Andrea Pubusa
L’altro pomeriggio Tonino Dessì nella relazione al webinar
organizzato dall’ANPI (in collaborazione con CoStat e Scuola F.
Cocco) ha dato un saggio di come diritto e fatto non possono essere
disgiunti. Così è emersa la drammatica complessità di una pandemia
che richiede continue misure di contrasto e un quadro normtivo
pensato per altro. Sì, perché questo è il punto. La nostra
Costituzione ha bandito la possibilità di proclamare lo “stato di
eccezione”, ma ha disciplinato le emergenze - si scusi l’apparente
contraddizione - ordinarie. L’art. 16 della Carta prevede la
necessità di tutela della incolumità e sicurezza pubblica, e quindi
anzitutto della sanità pubblica, ma lo fa con una strumentazione
tarata per le vicende canoniche che le mettono in pericolo:
terremoti, disastri naturali, duffusioni locali di epidemie e
simili. In questi casi è il parlamento, con legge, a porre le
limitazioni. Quindi c’è una riserva di legge, solo le Camere
possono limitare la libertà di circolazione e soggiorno, ma lo
devono fare in via generale, ossia non in relazione a singoli o a
gruppi, ma ai luoghi colpiti dall’evento che mette in pericolo
l’incolumità e la sicurezza pubblica. Non sarebbero così ammessi
limiti, ad esempio, agli zingari o ai neri o ai meridionali, si
potrebbe solo stabilire che se l’Irpinia è colpita dal sisma, lì
non si può entrare o non si può circolare. Mai - dice l’art. 16 -
la restrizione può avere natura politica.
Come si vede, i padri costituenti sono stati ben attenti a non
offrire all’esecutivo o all’amministrazione in genere uno strumento
di limitazione della libertà di movimento, ma - ahinoi! - la realtà
attuale mostra come anche il legislatore più avveduto non può
prevedere tutto una volta per tutte e come la realtà s’incarica di
mostrare aspetti nuovi e impensabili.
Il covid ha una tale mobilità e capacità di contagio da scombinare
gli strumenti giuridici canonici. La legge si mostra inadeguata e
anche il decreto legge a risposte in cui la guerra alla pandemia
assume il carattere della guerriglia. Non battaglie campali, ma
attacchi mirati, diversificati, millimetricamente attagliati ai
luoghi, regione per regione, comune per comune, frazione per
frazione. Poche seghe, qui lo strumento legislativo non basta, ecco
comparire, non per volontà perversa di chissacchi, ma per
necessità, il DPCM, il decreto del presidente del consiglio dei
ministri.
Rientra il DPCM nello schema dell’art. 16 Cost.? La risposta è
perplessa, con tendenza al no. Rimane un ambito di discrezionalità
del capo del governo non adeguatamente coperta dalla legge o anche
dal decreto-legge. Questo è il punto: come fare a colmare questo
gap, come stringere fino ad annullarlo il potere del presidente del
Consiglio non regolato dalla fonte legislativa. La complessità del
problema è palese. Per sua natura la misura anticovid richiede
articolazione, diversificazione e anche invenzione. Il contrario di
quanto la legge con la sua previsione anticipata e la sua stabilità
assicura. Eppure l’ordinamento impone l’intervento dell’autorità
pubblica e richiede che esso sia efficace. L’art. 32 Cost., nel
dire che la salute è un diritto fondamentale, questo dice: questo
diritto deve essere garantito con misure dotate di effettività.
Come si vede riemerge, inaspettatamente, l’esigenza di un
bilanciamento fra l’art. 16 e l’art. 32 Cost.: le misure di
contasto alla pandemia devono essere efficaci, ma le restrizioni
alla libertà di circolazione e soggiorno dev’essere presidiata
dalla legge.
Personalmente non credo che occorrano revisioni costituzionali,
anzi queste - concordo con Tinono Dessì - vanno evitate senza
tentennamenti. Va semmai rivisitata la legislazione con fantasia,
ma mentenedo ben saldi i principi costituzionali. E dunque,
centrlità della legge e del parlamento. Qui deve rimanere la fonte
delle possibili limitazioni. Non può negarsi l’ingresso al
decreto-legge perché l’urgenza nella tutela della salute, lo
giustifica e lo impone. Quanto ai DPCM, andrebbero anzitutto
previsti nella fonte legislativa una serie di principi e criteri
direttivi che limiti nella misura massima consentita la
discrezionalità del capo del governo, andrebbero poi stabilite
procedure di confronto e di deliberazione delle Camere che
costituiscano insieme controllo, stimolo e indirizzo. Andrebbe poi
prevista anche un puntuale confronto (non mera audizione) con i
presidenti delle regioni nello spirito di leale collaborazione.
Come si vede, una articolazione procedurale impegnativa e
complessa. Ma la democrazia è questo. E’ fattibile? E’ velleitario?
L’interrogtivo rimanda al sistema alla sua capacità decisionale.
Attenzione stiamo parlando del sistema, non di questo o quel
presidente del consiglio, non di questo o quel governo, non di
questa o quella maggioranza. Il sistema tedesco ha mostrato di
essere capace di decisione, anche nelle restrizioni natalizie,
l’Italia sta impietosamente mostrndo il contrario. Di fronte
all’arrivo di una diligenza con una montagna di soldi (il recovery
found) il mucchio selvaggio si scatena…l’assalto alla diligenza
mette in secondo piano il contrasto alla pandemia. Meglio un
sistema indeciso e perplesso ad uno in cui chi regge la
respublica fa con onore e disciplina l’interesse
generale a tutela della salute e del benessere economico del
Paese.
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