Alfiero Grandi
Sembrano argomenti distinti ma in realtà hanno un rapporto molto stretto. La pandemia ha impresso una velocità impressionante ai cambiamenti. Non siamo fuori dalla pandemia. I dati tuttora dimostrano che il numero dei morti e dei contagiati è ancora impressionante. Pesa un’incertezza di fondo. Non si tratta di una pausa e dopo non si tornerà alla vita precedente. E’ incerto se verranno trovati sistemi di cura in grado di combattere efficacemente l’infezione e vaccini in grado di prevenirne la diffusione. Sperimentazioni sono in corso, tuttavia per ora sono lodevoli iniziative, che accendono speranze. Nei rivolgimenti di fondo si mettono in moto meccanismi prima inesistenti, cambiano orientamenti, comportamenti, valutazioni. Si delineano pericoli e si aprono opportunità prima impensabili.
In altre parole è in corso un cambiamento epocale.
La sinistra alla ricerca di sé stessa finora non ha offerto
grandi risultati. Confederare in qualche modo i vertici (l’elenco
dei tentativi falliti è senza fine) ? O partire dal basso ? Anche
questa via non ha dato grandi risultati, non a caso si accompagna
alla convinzione che qualcuno sia l’interprete autentico del
percorso. La pandemia, con i suoi problemi irrisolti, lancia una
sfida di fondo alla sinistra e pretende risposte radicali, sulla
vita, sulla sua salvaguardia. Da una iattura umana e sociale
come la pandemia viene una spinta poderosa e occorre dare risposte,
ad esempio quale sistema di cura è indispensabile per garantire a
tutti la cura della salute, un diritto costituzionale centrale.
Dietro la formula dell’immunità di gregge, di ascendenza
malthusiana, si intravvede una differenza di classe e di reddito
tra chi verrà curato e chi no, tendenzialmente condannato a
soccombere. Al contrario, la risposta alla pandemia, grazie agli
operatori sanitari, si è rifatta alle migliori tradizioni di
solidarietà e di umanità cristallizzate nella riforma del 1978 che
istituì il Sistema sanitario nazionale, dove erano centrali i
termini nazionale e sanitario, prevedendo che nel territorio
italiano hanno tutti diritto ad essere curati. In parallelo al
diritto costituzionale all’istruzione. Il termine sanitario,
riferito al SSN, ha il compito di garantire a tutti la salvaguardia
della salute, qualcosa di più della cura, aprendo la strada alla
prevenzione e alla costruzione di un rapporto equilibrato tra il
presidio ospedaliero e il territorio. Non a caso troppi morti
sono dovuti al cedimento, soprattutto in Lombardia, di una sinergia
tra ospedale e territorio perché i contagiati confinati in casa
erano abbandonati a sé stessi, dopo l’indebolimento della sanità
nel territorio, teorizzata da Giorgetti pubblicamente, per di più
mandando i medici di famiglia senza protezione a morire
infettati.
I punti dolenti della reazione alla pandemia sono quelli di
indebolimento del servizio sanitario nazionale e anzitutto la crisi
del rapporto tra ospedale e territorio. In Lombardia poi è emerso
con chiarezza che la gestione da Formigoni ad oggi ha creato uno
squilibrio a scapito del settore pubblico e a favore del privato,
che riceve il 40 % delle risorse ma ha brillato per l’assenza nella
lotta alla pandemia, da qui ha origine il dramma del ricovero di
infettati nelle case di riposo. Solo dopo un tardivo
intervento della regione, qualche terapia intensiva è saltata fuori
anche nel privato, in quantità irrilevanti rispetto al carico sul
pubblico. E’ la conferma che il ruolo pubblico è fondamentale, per
le emergenze e per gli interventi, mentre i privati preferiscono le
attività tranquille e lucrative. E’ evidente che siamo arrivati
alla graduale formazione di 20 sistemi sanitari regionali diversi
tra loro. Addirittura la Lega ha aperto un fronte per l’autonomia
regionale differenziata. Proposta partita da Lombardia e Veneto che
ha trovato una versione più contenuta ma non più accettabile in
Emilia Romagna, a cui sono seguiti altri accodamenti. La Lega
sovranista di Salvini paga un tributo pesante alla linea
secessionista della Lega delle origini. Le sinistre non sono state
capaci di scegliere questo terreno per mettere in evidenza la
contraddizione tra il localismo estremista della Lega nord e la
vocazione sovranista di Salvini. Anche il governo Conte 2 ha
continuato a preparare l’attuazione di questa proposta, in termini
diversi ma sempre verso un’autonomia regionale differenziata.
Certo, la riforma del titolo V del 2001 è stata un errore, ma gli errori vanno corretti non attuati. Se fosse già stata attuata l’autonomia regionale differenziata avremmo avuto difficoltà insormontabili nel fronteggiare la pandemia. A questo punto c’è un prima pandemia e un dopo. L’autonomia regionale differenziata va semplicemente archiviata e si deve aprire una discussione in parlamento per rivedere il titolo V, con la netta priorità di ricostruire un sistema sanitario nazionale, con regole da rispettare, iniziative di solidarietà dalle zone più forti verso le zone più deboli. Occorre scrivere con chiarezza che c’è una supremazia nazionale, a partire dagli obiettivi da raggiungere, e il ruolo delle regioni deve restare in questo ambito. Un ritorno al SSN del 1978 forse non è percorribile, ma neppure è tollerabile la confusione, la sovrapposizione, la polemica continua come è avvenuto in modo stucchevole durante questa emergenza. E’ ridicolo che il commissariamento della sanità avvenga per fare tornare i conti ma non per fare rispettare il cuore del problema. Purtroppo la sanità è stata uno dei bancomat usati per l’austerità, 37 miliardi in meno in 10 anni. I posti letto in Italia sono al livello più basso in Europa, le terapie intensive erano meno di 5000 all’inizio della pandemia, mentre la Germania ne aveva 28000. Occorre ribaltare la situazione. Prima viene la salute, diritto di rango costituzionale. Ne deve conseguire una legislazione che preveda quanto è necessario per i sistemi di cura, partendo dal territorio e dalla prevenzione, riconnettendo il territorio con l’ospedale e questo con la riabilitazione. Per troppo tempo è stato accettato un ridimensionamento che ha creato deficit di personale insopportabili. Troppi sono stati condannati a cercare cure altrove, lontano.
Sono stati errori di fondo, da correggere con determinazione.
Errori per subalternità all’austerità e perché lo slittamento verso il privato è diventato sempre più forte, con un peso crescente delle varie forme assicurative che hanno fatto da traino alla crescita del privato. Una forza di pressione enorme. Nella sanità è in corso la penetrazione di gruppi finanziari e di università americane che acquistano cliniche. Non è un processo evidente perché sono strutture già esistenti che mantengono il nome, spesso religioso, ma costituiscono un altro potente motore verso la privatizzazione. I capitali del settore avvertono che l’Italia ha una crisi di identità e puntano a spostare la sanità italiana verso gli Usa. Le deficienze del pubblico favoriscono la spesa dei privati che è ormai 1/3 di tutta la spesa sanitaria. La pandemia obbliga tutti a un ripensamento strategico, in grado di garantire un’assistenza sanitaria adeguata per tutti e non costruita per classi e ricchezza, altrimenti, come negli Usa, il futuro vedrà una parte rilevante delle persone condannate alla marginalità. È urgente un progetto fondato sul ruolo del sistema pubblico, che ha bisogno di ritrovare il senso della suo ruolo, possibile proprio grazie ai medici, agli infermieri, al resto del personale sanitario che ha garantito una risposta di alto livello, pagando un prezzo inaccettabile perché non messo in condizioni di sicurezza.
Occorre un finanziamento adeguato a garantire un diritto fondamentale, come deve avvenire anche per l’istruzione.
La pandemia può essere la premessa per una selezione classista, per emarginare una parte della società, come avviene negli Usa, oppure per un rilancio consapevole di una società solidale. Anche in altri settori torna con forza la richiesta di un ruolo pubblico. Le sinistre possono ritrovarsi nella battaglia per dare un futuro al sistema sanitario nazionale pubblico, premessa per ritrovare in questa grande sfida le ragioni della propria esistenza, indicando con chiarezza un disegno di futuro. Senza sottovalutare il peso di un rientro nel nostro paese, o la costruzione ex novo, delle produzioni strategiche per affrontare crisi acute. In altre parole il sistema sanitario pubblico può trainare la riconversione indispensabile per garantire l’autonomia del nostro paese. Partire dalla sanità, continuare con la scuola, con la guida della riconversione dell’economia, proponendo un ruolo pubblico quale asse centrale dello sviluppo. Basta pensare al ruolo della Cdp o della Sace o all’attribuzione al Tesoro di quote crescenti di partecipazioni azionarie e perfino all’uso della golden share nelle aziende di interesse nazionale. Tutto questo ha bisogno di una sede unitaria di governo. La pandemia e la crisi in cui siamo immersi possono essere una grande occasione per chiudere una fase fin troppo lunga di subalternità al pensiero unico oppure può spingere ad una ulteriore divisione sociale. Quante stupidaggini sono sembrate vere e accettate come verità. È l’occasione per una ribellione di pensiero, intesa come progetto per un cambiamento di fondo della situazione esistente. Non un ritorno all’antico ma un movimento forte verso la costruzione del futuro. In questo le sinistre possono trovare una ragione per esistere o perdersi, partendo dal diritto alla salute.
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