Abbiamo
pubblicato nei giorni scorsi un post di Gianna
Lai[1], che chiede alla Rai di
farsi strumento per salvare l’attività scolastica in questi giorni
di chiusura. Sulla stessa lunghezza d’onda è questa lettera aperta
di Pupi Avati, che coglie bene la nostra comune sensazione: le
lunghe giornate a casa mettono in luce la assoluta inconsistenza
culurale dei programmi TV, e impongono un radicale
cambiamento. Ecco
La lettera di Pupi Avati al tempo del
coronavirus (da
https://www.ilmessaggero.it[2][3])E piango e
rido davanti alla televisione[4] come piangono e ridono i
vecchi, che è poi come piangono e ridono i bambini, cercando di
fare in modo che mia moglie non se ne accorga. Fra i tanti che se
ne sono andati un mio amico, Bruno Longhi, grande clarinettista
milanese, che il coronavirus ha portato via senza tener conto della
sua bravura, di come suonava Memories of you, meglio di
Benny Goodman . E’ il primo periodo della mia vita in cui anziché
abbracciare vorrei essere abbracciato. Mi manca persino quella
specie di bacio notturno con il quale auguro la buonanotte a mia
moglie e che lei giustamente mi ha vietato. Dormo di più la
mattina, nel silenzio profondo, cimiteriale di una città morta,
appartengo anagraficamente alla categoria di quelli più svelti a
morire .
Ma in questo sterminato silenzio, che è sacro e misterioso e che ci
fa comprendere la nostra pochezza, la nostra vigliaccheria, ci
commuove la consapevolezza dei tanti che stanno mettendo a
repentaglio le loro vite per salvarci.
E questo stesso silenzio sarebbe opportuno per i tanti che
destituiti di ogni competenza specifica continuano a sproloquiare
saltapicchiando da un programma all’altro privi di ogni pudore, di
ogni senso del limite. Coloro che con tanta solerzia, con tanta
supponenza, ci hanno accompagnato nel corso degli ultimi decenni
appartengono al Prima del Coronavirus, quando era possibile il
cazzeggio. Ora, se usciremo da questa esperienza, dovremo farne
tesoro, dovremo trovare un senso a quello che è accaduto,
soccorrendo le tante famiglie di chi ha pagato con la vita,
aiutando a superare le difficoltà enormi, spesso insormontabili,
nelle quali si troveranno i più, impegnandoci tutti a sostituire il
dire con il fare, come accadde dopo la liberazione.
Quello che provo somiglia a quando al cinematografo negli anni
Cinquanta si rompeva la pellicola e accadeva che venivi
scaraventato fuori da quella storia che era stata capace di
sottrarti allo squallore del tuo quotidiano. Rottura accolta da un
boato di delusione simultaneo all’accensione improvvisa di luci
fastidiose. Me ne restavo seduto, stretto in me stesso, cercando di
tenermi dentro il film, “dimmi quando ricomincia“ dicevo a mia
madre tenendo gli occhi chiusi e pregando perché quelli su in
cabina si sbrigassero a riattaccare la pellicola. Perché fossi
restituito al più presto a quel magico altrove. Ecco questo tempo
che sto vivendo che non somiglia a niente, è un pezzo della mia
vita che vivo con gli occhi chiusi, in attesa di poterli
riaprire
E quel mondo che si sta allontanando, che non tornerà più ad
esserci, che non piaceva a nessuno, del quale tutti si lamentavano,
eppure temo che di quel mondo proveremo una crescente
nostalgia.
E allora mi chiedo perché in questo tempo sospeso, fra il reale e
l’irreale, come in assenza di gravità, i media e soprattutto la
televisione e soprattutto la RAI,[5]
in un momento in cui il Dio Mercato al quale dobbiamo la generale
acquiescenza alll’Auditel, non approfitti di questa tregua
sabbatica di settimane, di mesi, per sconvolgere totalmente i suoi
palinsesti dando al paese l’opportunità di crescere culturalmente.
Perché non si sconvolgono i palinsesti programmando finalmente i
grandi film, i grandi concerti di musica classica, di jazz, di pop,
i documentari sulla vita e le opere dei grandi pittori, dei grandi
scultori, dei grandi architetti, la lettura dei testi dei grandi
scrittori, la prosa, la poesia, la danza, insomma perché non diamo
la possibilità a milioni di utenti di scoprire che c’è altro, al di
là dello sterile cicaleccio dei salotti frequentati da vip o dai
soliti opinionisti. Perché non proporre quel tipo di programmazione
che fa rizzare i capelli ai pubblicitari! Perché non approfittiamo
di questa così speciale opportunità per provare a far crescere
culturalmente il paese stravolgendo davvero i vecchi parametri,
contando sull’effetto terapeutico della bellezza? Il mio appello va
al Presidente, al Direttore Generale, al Consiglio di
Amministrazione della RAI affinché mettano mano a un progetto così
ambizioso e tuttavia così economico. Progetto che ci faccia trovare
, quando in cabina finalmente saranno stati in grado di aggiustare
la pellicola, migliori, più consapevoli di come eravamo quando
all’improvviso si interruppe la proiezione . E potremo allora
riaprire gli occhi.
References
- ^ post di Gianna Lai (www.democraziaoggi.it)
- ^ Pupi Avati (www.ilmessaggero.it)
- ^ coronavirus (da https://www.ilmessaggero.it (www.ilmessaggero.it)
- ^ televisione (www.ilmessaggero.it)
- ^ RAI, (www.ilmessaggero.it)
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