Rosamaria Maggio
Sicuramente il Coronavirus ha accelerato un processo di
cambiamento che era già in corso da tempo, rendendo indispensabili
le nuove forme di lavoro a distanza, cosiddetto smartworkng,
telelavoro, lavoro da remoto, lavoro agile.
Al di là delle differenze fra queste tipologie, ciò che si è
intensificato a livello globale è il lavoro a distanza, quel lavoro
cioè che viene svolto dalla propria abitazione, utilizzando le più
avanzate tecnologie.
C’è chi considera questo un non lavoro (P. Ichino:
”Smartworking? per i dipendenti pubblici spesso è vacanza”
Corriere della sera del 15.6.2020), ma occorre fare una
riflessione sugli elementi di forza e di debolezza di questi nuovi
modelli.
Intanto si tratta di una modalità di lavoro, proprio perché a
distanza, che non può essere applicata sempre, a prescindere dalle
emergenze. Sicuramente può essere utilmente utilizzata dalla
Pubblica Amministrazione, ma anche in questo caso non sempre, dato
che ci sono situazioni in cui il cittadino ha necessità di
incontrare fisicamente il lavoratore e circostanze in cui è
l’Amministrazione che ha bisogno di incontrare il cittadino. Ci
sono ad esempio funzioni, come quella giurisdizionale, che devono
essere svolte con l’incontro fisico ad esempio della parte nel
giudizio civile, dell’imputato in quello penale, dei testi. Anche
nella funzione sanitaria, dove è necessario vedere il paziente,
soprattutto quando è indispensabile il ricovero ospedaliero, non
mancano le prime esperienze anche chirurgiche, effettuate con
apparecchiature molto avanzate e che consentono interventi a
distanza.
Vi è quindi in corso una rivoluzione che, se da un lato consente di
ridurre i costi, ha anche il vantaggio di favorire l’intervento in
tempo reale e la velocizzazione dei processi.
Ricordo che negli anni ’70 si parlava come di modelli da seguire,
dell’organizzazione del lavoro nei paesi nordici, in Svezia ad
esempio, dove industrie considerate all’avanguardia in quegli anni
(la Volvo ad esempio), avevano fatto della fabbrica un luogo dove
il lavoratore poteva sentirsi a casa. Ma anche in Italia
l’Olivetti sperimentava queste novità. Ad esempio l’asilo
nido era in fabbrica, ed il lavoratore/trice potevano raggiungere
il bambino ogni qualvolta che ce ne fosse bisogno.
In fabbrica vi era anche la palestra oltre che la mensa. Quindi il
lavoratore/trice, trascorreva tutta la giornata nel luogo di
lavoro, sia alla catena di montaggio che in ufficio, e là dentro
aveva tutto il suo mondo. Parte della famiglia ed anche lo svago.
Tornava a casa la sera per riposare e ricominciare la mattina
dopo.
Questo modello apparve certamente totalizzante. Emergeva una idea
padronale che occupava anche il privato.
L’alternativa che abbiamo praticato è stata quella del lavoro in
presenza che ha rappresentato, soprattutto per i lavoratori delle
grandi città, una vita frenetica, caratterizzata da una assenza da
casa per tante ore, comprensiva oltre che dell’orario lavorativo,
del tempo necessario per gli spostamenti, in certe situazioni anche
superiore alle 3 ore giornaliere. Anche questo, ovviamente, è
diventata fonte di alienazione e sicuramente causa di diminuzione
della produttività. Infatti da quanto si apprende, lo smartworking
la ha, prevalentemente, aumentata. Lo si afferma su Focus industria
4.0, l’11 maggio 2020.
Viceversa, le modalità presenti prevalentemente nel nostro paese ma
anche in moltissimi altri fino ad ora, pur avendo dato spazio ad
alcune sperimentazioni di lavoro a distanza, hanno preferito optare
per il lavoro in presenza.
Con il Coronavirus, secondo l’ISTAT si è passati da l’1,2% delle
imprese che potevano svolgere lavoro a distanza, all’8,8%, per poi
assestarsi su un 5,3% dopo la fine del lockdown.
Nella P.A. dove si è arrivati al 90%, dopo la fine del lockdown ci
si è attestati sul 30%.
Dai dati Eurostat emerge che l’Italia, a fronte di una media
europea di smartworking dell’11,6%, si attesta sul 2%, mentre la
Francia, anche grazie alla Loi du Travail del 2017, già da prima
del Lockdown si raggiunge il 17%.
Da una ricerca appena pubblicata di Euromobility, emerge che con lo
smartworking ciascun lavoratore risparmierebbe circa 37 km al
giorno di cui la metà percorsi in auto. Conseguentemente 3000
tonnellata di CO2, 7000 kg di ossidi di azoto e 600 polveri
sottili, sarebbero le emissioni evitabili con la diffusione del
lavoro a distanza in Italia. Quindi avrebbe ripercussioni
positive sul piano energetico ed ambientale e sulla congestione del
traffico.
Il datore di lavoro avrebbe dei vantaggi in termini di consumi, di
spazi di lavoro ed eventuali benefit, ed il lavoratore, da un punto
di vista economico, di tempo e qualità della vita.
Lo smartworking o lavoro agile, come definito dalla legge n.
81/2017, ha modificato lo spazio e il tempo di lavoro, mettendo in
discussione la tradizionale concezione stessa del lavoro
subordinato.
È andato diffondendosi un nuovo fenomeno sociale nel quale il tempo
di vita è stato invaso e compresso dal tempo di lavoro, e per
decenni è stato quasi ridotto il primo ad una mera pausa fra
prestazioni lavorative.
In questo senso quindi il lavoro agile o smartworking può diventare
una soluzione anche per restituire al lavoratore il suo tempo vita
entro il quale vi è il lavoro, la famiglia, la società.
Il Coronavirus ha accelerato questo processo di trasformazione
nell’organizzazione del lavoro che andava diffondendosi nel mondo e
che ha subito una accelerazione durante la pandemia proprio per gli
evidenti vantaggi derivanti dal distanziamento sociale, garantito
appunto dallo smartworking, che ha consentito la prosecuzione di
molte attività lavorative indispensabili e non, senza mettere a
repentaglio la vita di tanti, evitando l’uscita da casa di molti
lavoratori con il conseguente contatto al lavoro ed anche negli
spostamenti da e per il lavoro.
Ma naturalmente non è tutto oro quel che luccica.
Intanto molti lavori a distanza sono precari ed a tempo
determinato. Inoltre riguardano ed hanno riguardato prevalentemente
le donne, relegate al ruolo di angeli del focolare e di supporto
scolastico ai bambini e ragazzi confinati nella didattica a
distanza. Molte donne quindi in questo periodo di lockdown hanno
lavorato a distanza, occupandosi contemporaneamente della gestione
della casa e soprattutto dei figli, impegnati a sperimentare le
lezioni online, tra difficoltà tecnologiche e la mancanza di
effettiva relazione didattica.
Evitando di criminalizzare le innovazioni tecnologiche che
sicuramente possono migliorare le condizioni di vita dei
lavoratori, è necessario un intervento legislativo ed anche
sindacale nella determinazione dei nuovi diritti e doveri che
scaturiscono da queste nuove forme di lavoro, che non devono
trasformarsi in nuove forme di sfruttamento.
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