Andrea Pubusa
Dunque anche il referendum è stato sospeso, a data da
destinarsi. Sembra cosa da poco, ma non lo è. Per la prima volta
nella vita repubblicana viene sospesa una consultazione elettorale,
che è un momento centrale della vita democratica. Non solo, è stata
sospesa perché sono state vietate tutte le manifestazioni che
caratterizzano la democrazia: assemblee, incontri, riunioni. Anche
i luoghi dove le persone si incontrano e solitamente si aggregano,
scuole, fabbriche e uffici sono stati oggetti di provvedimenti
restrittivi. Certo, la salute va salvaguardata, sta sopra ogni
altra cosa, è un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), ma non si
può negare che siamo in piena emergenza non solo sanitaria, ma
anche democratica. Lo si voglia ammettere o menio, siamo in uno
stato di eccezione.
Senza allarmismi, si può affermare che il governo in carica non
pone alcun problema sotto il profilo dell’affidabilità democratica
e che quindi dobbiamo star tranquilli; c’è poi a custodia della
Carta il presidente della Repubblica. Tuttavia la questione esiste
e costituisce un precedente, che - come si sa - sulle
questioni costituzionali è assai rilevante per i casi analoghi
futuri. Nei giorni scrosi sono sorte frizioni fra governo centrale
e regioni, che si ricordi hanno un’autonomia costituzionalmente
garantita e dunque incomprimibile,
La fotografia è questa: sono sospese tutte le libertà democratiche,
compresa quella elettorale, ed è paralizzata qualunque azione
collettiva di conrollo, di mobilitazione o di contrasto. Le
autonomie locali sono viste come un possibile intralcio.
Ora per il referendum poco male, rimane in vigore il testo
costituzionale attuale, ma se questa situazione si ripetesse alla
scadenza elettorale generale, che si fa? Rimane in funzione
sine die il parlamento in carica e il relativo
governo? Si forma un governo di unità nazionale? Si fanno -
nonostante tutto - le elezioni? Come si vede, i quesiti sono tanti
e di non poco momento.
Stiamo assistendo ad un evento non previsto dalle leggi e dalla
Costituzione. E’ una situazione nuova su cui, tuttavia, senza
precipitazione, occorre riflettere, e non astrattamente, ma per
disciplinarla, senza l’assilo e le spinte dell’urgenza. Si tratta
di una materiaa che richiede una normazione di rango quantomeno
subcostituzionale, che in modo chiaro deve salvaguardare il quadro
e le prerogative costituzionali in caso di eventi
straordinari che mettono in pericolo la salute e la vita delle
persone.
Si tratta di decidere anzitutto organi e procedure.
Una situazione del genere andrebbe formalmente dichiarata. Nelle
forme dell’art. 78 sullo stato di guerra? Dovrebbero essere le due
Camere a dichiarare il pericolo sanitario e a conferire al
governo dei poteri necessari? E nel far questo occorre stare molto
attenti a non scivolare nella possibilità di dichiarare uno
stato di eccezione anche al di fuori delle esigene
strettamente sanitarie. E in questo caso si possono prorogare le
camere con legge, come prevede l’art. 60 in caso di guerra?
Com’e’ noto, l’Assemblea costituente non ha dato ingresso nel
nostro ordinamento alla possibilità di dichiarare lo stato di
eccezione, ritenendo - saggiamente - che le libertà si difendono
con l’esercizio delle libertà stesse e non con la loro sospensione.
Dobbiamo far così anche per le emergenze sanitarie come questa o
altre che potranno presentarsi? Pensiamo ad un’emergenza
nucleare.
Forse è meglio lasciare le cose come stanno. Ma non si può certo
lasciare che sia il governo, senza alcun voto parlamentare o senza
una partecipazione delle minoranze a decidere su questioni che di
fatto limitano l’esercizio delle libertà. Bisogna quantomeno
stabilire procedure, largamente partecipate a garanzia che le
restrizioni siano giustifiate solo e soltanto dal superiore
interesse alla tutela della salute.
Insomma, c’è molto da riflettere e discutere. L’unica cosa che non
s’ha da fare è negare che il problema esiste.
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