Domenico Gallo
L’Europa ha bisogno che si ponga fine alla guerra in
Ucraina. Gli Stati Uniti hanno interesse a che la guerra continui
per isolare la Russia e mantenere l’Europa nella loro sfera
d’influenza. La presenza di Biden al Consiglio europeo del 24-25
marzo è un segnale univoco della rinuncia dell’Europa, sempre più
schiacciata sulla NATO, ad assumere una soggettività politica
autonoma.
Siamo arrivati al trentesimo giorno di guerra. Ogni giorno che
passa crescono la violenza, la disumanità, il dolore. Il conflitto
si avvita su se stesso e semina giacimenti di odio che in futuro
sarà molto difficile prosciugare. Adesso è sotto assedio anche una
città splendida come Odessa che, in passato, ha avuto un rapporto
strettissimo con l’Italia. Basti pensare che nel secolo
diciannovesimo l’italiano era la seconda lingua ufficiale: non a
caso la più famosa canzone napoletana di tutti i tempi, “O’ sole
mio”, venne scritta da Eduardo di Capua nel 1898 proprio a Odessa.
Purtroppo il “sole nostro” in questo momento è oscurato da una nube
nera che grava sull’Europa intera e sui nostri cuori. Ogni giorno
che passa cresce la possibilità di un’escalation incontrollabile
del conflitto. Se nel teatro ucraino sono le armi che intonano
il lugubre canto di guerra, negli USA e in Europa è la politica che
parla il linguaggio della guerra e diffonde l’isteria bellica
nella società e nelle istituzioni, arruolando l’opinione pubblica
per partecipare ad un conflitto – per adesso ancora figurativo –
contro il nemico esterno.
Giovedì il Presidente americano Biden è venuto a Bruxelles per
partecipare non solo al vertice straordinario della NATO e al G7
straordinario convocato dalla Germania, ma anche al Consiglio
europeo, convocato per il 24 e 25 marzo, per una discussione sul
sostegno all’Ucraina e al suo popolo e sul rafforzamento della
cooperazione transatlantica in risposta all’aggressione
russa. Il Consiglio europeo è la massima istituzione dell’UE
che definisce priorità e orientamenti politici generali dell’Unione
europea. Il fatto che vi partecipi il Presidente degli Stati Uniti
a dettare la linea all’Unione Europea non può che inquietarci. In
realtà la presenza di Biden in quel consesso rafforza lo
schiacciamento dell’UE sulla NATO, che nel suo vertice
straordinario ha deciso di schierare quattro nuovi gruppi di
battaglia in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia e di
rafforzare la sua postura in tutti i campi (terra, aria, mare,
spazio e cyberspazio), continuando a fornire ulteriori aiuti
militari all’Ucraina. Secondo gli USA, Il vertice trans-atlantico
sarà l’occasione per rilanciare l’immagine di una alleanza tra Nato
e Unione europea che procede nella massima unità, e che si
contrappone a Mosca senza distinguo al suo interno. In realtà dei
distinguo andrebbero fatti perché gli interessi europei e americani
sono obiettivamente divergenti, se non antitetici.
L’Europa ha bisogno che si ponga fine immediatamente alla guerra;
gli Stati Uniti, invece, vogliono che la guerra continui (anche se
per procura) per indebolire, fiaccare e isolare la Russia e
mantenere tutta l’Europa strettamente nella loro sfera d’influenza.
Il fatto che l’offensiva militare russa – secondo il Pentagono – si
sarebbe impantanata per la notevole capacità di resistenza delle
forze armate ucraine, rende concreta la tentazione per gli USA di
uno scenario tipo Afganistan nel cuore dell’Europa e scoraggia ogni
trattativa di pace. Ha osservato Barbara Spinelli: «Per l’Europa e
l’Italia il proseguimento bellico è una sciagura, sia che Putin
perda sia che vinca. Avranno un caos che durerà decenni ai confini
orientali. E se l’Ucraina entra nell’Unione gli equilibri si
sbilanceranno a Est ancor più di quanto già lo siano, da quando
l’UE ha incorporato Paesi più interessati alla Nato che all’Europa
(soprattutto Polonia e Baltici)» (Il Fatto Quotidiano, 21 marzo
2022). A dire il vero gli effetti negativi della guerra, come
l’ondata dei profughi, si abbattono sull’Europa ma non hanno
nessuna incidenza sugli Stati Uniti. La restrizione o
l’interruzione dei rubinetti del gas della Russia danneggerà
l’Europa ma avvantaggerà gli Stati Uniti, che potranno venderci il
loro gas molto più costoso; le sanzioni commerciali alla Russia
hanno un’immediata ricaduta negativa sull’economia degli Stati
europei, ma costituiscono un’occasione di crescita per l’economia
USA; il riarmo dell’Europa sarà un affare colossale per il
complesso militare industriale americano, ma non gioverà ai sistemi
di sicurezza sociale europei. Il prosieguo delle sanzioni dopo la
guerra nuocerà all’Europa ma gioverà agli USA.
L’Europa che indossa l’elmetto e si infogna in
una semiguerra con la Russia fino al punto da rischiare
lo scontro diretto con una potenza nucleare ha deciso di sparire
come potenza politica, annullandosi nella NATO. In questo modo si
avvia inconsapevolmente sulla strada del suicidio, rinunciando a
tutelare i bisogni e gli interessi fondamentali dei suoi
cittadini.
Invece l’Europa, esigendo la fine immediata delle ostilità,
dovrebbe aprire una trattativa con la Russia che preveda la
costruzione nel medio termine di un sistema comune di sicurezza,
indipendente dalle strategie Usa, fondato sulla riduzione reciproca
e concordata degli armamenti e la normalizzazione delle relazioni
commerciali e politiche, col ritiro delle sanzioni. In questo
contesto dovrebbe essere garantita la neutralità dell’Ucraina e
avviato un programma di investimenti per la ricostruzione
post-bellica. Limitarsi a dire che «Putin non vuole la pace»,
come ha fatto Draghi, dopo il collegamento di Zelenski con il
Parlamento italiano, è una dichiarazione di impotenza che riflette
la drammatica assenza di iniziativa politica dell’Italia e dell’UE.
Offrire soltanto minacce rispecchia la teologia politica della
Nato, non i nostri interessi. Ma, quel che è più grave, non fa
avanzare di un centimetro la causa della pace.
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