
continua ad essere condizionata dall’unanimità e quindi un solo
paese ha diritto di veto. I cerchi concentrici delle cooperazioni
rafforzate possono servire per alcune situazioni, vedi Euro, ma non
possono diventare la regola. Le divisioni interne all’Europa sono
frutto di una costruzione bislacca e di una reazione all’egemonia
dei fondatori. Ora la guerra in Ucraina spinge l’Europa a
sostenerla con la fornitura di armamenti, con interventi dell’UE
(si arriverà ad un miliardo di euro) e dei singoli paesi. Eppure la
fornitura di armamenti all’Ucraina è già affrontata dalla Nato, e
dagli Usa a cui evidentemente la Nato non basta.
Perché l’Europa deve scendere in campo in aggiunta all’alleanza
militare di cui fa parte? Semmai l’UE dovrebbe decidere che è
giunto il momento di dare vita ad un proprio sistema militare, ma
in questo caso occorre evitare il raddoppio delle spese per la
difesa. Il parlamento italiano ha deciso di portare le spese
militari al 2% del bilancio dello Stato (da 26 a 38 miliardi) entro
il 2027, senza aumentare il deficit vuol dire sottrarre risorse ad
altre voci, spesa sociale, ecc… Il 2% di aumento delle spese
militari nazionali rischia di aggiungersi alle spese europee,
mentre la “difesa europea” era stata immaginata come un
rafforzamento per integrazione, quindi con meno spese. In realtà il
2% è una richiesta degli USA e della Nato. La difesa comune europea
potrebbe essere una buona idea a condizione che ci sia un reale
Governo europeo, Difesa compresa, e che tutti i sistemi siano
integrati, resi europei, risolvendo anche il ruolo della Francia,
unico paese con armamento atomico. La Gran Bretagna ormai è fuori
dall’UE e insegue il sogno di diventare un regolatore mondiale a
fianco degli Usa.
Comunque la si pensi è inevitabile che questa orribile guerra porti
a reazioni di paura, al rafforzamento dei peggiori istinti
bellicisti. Per contrastarle occorre una riflessione adeguata sulle
prospettive, sia per disinnescare il massacro in corso, sia in
prospettiva per individuare un sistema di prevenzione dei
conflitti, ristabilendo fiducia e canali di comunicazione che
portino il pianeta nella direzione opposta a quella attuale. Il
contrario di quanto accade.
Il mondo era impreparato ad una prova come l’invasione dell’Ucraina
ma ora non può non prepararsi a progettare una soluzione stabile
che prevenga i conflitti e sia in grado di risolverli. Nel pieno
della seconda guerra mondiale fu progettato l’ONU come sede di
prevenzione e regolazione dei conflitti. Un grande sogno che trovò
le forme di realizzazione che conosciamo. Ora il problema da
risolvere è di pari livello. Basta pensare all’irrisolto problema
di come svolgere il ruolo di polizia internazionale, di
interposizione, che ha bisogno di forza reale per non fallire come
a Sarajevo.
Da una tragedia si esce solo se si reagisce al meglio delle idee e
delle scelte per correggere la deriva in atto. Altrimenti rischiamo
di vedere tempi molto bui.