Andrea Pubusa
La Rwm di
Domusnovas
C’è chi lascia intendere che la
esportazione di ordigni nell’Arabia saudita sia una decisione
discrezionale del solo governo. In realtà è imposta dalla
legge italiana, da trattati e dalle risoluzioni internazionali. Gli
oltransisti pro bombe hanno in passato scartato la “riconversione”,
auspicata dai comitati pacifisti, proponendo di far diventare la
fabbrica di Domusnovas strategica per l’industria bellica
nazionale, indipendentemente dalle esportazioni per il Medio
Oriente. Poi hanno favoleggiato e favoleggiano sinistramente di
proseguire la produzione di bombe per lo stoccaggio in Italia o in
Europa. E così, hanno perso tempo prezioso a tutto danno dei
lavoratori e delle loro famiglie, che - a parole - dicono di voler
difendere. Ora la RWM annuncia un ricorso al Tar.
Ma sanno costoro di cosa parlano? Hanno contezza del quadro
giuridico e politico in cui si muovono?
Ne abbiamo già parlato, ma coi testoni repetita juvant
dicevano i saggi d’altri tempo. Riassumiamo. Il ridimensionamento
della RWM era largamente prevedibile, poiché la destinazione della
produzione (bombe, non caramelle!) è da tempo vietata dalla
normazione interna e internazionale. Anzitutto dalla nostra
Costituzione (art. 11), della legge italiana 185/1990, che
proibisce esportazione e transito di armi “verso i Paesi i cui
governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni
internazionali in materia di diritti umani”, e dal Trattato
sul commercio delle armi dell’ONU del 2 aprile 2013 (Arms Trade
Treaty – ATT), ratificato dall’Italia come primo Paese UE. Ora, è
ben noto, che i dettami della Costituzione imprimono
all’ordinamento, al governo nazionale e regionale un indirizzo
inderogabile. L’art. 11 pone due enunciati fondamentali: a)
il ripudio della guerra come strumento di risoluzione di
controversie internazionali o di oppressione di altri popoli; b) la
costruzione di un ordinamento internazionale di “pace e giustizia”
fra le nazioni, anche a costo di veder limitata di propria
sovranità (”a parità di condizioni con gli altri stati”).
Sviluppando questo indirizzo, nel luglio 1990, dopo una
straordinaria mobilitazione della società civile “Contro i
mercanti di morte”, le Camere hanno approvato la legge n.
185/1990 “Nuove norme sul controllo dell’esportazione,
importazione e transito dei materiali di armamento“. La legge,
una tra le più restrittive a livello mondiale, introduce precisi
limiti: vietato vendere armi a Paesi in stato di conflitto armato,
a Paesi la cui politica contrasti col ripudio della guerra sancito
dalla nostra Costituzione, a Paesi sotto embargo delle forniture
belliche da parte delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, a
Paesi responsabili di accertate gravi violazioni alle Convenzioni
sui diritti umani, a Paesi che, ricevendo aiuti dall’Italia,
destinino al proprio bilancio militare risorse superiori alle
esigenze di difesa.
C’è di più, care assessore regionali, c’è l’Arms Trade Treaty –
ATT, il Trattato sul commercio delle armi, il primo strumento
giuridico di portata globale che stabilisce dei criteri per
l’autorizzazione (o proibizione) di trasferimenti di armi
convenzionali. Adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU il 2
aprile 2013, esso è entrato in vigore il 24 dicembre 2014, tre mesi
dopo il conseguimento delle 50 ratifiche necessarie e in un
processo eccezionalmente rapido. Primo nel suo genere, l’ATT
persegue due obiettivi principali: disciplinare o migliorare la
regolazione del commercio di armi convenzionali e prevenire /
eliminare il traffico illecito delle stesse, al fine di contribuire
alla sicurezza internazionale, ridurre sofferenze umane e
promuovere l’azione responsabile degli Stati in questo settore.
Senza dilungarci sul contenuto del Trattato si rinvia alla lettura
delle disposizioni contenute negli articoli 6 e 7, dalle quali si
desume il regime delle proibizioni in particolare all’uso per la
commissione di atti di genocidio, crimini contro l’umanità o
violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949.
L’Italia è stata il primo paese dell’Unione Europea a ratificare
l’ATT (settembre 2013), dunque, tutti siamo vincolati!
Ma non basta! Il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione il
4 ottobre 2018 sulla situazione nello Yemen, nella quale si
denuncia una grave crisi umanitaria tale da annoverare l’offensiva
della coalizione a guida saudita – sulla base di una relazione
dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani
dell’agosto 2018 fra i crimini di guerra. In particolare – si legge
nella Risoluzione - “nel giugno 2018, la coalizione guidata
dall’Arabia Saudita e dagli Emirati arabi uniti (EAU) ha avviato
un’offensiva volta a conquistare la città di Hodeida”, che “secondo
l’organizzazione Save the Children […] ha causato centinaia di
vittime tra i civili”. […] “Il 9 agosto 2018 un attacco aereo
sferrato dalla coalizione guidata dai sauditi ha colpito uno
scuolabus in un mercato nella provincia settentrionale di Saada,
uccidendo varie decine di persone tra cui almeno 40 bambini, la
maggior parte dei quali di età inferiore ai 10 anni”. “Due
settimane dopo, il 24 agosto, la coalizione guidata dai sauditi ha
lanciato un nuovo attacco in cui hanno perso la vita 27 civili, per
la maggior parte bambini, che stavano fuggendo dalle violenze nella
città assediata di Hodeida, nel sud del paese“; inoltre,
“la campagna guidata dai sauditi e gli intensi bombardamenti
aerei, compresi gli attacchi indiscriminati in zone densamente
popolate, aggravano l’impatto umanitario della guerra; che le leggi
di guerra vietano attacchi deliberati e indiscriminati contro i
civili e obiettivi civili quali scuole e ospedali“.[…].
“Alla luce delle conclusioni del gruppo di eminenti esperti
indipendenti internazionali e regionali, detti attacchi possono
costituire crimini di guerra e che le persone che li commettono
possono essere per tale motivo perseguite”. […] “Dal marzo 2015 più
di 2.500 bambini sono stati uccisi, oltre 3.500 sono stati mutilati
o feriti e un numero crescente di minori è stato reclutato dalle
forze armate sul campo; che le donne e i bambini risentono in modo
particolare delle ostilità in corso; che, secondo l’UNICEF, quasi
due milioni di bambini non sono scolarizzati, il che compromette il
futuro di un’intera generazione di bambini yemeniti come
conseguenza dell’accesso limitato o nullo all’istruzione, rendendo
tali bambini vulnerabili al reclutamento militare e alla violenza
sessuale e di genere“. Per queste ragioni, prosegue la
Risoluzione, “nell’agosto 2018 una relazione dell’Alto
commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha concluso che
vi sono ragionevoli motivi per ritenere che tutte le parti
implicate nel conflitto nello Yemen abbiano commesso crimini di
guerra”, giacché vengono utilizzate “armi pesanti in zone edificate
e densamente abitate, attaccando anche ospedali e altre strutture
non militari“.
“Crimini di guerra”, “crimini contro l’umanità”, roba da
tribunali internazionali! Parola non del Comitato per la
riconversione, no, no, parola di organismi internazionali. Bastano
queste citazioni per ipotizzare nell’esportazione di ordigni alla
Arabia saudita, compresi quelli fabbricati a Domusnovas, un
concorso nella consumazione di questi crimini.
Cosa si vuole di più per capire che l’idea di continuare a produrre
strumenti di morte non porta da nessuna parte? Che altro c’è da
sapere per comprendere che i 350 posti di lavoro della fabbrica di
Domusnovas verranno irrimediabilmente perduti se non si imbocca
rapidamente un’altra strada? Se non si avanza un serio progetto di
riconversione? Insistere nella produzione di bombe, inseguendo
altre vie, come quella fantasiosa di produrre per stoccare,
significa condannare lavoratori ad essere protagonisti di un film
drammatico molte volte visto. Il copione? La triste via degli
ammortizzatori e la perdita del lavoro.
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