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12 Ottobre 2020
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Andrea Pubusa
Dopo il referendum si rimescolano le carte nell’area che alle
consultazioni del 2006 e del 2016 avevano votano convintamente No.
Negli uni e negli altri s’impone una fatto incontestabile: il sì ha
vinto con ampia maggioranza, segno che il corpo elettorale italiano
non ha visto nel taglio un pericolo per la dem0crazia italiana. Lo
si è considerato un emendamento alla moda delle modifiche
della Costituzione negli States, non una revisione
pervasiva coe quelle di Berlusconi e Renzi; per di più proposte
analoghe erano già state avanzate negli anni Ottanta sia del gruppo
parlamentare comunista sia da eminenti giuristi della Sinistra
indipendente, come il compianto Sefano Rodotà e Gianni Ferrara (che
pure al referendum di settembre ha votato NO).
Ora si tratterà di vedere l’impatto di questa revisione, sopratutto
nella rappresentanza dei territori, che almeno dal punto di
osservazione sardo pare privare alcune comunità locali storiche di
propri rappresentanti nel Parlamento nazionale.
Detto questo, è fuor di dubbio che la pressione dell’area
democratiche è concentrata sulla legge elettorale. Niente più
storture di sistemi complicati e deformanti, niente più Camere
composte da “nominati”. S’invoca una legge proporzionale, che poi è
nello spirito della nostra Carta, e discute di liste di candidati
fra i quali far scegliere agli elettori.
Ore sulle liste di tratta di decidere se lunghe o corte, perché
queste ultime si traducono in una forma nascosta di imposizione
dall’alto. Io dirigenza propongo pochi candidati, tutti fidelizzati
e allineati, e la scelta dell’elettore è un puro artifizio formale.
Meglio liste lunghe dunque con procedure di formazione seriamente
partecipate.
E la c.d. governabilità, in nome della quale, senza inverarla, si è
fatto strame della rappresentatività in Italia e non solo? Gira,
gira i tedeschi mostrano in questo una saggezza, da noi spesso
criticata, ma in fondo meno devastante o più accettabile di altre
soluzioni: sbarramento corposo, al 5%. Questo correttivo al
proporzionale è sempre stato avversato dalle forze minoritarie: in
questo modo - si dice non senza qualche ragione - si priva il
Parlamento di forze di avanguardia, proprio per questo senza
seguito di massa, ma con tante idee innovative e stimolanti. Ora su
questo punto bisogna essere rigorosi: non esistono sistemi
proporzionali puri. I meno giovani ricordano la fine del Psiup:
ebbe circa 700 mila voti alla Camera (al Senato era alleato col
PCI), ma non elesse neanche un deputato. La ragione? Semplice, la
legge elettorale di allora, sicuramente proporzionale, poneva
però un requisito minimo per l’accesso alla ripartizione dei resti:
bisognava avere almeno un quoziente pieno, e il Psiup, nonostante i
molti voti su tutto il territorio nazionale, non lo ebbe. Anche a
livello regionale valeva quella regola e forze battagliere e
significative rimasero negli anni ‘70 e ‘80 fuori dall’Assemblea
sarda. Bisogna anche ammettere che l’eccessiva frammentazione è un
fenomeno negativo che, induce per reazione, a soluzioni
maggioritarie. E allora? Allora, le piccole formazioni devono
capire che già mettere in campo temi, programmi, mobilitazioni è di
per sé una funzione democratica molto importante. Insomma, bisogna
acquisire tutti una duplice propensione: all’unione delle forze
affini in unica lista e chi ritiene di non esserlo puntare alle
campagne popolari e di massa su obbiettivi di grande interesse
generale iin modo da costringere le forze maggiori a inserirle
nell’agenda parlamantare.
Con i dovuti approfondimenti, questa sembra la proposta su
cui lavorare ora, ritrovando nell’area democratica l’unità spezzata
dal quesito del recente referendum sul taglio dei parlamentari.
References
- ^Carbonia. Non si placano in città le polemiche fra gli opposti schieramenti, le sinistre costruiscono argini contro i provocatori (www.democraziaoggi.it)
- ^Nessun commento (www.democraziaoggi.it)
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