Amsicora
Non so a voi, ma a me in questi giorni capita spesso di ricevere
telefonate di vecchi compagni ed amici. Si vede che sono stufi di
stare chiusi in casa con la moglie, che non parla o li
cazzia, e mi raccontano le cose più diverse, talvolta curiose. A me
non me ne può fregar de meno. Magari sto leggendo e mi distraggono.
Ma cosa faccio, chiudo il telefono? Sono persone con le quali,
negli anni verdi, ho condiviso molte cose, pensavamo di cambiare il
mondo, che dopo di noi niente sarebbe rimasto come prima. Ed ora
che siamo cresciuti e abbiamo capito di avere perso malamente, che
faccio? Dico che delle vecchie storie non m’interessa più nulla,
che preferisco leggere un libro che sentire le loro lacrimevoli
memorie?
Ma lasciamo le inutili premesse. Poco fa mi ha chiamato un vecchio
compagno del liceo, Peppeto da Iglesias. “Amsicora! che bello
sentirti” e poi i soliti convenevoli: “ti ricordi di
qui“; “bei tempi di là”, “certo che noi non
eravamo fermi e zitti come i giovani di oggi” e via dicendo, e
io “certo, quelli sì che erano giorni!“, oppure
“eravamo svegli e cazzuti, non addormentat e arrendevoli come i
ragazzi di oggi” e bla, bla, bla. Poi Peppeto arriva al
dunque. “Amsicora, senti c’erano tre…“. Minchia! Ci siamo,
questo mi racconta la storiella del milanese grande e grosso, del
calabrese piccolo e mingherlino e del sardo basso e tozzo.
“Amsicora, questi tre…“; già prevedo il seguito: il
milanse polentone se la prende col calabrese mingherlino, lo
molesta e poi minaccia di menarlo. Si avvicina con arroganza a quel
ragazzo indifeso…ed Efisinu, il sardo sempre dalla parte dei
deboli, irrompe: “te la prendi con lui…che non ti ha
cercato…perché non te la prendi con me! “. E il polentone, con
aria divertita: “Ah, ah, sardignolo mezza sega, ti metto un
dito…”, “ma non fa in tempo a continuare che Fisinu lo parte di
testa e lo butta a terra come un sacco di patate…“.
Mentre sono assorto in questa previsione mentale, Peppeto mi grida:
“Amsicora ci sei?, Mi senti?”. “Sì, ci sono”,
rispondo. E lui riprende:”Senti, al parco vicino a casa
eravamo in tre a fare una passeggiata, non insieme, naturalmente.
Davanti a me, a distanza, c’era un vecchio signore con la nipotina,
un amore, la portava a passeggio. Ecco che un vigile urbano lo
ferma e inizia a chiedergli la ragione della sua presenza lì con la
bambina, anziché rimanere a casa. Mentre fa il cazziatone al
nonnino, ecco che passa una bella ragazza con un cane bianco al
guinzaglio. Fra me e me ho pensato, ora la cazzia malamente, se
cazzia il vecchio con la bambina, immaginiamoci la giovane col
cane! Mi pregustavo la scena e, invece…”. “Invece?”, chiedo,
simulando ansia. “E invece - prosegue -, vedendo
il cane, la saluta quasi con riverenza e neanche la ferma, e si
avventa minaccioso su di me”. “E lei che fa qui, perché
non è a casa?”, con tono canzonatorio, e già si preparava a
redarguirmi o a multarmi. Ed io, come ai vecchi tempi, l’ho
fregato…“. “L’hai dribblato? Eccezionale! -
intervengo io, per far vedere che la storia mi interessava. “E
come hai fatto?“, chiedo, fingendo d’essere curioso. “Gli
ho detto che ero uscito col cane, e che l’animale mi era sfuggito
d’improvviso e lo stavo cercando. E il vigile…“. “E
il vigile che fa?, chiedo io. “Il vigile mi fa il segno di
andare. Veloce! mi dice, se no, non lo acchiappa. E
così l’ho fatta franca! Che te ne pare?“- Ed io: “E bravo
Peppeto, micca male, lo hai ben fregato! Come ai vecchi tempi!
Ricordi quando al liceo abbiamo organizzato lo sciopero per il
riscaldamento?”. E Peppeto ringalluzzito: “Bei tempi e
come no? Il preside all’indomani ci chiamò ed era pronto a metterci
una nota perché ci aveva visto arringare i nostri compagni
e noi, candidamente: “è vero, signor preside, noi abbiamo arringato
i nostri compagni, ma non per star fuori e saltare le lezioni,
bensì per entrare in classe!“. “E il preside, che dalla
finestra del suo ufficio ci aveva visto agitarci e parlare da un
muretto agli studenti, ma non aveva sentito le nostre parole, per
la lontananza, è rimasto incerto e perplesso. Nel dubbio non ci ha
cazziato nè sospeso“.
E Peppeto riprende, con la solita solfa dei bei tempi e simili. E
io: “tu hai perso il pelo (ora è quasi calvo, allora era
capellone), ma non il vizio. A te nessuno ti metteva nel sacco
allora e neanche oggi. Eri una volpe! Sei sempre
una faina!“. E lui prosegue per un altro bel po’, prima di
salutarmi. Uff, che palle! Non so come sgregarlo. Eppure - confesso
- sentire Peppeto mi ha fatto piacere. Che bello riparlare con
questi vecchi compagnetti delle prime, ingenue battaglie al
liceo. Bah, forse mi sto rincoglionendo anch’io, con questi
sentimentalismi…allora ci atteggiavamo a duri e puri, tutti d’un
pezzo…
- SARDA NEWS -
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