Andrea Pubusa
Il referendum sul taglio dei
parlamentari[1], si terrà il 29 marzo.
Viene comunemente chiamato “confermativo”, in realtà è una
consultazione di natura “oppositiva”, perché normalmente chi lo
richiede intende dire NO ad una legge di revisione costituzionale
già approvata nelle due Camere.
In base all’articolo 138 della Costituzione, non c’è quorum di
validità come invece richiesto per i referendum abrogativi di leggi
ordinarie: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è
promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi,
indipendentemente da quante persone si recano ai seggi. Ricordate
il referendum sulla legge statutaria di Soru? Fu bocciata benché i
partecipaneti al voto fossero pochi.
La riforma costituzionale riduce i deputati da 630 a 400 e i
senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato
fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo
che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti
all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
Cosa succede in Sardegna se la legge verrà confermata? Alle
prossime elezioni politiche la nostra isola potrà eleggere solo 16
parlamentari, nove in meno rispetto agli attuali. Per effetto del
dl costituzionale approvato in via definitiva a Montecitorio, alla
Camera da 17 seggi l’Isola scende a 11, con una riduzione del
35,3%. In Senato, invece, si passerà da 8 a 5 (-37,5%). Per il
numero di abitanti, la Sardegna è una delle Regioni più penalizzate
dal taglio. Di più e peggio: a Palazzo Madama, l’opposizione,
qualsiasi essa sia, non eleggerà rappresentanti. Ci saranno solo
senatori di maggioranza.
Ora, la ragione addotta dai 5Stelle a sostegno della loro proposta
è il risparmio delle indennità e la riduzione della casta. Due
ragioni inaccettabili e infondate. Anzitutto, perché la democrazia
ha un costo (a ben vedere sempre minore della dittatura) e, dunque,
i fondi, destinati ad inverarla, sono sempre ben spesi.
Secondariamente, la casta è, per sua natura, conventicola, gruppo
ristretto e pertanto si avvantaggia della limitazione delle
espressioni democratiche. Se si pensa che molta parte del lavoro
parlamentare, compresa l’approvazione di leggi senza il passaggio
in aula, si svolge in commissione, si capirà come la riduzione dei
parlamentari fa sì che in quelle sedi più ristrette il numero di
chi decide si riduce drasticamante, favorendo accordi sotto banco e
altri traffici piccoli e grandi.
Ci sono poi i territori. Qui il deficit democoratico è drammatico.
Le province sono diventate enti non elettivi, manca, dunque, la
rappresentanza intermedia, i comuni hanno un sistema elettorale che
tarpa le ali alla partecipazione e alle opposizioni; i comuni, un
tempo palesre di democrazia e di formazione politica, sono ridotti
ad arida e ottusa amministrazione senza slancio, senza anima. La
perdita da parte di tanti territori della rappresentanza
parlamentare li rende afoni, privi di voce nelle sedi decisionali,
rende asfittica la già triste vita locale.
Ora si tenga conto che la rappresentanza vuol dire che le esigenze
delle periferie sono introdotte nei circuiti istituzionali, che le
assemblee elettive hanno in sé forze anche piccole, ma stimolanti,
innovative, pattuglie rappresentanti di interessi e tematiche
minori. Tutto questo rischia di essere perso in nome di un
fantomatico risparmio.
Allora, in vista del 29 marzo, iniziamo a riflettere sul taglio,
pensando alla nostra città, alla nostra zona, alla Sardegna e
chiediamoci la scure è utile alla nostra democrazia o no. La
risposta a questo quesito, e solo questa, dovrà guidare la nostra
mano nel votare SI’ o NO.
References
- ^ taglio dei parlamentari (www.unionesarda.it)
- SARDA NEWS -
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