11 Aprile 2022
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Andrea Pubusa
C’è un’istintiva propensione ad aiutare anche con le armi chi è
aggredito. Risponde ad un pensiero elementare socorrere chi appare
più debole di fronte all’aggressività del più forte. Si comprende
quindi umanamente chi cerca di far ammettere dalla nostra Carta
costituzionale la facoltà di invio di armi in Ucraina. Ma il
diritto è un’altra cosa: c’è il testo normativo e ci sono le regole
d’interpretazione e c’è anche la forza del “precedente”, che nel
diritto costituzionale ha una particolare forza cogente per
regolare i casi futuri.
Voglio partire da qui per ricordare che la Costituzione rigida
impone una condotta alle maggioranze contingenti del futuro di
qualsiasi colore esse siano. Quindi, chi sostiene una certa
interpretazione e crea un precedente deve sapere che la regola così
formata vale per qualsiasi maggioranza e per qualunque caso che si
presenti in futuro. Per parlarci chiaro, se io dico che possiamo
inviare armi, ciò vuol dire che ove domani in Italia si formasse
una naggioranza di estrema destra e questa simpatizzasse per uno
stato fascistoide, il quale lamentasse un’aggressione, il
parlamaneto potrebbe votare l’invio di armi in una situazione del
tutto ribaltata rispetto a quella attuale. Quindi, attenzione!,
quando interpretiamo e quando le istituzioni le applicano, esse
valgono non solo per i casi che condividiamo, ma anche per quelli
da cui fortemente dissentiamo. Non ci possono essere due pesi e due
misure.
Detto questo, voglio esaminare sul piano strettamente giuridico
l’articolo di Massimo Villone sul Manifesto dal titolo “La
Costituzione fra difesa legittima e ripudio della guerra[3]“. In esso Villone
ammette che l’art. 11 non consente l’invio di armi dell’Italia al
di fuori delle organizzazioni internazionali volte alla risoluzione
in modo pacifico delle controversie internazionali. Se così non
fosse, non ricorrerebbe, come invece fa, all’art. 10, che cosi’
suona: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute“. Ora fra
queste vi e’ quella che consente la legittima difesa dei paesi
aggrediti e, dunque, soggiunge Villone, anche il soccorso con
l’invio di armamenti.
Questa tesi avrebbe un fondamento ove si negasse che l’art. 11
disciplina il caso della guerra di aggressione, ma lo stesso
Villone ammette che la preveda e che non ammetta l’invio di armi.
Ed è così. Basta leggere l’incipit dell’art. 11: “L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli …“. Il caso è proprio quello della Russia che attacca
l’Ucraina (lasciamo da parte il cotesto ostile ispirato dalla NATO,
che ci porterebbe lontano). La Carta dice che l’Italia ripudia
queste guerre, ossia le condanna sul piano giuridico e morale,
senza se e senza ma. Ma individua anche le modalità per chiudere
questi conflitti. Se l’attacco riguarda l’Italia i cittadini e le
istituzioni hanno il sacro dovere di difendere la patria, la nostra
patria. Art. 52: “ La difesa della Patria e’ sacro dovere del
cittadino“. La disposizione è rivolta ai cittadini italiani,
quindi la patria attaccata è l’Italia. Se invece lo Stato attaccato
è un altro, la Costituzione condanna quella guerra “come mezzo
di risoluzione delle controversie internazionali“, ma ci dice
anche cosa, in vista di tali evenienze, deve fare l’Italia:
“consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo“. L’Italia
interviene a riportare la pace in seno alle organizzazioni
internzionali a ciò preposte. L’art. 11 dunque esclude iniziative
autonome dell’Italia per riportare la pace con azione armata o
anche con modalità che alimentino l’uso delle armi. L’invio di armi
e di uomini è consentito in seno a organizzazioni come l’ONU. Ma
tali non sono la UE (che è un ordinamento di Stati europei) e
tantomeno la NATO che è una organizzazione militare di alcuni
Stati.
Stando così le cose, la preclusione del ricorso all’art. 10, intesa
come norma generale sulla materia, discende dal noto principio
interpretativo “lex specialis derogat legi generali“;
questo brocardo esprime uno dei principi o criteri tradizionalmente
utilizzati dagli ordinamenti giuridici per risolvere le antinomie
normative: il criterio di specialità. Risponde a un
ragionamento logico prima che giuridico. Se una materia ha una
disciplina generale, ma per una parte o taluni aspetti di essa il
legislatore ha introdotto una disciplina specifica, questa deroga a
quella generale. Nal caso nostro, assumendo come disciplina
generale della materia la normazione del diritto internazionale
generalmente riconosciuta (art. 10), l’art. 11 disciplinando la
guerra insieme all’art. 52, deroga alle regole che si dovrebbero
applicare in assenza dello stesso art. 11.
C’è poco da fare, l’art. 11 non è aggirabile se non con forzature.
Operazione pericolosissima per il futuro. L’art. 11 ha una ratio
precisa e condivisibile. A parte la difesa diretta del nostro
territorio, che è sacro dovere nostro e delle nostre istituzioni,
tutti gli altri casi in cui si ponga il problema di un intervento
con armi dev’esseree sottratto alla maggioranza parlamentare di
turno ed essere rimessa ad una più ponderata decisione di
organizzazioni internazionali di pace, di cui l’Italia è parte. Una
bella garanzia contro avventure o decisioni unilaterali.
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