Gianfranco Sabattini
Sul problema del “rapporto fra sistema economico e sistema
politico”, sul quale “Il Mulino” ha organizzato nel 2019 un
Seminario, Carlo Guarnieri ha pubblicato sul n. 2/2020 della
rivista l’articolo “Sovranità, debito e politica”, nel quale
affronta il problema oggetto del Seminario secondo una prospettiva
diversa da quella privilegiata da Carlo Galli nell’articolo “Il
debito e la sovranità”, pubblicato nello stesso numero della
rivista.
A differenza di Galli, che ha approfondito il tema dell’influenza
del debito sull’esercizio della sovranità dello Stato, Guarnieri ha
invece concentrato l’attenzione sull’aspetto della “sostenibilità
politica” dell’azione svolta dallo Stato per il rientro dalla sua
esposizione debitoria. A suo parere, il “rapporto fra sovranità e
debito è stato messo in forte evidenza dalla crisi economica
internazionale dell’ultimo decennio”; in particolare, è apparso
chiaro come il livello del debito pubblico, soprattutto di quello
esterno, costituisca un “serio vincolo” alla capacità del sistema
politico italiano di “autodeterminarsi”. Da tale vincolo l’Italia
deve perciò sottrarsi, anche se, al suo interno, non esiste fra le
forze politiche una unicità di pensiero; fatto, quest’ultimo, che
rende difficile per la politica italiana coagulare un consenso
adeguato a realizzare il rientro dal debito, in quanto il sistema
della politica risulta caratterizzato da una pluralità di partiti e
di movimenti portatori di istanze difficili da conciliare.
Per allentare il “vincolo da debito esterno” occorre, secondo
Guarnieri, che le politiche di rientro siano “sostenute da un
sufficiente livello di consenso nell’opinione pubblica e,
naturalmente, nell’elettorato”, mancando il quale è inevitabile che
le politiche siano attuate in modo incompleto, “con un conseguente
aumento dei costi da sostenere e con il rischio che, alla fine, non
vengano proprio attuate”; appunto quanto accade quando, a causa
dell’incompletezza delle politiche determinata dal frequente
avvicendamento delle forze al governo del Paese, viene ostacolata
l’assunzione di decisioni appropriate. L’esperienza italiana,
soprattutto dopo l’”impennata” del debito seguita alla crisi
finanziaria causata dalla Grande Recessione 2007-2008, in confronto
a quanto accade in altri Paesi europei gravati anch’essi da alti
livelli di debito, “sembra confermare” le difficoltà dell’Italia ad
attuare “politiche di rientro”, a causa dell’eccessiva
frantumazione del sistema della politica.
La debolezza di tale sistema si riflette sul funzionamento delle
istituzioni e sulla loro capacità di assumere le decisioni che
sarebbero necessarie. Negli ultimi 25 anni il sistema partitico
italiano – afferma Guarnieri – si è fortemente indebolito, in
corrispondenza di due momenti specifici (1992 e 2005) “divisi da
una fase in cui il sistema sembrava destinato a un certo
consolidamento”. Dopo la crisi del 1992 (con l’azzeramento dei
partiti di governo della Prima Repubblica), si era progressivamente
formato un sistema partitico “centrato su due poli”, col quale il
funzionamento della politica si era allontanato “dal consensualismo
della Prima Repubblica”, per assumere “una veste tendenzialmente
maggioritaria”.
Questo allontanamento non è stato però istituzionalizzato, essendo
falliti tutti i tentativi di riforma istituzionale; inoltre, con la
riforma elettorale del 2005, sono state create condizioni politiche
che hanno indebolito la coesione delle coalizioni a sostegno dei
vari governi succedutisi, resi instabili dal fenomeno del
trasformismo parlamentare (con il passaggio di parlamentari da un
gruppo partitico a un altro nel corso delle singole legislature).
L’instabilità finanziaria che ha colpito l’Italia nel 2011, ha
avuto l’effetto di esporre il Paese a un continuo aumento dello
“spread”, corrispondente alla differenza di rendimento tra titoli
di debito pubblico dello stesso tipo e durata, uno dei quali è
considerato titolo di riferimento (nel caso dell’Italia,
quest’ultimo è stato quello della Germania); incidendo
negativamente sul bilancio pubblico per via dei maggiori interessi,
lo spread ha determinato in Italia una continua instabilità
politica, esponendo il Paese a un peggioramento della sua immagine
internazionale, che si è riflesso sull’atteggiamento degli
investitori.
A differenza di quanto è accaduto in altri Paesi europei, i governi
che si sono succeduti, sostenuti da maggioranze rese instabili dal
fenomeno del trasformismo parlamentare e da quello della volatilità
elettorale (percentuale aggregata di elettori che da un’elezione
all’altra ha cambiato voto) non sono stati in grado di garantire
una relativa continuità delle politiche di bilancio, andando
incontro a una crisi tuttora irrisolta. La costante debolezza del
sistema politico italiano, non essendo stata bilanciata “da un
ridisegno dell’assetto istituzionale”, conclude Guarnieri, ha
allentato il legame fra elettori e governo, per cui le istituzioni
politiche dell’Italia hanno visto ridursi la capacità di attuare
politiche di rientro dal debito; infatti, per i governi senza
stabilità politica è stato molto difficile adottare regole fiscali
idonee ad assicurare la sostenibilità politica del debito. Questa
instabilità caratterizza anche l’attuale coalizione di governo,
riguardo persino all’utilizzazione delle risorse che la solidarietà
europea ha reso disponibili per i Paesi colpiti dalla pandemia da
Covid-19.
E’ noto come le diverse componenti che esprimono l’attuale governo
nazionale siano portatrici di idee diverse circa l’utilizzazione
del MES (Meccanismo Europeo di stabilità), il fondo costituito con
l’obiettivo di salvare gli Stati europei in difficoltà, a seguito
della crisi finanziaria del 2007-2008. Il bilancio di questo fondo
è costituito dalle contribuzioni di ogni Stato un misura
proporzionale alla quota che ciascuna banca centrale nazionale
detiene del “capitale azionario” della Banca Centrale Europea.
L’Italia, con il 17,9% di contribuzione ha versato a questo fondo
14 miliardi di capitale e ne ha messi a garanzia altri 111, per un
impegno totale di 125 miliardi.
Il MES dovrebbe servire a mobilitare risorse finanziarie ed a
fornire sostegno alla stabilità finanziaria dei Paesi aderenti
all’Unione Europea, secondo rigorose condizioni legate al tipo di
linea di credito prescelta sulla base di intese o accordi con gli
altri Stati membri; in tal modo, il MES, pur finanziando gli Stati,
richiede in cambio la sottoscrizione di un accordo per la
realizzazione di rigide misure di aggiustamento fiscale e
macroeconomico.
Riguardo all’opposizione del Movimento 5 Stelle, circa
l’utilizzazione del MES, più che le motivazioni tecniche contano le
ragioni politiche, perché il suo utilizzo, secondo il Movimento, si
tradurrebbe in un ulteriore attacco alla sovranità del Paese e nel
rilancio della politica dei austerità imposta dalle autorità
europee agli Stati più deboli. Si tratta di un’opposizione che, per
il Movimento pentastellato, vale a definire la propria identità;
infatti, in coerenza coi propri programmi elettorali, il Movimento
ha sempre promesso agli elettori “lo smantellamento del MES”:
promessa che ha impegnato il governo giallo-verde inaugurato
all’inizio della legislatura corrente e che continua ad impegnare
anche il governo giallo-rosso attuale, tenendo sulla corda la
stabilità del governo.
Non è casuale, quindi, che il Movimento 5 Stelle perseveri
nell’opporsi all’utilizzo del MES anche dopo lo scoppio delle
pandemia; nonostante sia stata messa a disposizione dell’Italia una
linea di credito ad hoc (Pandemic crisis support) che prevede aiuti
fino al 2% del PIL, pari a 36 miliardi di euro, subito disponibili
ed erogabili senza condizionalità macroeconomiche, e solo
sottoposti al vincolo che i fondi vengano usati per il
finanziamento diretto o indiretto dei costi sanitari dovuti alla
crisi da Covid-19.
Tuttavia, le condizionalità sono state eliminate solo per l’accesso
al credito, ma non per la restituzione dei fondi utilizzati. Quando
infatti la crisi sanitaria verrà superata, gli Stati membri
“rimarranno impegnati a rafforzare i fondamenti economici e
finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e
sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa l’eventuale
flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell’UE“. In
questo modo, secondo il Movimento pentastellato, di fatto
l’austerity sarà di nuovo imposta all’Italia.
Per questo motivo, il governo italiano, sorretto da una maggioranza
della quale fa parte il Movimento, non ha ancora deciso di
ricorrere al MES, per via del fatto che la sua utilizzazione
implicherebbe un’ulteriore cessione di sovranità, senza alcun
beneficio reale per i conti pubblici nazionali. Pertanto il MES non
avrebbe nulla a che fare con la solidarietà europea (perché non
prevede trasferimenti a fondo perduto, ma di fatto nuovi debiti in
aggiunta a quelli già esistenti, che andrebbero rimborsati con
tagli ai diritti dei cittadini); quindi non sarebbe uno strumento
adeguato a combattere la crisi post-pandemica (che è simmetrica, in
quanto ha colpito tutti i Paesi membri e tutti i cittadini allo
stesso modo).
Per questi motivi, il governo attuale tende a sostenere la
necessità che, in luogo del MES, siano adottati nuovi strumenti
europei; ma ciò spinge le componenti dell’attuale maggioranza
(soprattutto Partito Democratico e “M5S”) ad essere profondamente
divise; sebbene il governo non abbia ancora preso alcuna decisone
riguardo all’utilizzazione delle linee di credito previste dal MES,
sull’argomento, a livello europeo, i due partiti di governo hanno
avuto modo di manifestare posizioni opposte, nel senso che il PD ha
votato a favore del ricorso al MES, mentre il Movimento Cinque
Stelle ha votato contro, al pari della Lega.
Le diverse posizioni delle componenti dell’attuale maggioranza
governativa tendono a condizionare anche le trattative sul Recovery
Fund, inducendo alcuni Paesi europei che parteciperanno alla sua
adozione a pensare che l’Italia non abbia bisogno della solidarietà
europea; la persistenza di tali posizioni dimostra come l’assenza
di un governo solido e stabile tenda a risolversi in una perdita di
credibilità internazionale del Paese, e con essa di una sostanziale
incapacità di ricuperare, almeno in parte, le quote di sovranità
compromesse dal pesante disavanzo dei propri conti pubblici.
- SARDA NEWS -
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