Il numero dei senatori per la richiesta del referendum costituzionale è stato faticosamente e confusamente raggiunto. Ora, vedremo cosa accadrà. In attesa è bene parlare della questione. Quando c’è una proposta di revisione della Costituzione l’unica cosa certamente sbagliata è non parlarne. Ben venga dunque la cosnultazione popolare che attiva una discussione di massa. Noi che abbiamo sempre stimolato la riflessione su questi temi offriamo oggi due contributi sul tema, uno di Gaetano Azzariti, autorevole costituzionaista, ed uno di Alfiero Grandi, vice presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale, duq personalità della sinistra sempre impegnate nella battaglia in difesa della Carta.
Referendum, la trappola del Sì o No sul numero dei parlamentaridi Gaetano Azzariti
Il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, se ci
sarà, visto il balletto delle firme, sarà una trappola. Ci si
chiederà di scegliere tra questo Parlamento umiliato e chi vuole
ridurlo ancor peggio. E non avremo molto spazio per far valere le
nostre ragioni.
È difficile infatti interloquire con chi ritiene che i problemi del
parlamentarismo oggi si possano ridurre al numero dei suoi membri.
Ci si attarderà a discutere con toni accesi e spreco di energie su
questioni irrisorie, mentre si avverte l’urgenza assoluta di
affrontare temi vitali per la democrazia parlamentare.
Così sentiremo politici irridenti sostenere le fatue ragioni della
necessità di risparmiare sui costi della democrazia o la moralità
di tagliare “poltrone”. I più sofisticati ricorderanno come queste
motivazioni ripetute a suffragio della bontà della riforma sono
false e rivelano anche una cattiva coscienza. Ma intanto ci avranno
costretto a perdere tempo, mentre monta la marea.
Che i mali del Parlamento siano altri è ben noto a tutti, in primo
luogo a chi, politici e giornalisti, si confronta sul nulla nei
dibattiti televisivi. Eppure basterebbe che qualcuno affermasse ciò
che è già evidente per smontare il castello di carte, basterebbe
affermare che non sono i numeri a determinare la crisi del
Parlamento, ben più complesso e profondo è il collasso nel quale
siamo immersi. Basterebbe avere il coraggio di dire-il-vero
(parresia), che è il modo migliore per il governo di sé e degli
altri. Una lezione dimenticata.
E allora elenchiamoli alcuni dei veri problemi e cominciamo col
dire che il Parlamento non è in crisi per un problema di numeri.
Essi sono solo una variabile dipendente, che dovrebbero essere
determinati con riferimento alle effettive funzioni esercitate.
Questo è il vero problema del Parlamento italiano che ha perduto il
suo ruolo autonomo nell’ambito del complessivo assetto dei poteri.
Negli Stati Uniti il Senato è composto da 100 membri, il
Inghilterra la Camera dei Comuni da 650, in Germania il Bundestag
da oltre 700. La differenza con il Parlamento italiano è che in
quei paesi la discussione parlamentare ha un suo rilievo, i singoli
rappresentanti discutono, si assumono le responsabilità per cui
sono stati eletti e poi, responsabilmente, votano. Non hanno
vincoli di mandato, ma sanno bene che – oltre che al partito di
appartenenza – dovranno rispondere politicamente agli elettori.
Basta pensare al ruolo determinante (anche dal punto di vista
spettacolare) esercitato della Camera dei Comuni che in tutta la
vicenda della Brexit ha dettato l’agenda, confrontandosi senza
alcun timore reverenziale con il Governo. Per non dire del
Congresso degli Stati Uniti (435 membri) che non ha avuto remore
nel porre sotto accusa il Presidente eletto Trump, sospettato di
avere abusato dei propri poteri. Non voglio generalizzare e so bene
che i rapporti tra Parlamento e Governo sono diversi da paese a
paese, dipendendo dalla forma di governo adottata e delle diverse
tradizioni nazionali. Mi sembra però di poter tranquillamente
affermare che nessuna democrazia occidentale si sia spinta così
avanti nel processo di ghettizzazione dell’organo della
rappresentanza popolare, posto ai margini della complessiva
dinamica politica e privato di voce autonoma.
Nel Parlamento italiano, infatti, non si discute più, né si decide
autonomamente alcunché. Alcune recenti vicende lo hanno mostrato
con esemplare evidenza. Sono anni, gli ultimi due in modo
sfacciato, che si assiste alla farsa di una legge finanziaria
approvata ma non discussa, in realtà neppure conosciuta dai membri
del Parlamento che votano ad occhi chiusi subendo l’umiliazione più
grande, in violazione non solo della costituzione (prima o poi la
Consulta lo attesterà) ma della stessa loro dignità. Se si seguita
di questo passo ben poco importa che a votare siano in 630 o in
400, in ogni caso tutti voti a perdere.
Così nei casi in cui una Camera è chiamata a decidere sulla
responsabilità dei ministri. Ciò che più dimostra la perdita del
ruolo costituzionale del Parlamento è l’assoluta dipendenza delle
decisioni assunte dagli equilibri altrove definiti, essenzialmente
in sede di Governo. Se Salvini abbia abusato dei suoi poteri, non
sarà accertato dalla giunta per le autorizzazioni, ma dalle
valutazioni extraparlamentari e di convenienza del Governo. Così è
stato nel caso Diciotti, così sarà – magari con esito diverso – nel
caso Gregoretti. “Farò le mie verifiche” ha dichiarato il
Presidente Conte e da queste dipenderà la decisione del Parlamento
che non potrà fare altro che adeguarsi.
Altri innumerevoli esempi potrebbero essere richiamati per
dimostrare l’inconsistenza parlamentare, la sua perdita di peso.
Chiunque conosce il funzionamento delle Camere sa bene come ormai
l’intera attività delle commissioni così come dell’aula è posta al
servizio del Governo che detta l’agenda senza lasciare nessuna
autonomia ai lavori dei parlamentari. Certo in questa prospettiva
può ben dirsi che il numero dei parlamentari sia irrilevante.
Rinunciando in tal modo però a porsi il reale problema della crisi
del Parlamento ridotto ad ente privo di un suo ruolo autonomo. Ma è
proprio da qui – dalla ridefinizione del ruolo costituzionale del
Parlamento – che si dovrebbe partire se si volessero realmente
affrontare i problemi che affliggono la nostra stressata democrazia
parlamentare.
L’attuale legislatura era iniziata con un gran bel discorso del
presidente, allora neoeletto, Fico, il quale con serena
determinazione e chiarezza d’idee aveva individuato alcuni problemi
reali ed aveva proposto misure di natura organizzativa importanti
per cercare di recuperare una dignità alla funzione parlamentare.
Nulla è stato fatto e il Parlamento ha proseguito nel suo lento
declino. Ora fallita ogni prospettiva di seria riforma si gioca
alla lotteria dei numeri. Peccato che nessuno vincerà. Non è una
questione di numeri.
*****
Il taglio del numero non cambia un parlamento di nominati
Alfiero Grandi
Ho letto con interesse l’articolo di Azzariti sul referendum sul
taglio dei parlamentari. Gaetano come sempre offre spunti di
valutazione interessanti. Anzitutto l’esigenza di discutere del
ruolo del parlamento oggi che come sappiamo è ridotto ai minimi
termini.
Il parlamento oggi non gode di grande considerazione per diverse
ragioni e troppi trovano comodo scaricare la crisi più profonda tra
cittadini e istituzioni sui senatori e sui deputati, sostenendo
come un passo importante avanti ridurli di numero (-37%).
Ha ragione Gaetano, la situazione è peggiorata nel tempo fino a
“costringere” ad approvare le leggi di bilancio non solo senza un
esame degno di questo nome ma senza avere il tempo di leggere i
testi.
Sembra una logica conseguenza: se non servono tagliamone il numero
così risparmiamo.
Il problema è che dopo l’eventuale taglio il parlamento non sarà
migliorato di una virgola.
Alcune ragioni della crisi del parlamento sono i decreti legge di
governi che arrivano all’ultimo minuto perchè è più comodo proporre
testi di legge che entro 60 giorni debbono essere approvati, i voti
di fiducia a mitraglia “obbligano” ad approvare i testi,
parlamentari che escono dal coro degli yes men sono considerati un
disturbo. Perchè ?
Quando nel 2001 sono stato eletto alla Camera nel collegio di Borgo
Panigale il rapporto con gli elettori era possibile, con l’aiuto
dei partiti e delle associazioni sul territorio. E’ stata l’ultima
volta, in seguito l’elezione è avvenuta su liste il cui ordine
decideva chi sarebbe stato eletti e i partiti sono diventati sempre
più personali, lo conferma il nome nel simbolo che molti
sostenevano essere illegale. Così si è arrivati ai parlamentari
nominati dall’alto. Se poi l’alto è uno o poco più il gioco è
fatto, i parlamentari debbono rispondere a chi li fa eleggere non
agli elettori.
Purtroppo un parlamento di nominati dall’alto è di qualità
inferiore di quello composto da personalità della cultura, della
società. In più i partiti sono oggi creature indefinibili,
dipendono spesso dal capo e non sono in grado di selezionare.
Selezionare vuol dire anche decidere che si propone di eleggere una
personalità autonoma perchè si ritiene possa valorizzare il lavoro
parlamentare.
Paradossalmente il parlamento dovrebbe essere un’arena difficile in
cui il governo si impegna a trovare le soluzioni, a cambiare le sue
idee in campo aperto. E’ un lavoro complesso e infatti da tempo ha
prevalso l’opinione che occorre garantire anzitutto la
governabilità, così il governo sa che il parlamento accoglie le sue
proposte senza troppe difficoltà. La velocità in cambio della
qualità, della visione lunga. Il risultato è un disastro.
Gradualmente è stato intaccato il ruolo del parlamento e i
parlamentari hanno dato un contributo quando hanno rinunciato alla
battaglia politica per il piatto di lenticchie della riconferma
garantita dai capi. Tanto gli elettori non hanno voce in capitolo,
possono solo votare la lista: chi verrà eletto lo decidono i
capi.
Rodotà decenni fa propose di ridurre il numero dei parlamentari
lasciando solo la Camera dei deputati, altri hanno proposto di
trasformare il Senato in Camera delle regioni (nulla a che fare con
il pasticcio del 2016) ma tutti avevano al centro il rilancio del
ruolo del parlamento adottando altre misure di garanzia.
La prima garanzia è una legge elettorale proporzionale senza soglia
e con la certezza per gli elettori di potere scegliere il loro
rappresentante.
Se Di Maio si presenta con ridicole forbici di cartone per tagliare
le poltrone mette in ridicolo il parlamento e se con un’azione
discutibile la nuova maggioranza dimostra di attribuire così poca
importanza al ruolo del parlamento da capovolgere la posizione
(almeno le sinistre) dal No al Si, il quadro che ne deriva è
sconfortante ed è certo che il parlamento pagherà il prezzo
politico e istituzionale più alto, anche di altri attori politici e
istituzionali.
A nessuno piace dovere affrontare un tema complesso con un si o con
un no, ma il ruolo del parlamento nella nostra Costituzione è
centrale. Se si incrina, o peggio, la Costituzione entra in
sofferenza.
Gaetano ha ricordato gli Usa, in quel sistema parlamento e
Presidente (esecutivo) sono eletti in modo distinto e questo
bilancia i poteri.
Democrazia è che nessuno può decidere da solo, nè può chiedere i
pieni poteri. La nostra democrazia ha un pilastro nel parlamento,
se non funziona o è dileggiato è un problema di tutti.
Per questo è necessario sottoporre agli elettori la questione e
farli decidere. Se ci sarà il referendum male non può fare e forse
farà bene se si parlerà del ruolo del parlamento, dei partiti, del
governo, della democrazia, dei suoi difetti, dei rimedi.
Se non ci fosse la decisione del taglio dei parlamentari non ci
sarebbe referendum, ma visto che c’è e per non fare la fine
dell’articolo 81 meglio votare, sarà comunque un’occasione per
discutere della nostra democrazia e dei suoi difetti.
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