Amsicora
Amiche ed amici, combattenti e reduci di mille battaglie, quanti
problemi nascono dalla pandemia! E siccome siamo a casa,
cazzeggiamo con opere, azioni, omissioni e col pensiero. Per
esempio poco fa mi sono ricordato che quando eravamo piccoli, i
nostri genitori ci mandavano con una borsa a fare la spesa e
is commissionis. Per esempio, “vai a prendermi un
pacchetto di nazionali esportazione!”, mio padre le voleva
senza filtro. E subito di corsa al tabacchino, interrompendo
immantinenti giochi e chiacchiere. E brontolare era impossibile,
dire no impensabile. Al padre non era pensabile di dire no. Neanche
l’idea era possibile. Ancora oggi, quando penso a mio padre, che
pure era un uomo mite, non ricordo di avere mai pensato di
disobbedirgli. E mi chiedo da dove venisse questa autorevolezza
assoluta. Neanche a mia madre, devo ammettere, si poteva dir no, ma
pensarlo sì e qualche brontolio possibile.
Ma perché questi pensieri proprio ora? Semplice, perché con le
regole d’allora i bambini sarebbero potuti uscire…a fare la spesa o
le commissioni. Salvo gli acquisti maggiori o più impegnativi la
spesa e le spesuccie erano di loro competenza.
Oggi il coronavirus fra le tante altre cose disegna la mappa reale
di chi è essenziale per campare: chi regge la società, chi ci salva
è chi lavora sulle filiere essenziali, nelle campagne, negli
ospedali e nelle città. Si sente già ja mancanza di chi va nei
campi a raccogliere; diventa preziosissima la commessa del
negozieetto sotto casa che ti porta la spesa, mentre non servono a
nulla i managers o gli alti funzionari con stipendioni). Sotto la
sua sferza impietosa il terribile virus ci mostra un’altra verità:
i bambini contano meno dei cani, con tutto il rispetto per questo
nostro fedele amico. La vogliamo buttare in punto di diritto? Bene,
se ci pensate, i cani hanno un diritto soggettivo perfetto ad
uscire e i bambini no. E, se approfondite la fattispecie, neanche i
padroni. Per costoro l’uscita a fare una passeggiatina è un diritto
riflesso da quello del proprio cane. E’ il cane che lascia passare
il padrone e non viceversa. Se il padrone esce solo, deve
giustificarsi, se ha il cane al guinzaglio no, la giustificazione è
in re ipsa come dicono i giuristi, sta nel semplice fatto
il cane porta a spasso il padrone.
E i bambini? Niente, meno dei cani. L’altro giorno a Genova è stato
multato un nonno che portava la nipotina a passeggio e non quel
signore che, poco distante, portava, pardon!, era portato al
guinzaglio dal suo cane.
Ora il governo ha dovuto ammettere che la cosa è curiosa e
paradossale. Si è discusso molto fra i filosofi del diritto sui
diritti degli animali, e si è giunti ad ammetterli: come esseri
senzienti devono vedere rispettate alcune loro facoltà
naturali. Per quanto ne posso capire, io ho seguito fin da subito
quell’orientamento; ad onor del vero sono andato oltre, credo che
“sentano” anche gli alberi (i miei alberi, ad esempio, quando mi
vedono ridono e fanno salti di gioia, o almeno così m’illudo che
sia), ma ho sempre pensato - non so se oso troppo - che sono
senzienti non solo i cani e i gatti e simili, lo sono
anche i bambini. Da molto tempo, che io sappia, è stata affermata
l’idea che anche donne e bambini siano dotati di anima e, dunque,
appartengano al genere umano, al pari dei maschietti.
Non so se il governo abbia riflettuto su tutto questo. E’
probabile, Conte è un giurista e queste cose le sa. Fatto sta che
il ministro ha aperto alla passeggiata ai bambini. Apriti cielo!
Proteste e reclami! Da Fontana a Truzzu un coro di no! Una signora
a Rai3 ha messo in luce il paradosso della passeggiata: cani sì,
bambini no. E indovinate cosa ha risposto il giornalista che alla
radio legge la stampa quotidiana? Con sufficienza ha risposto
alla stronzetta: “Si capisce, signora, il cane deve fare i suoi
bisogni!“. Beh, ho pensato, se è per questo, la soluzione è
semplice: nel decreto si può condizionare la passeggiata dei
bambini all’onere inderogabile che anche loro facciano le loro
cosette per strada o al parco! Ho tentato di prendere la linea per
indicare questa banale soluzione al giornalista, ma non ci sono
riuscito, il telefono sempre occupato. Spero però che i governanti
ci arrivino lo stesso, da soli. La soluzione è elementare,
intuitiva.
Ma visto che siamo in tema e il tempo c’è, scusandomi per
l’autocitazione, vorrei ricordare una mia discussione sul tema con
una condomina.
Tanto, tanto tempo fa, quando i miei figli erano piccoli, con altri
bambini del palazzo scendavano a giocare liberamente nel giardino
condominiale. Che spasso per loro! Che tranquillità per noi
genitori! A un certo punto una signora si procurò un cane e prese a
portarlo nel prato condominiale. Il cane naturalmente faceva i suoi
bisogni nell’erba e l’incoveniente era palese. Li finivano anche i
bambini, che, ad onor del vero, giocavano nella parte asfaltata del
giardino, ma spesso, per prendere la palla o nella corsa finivano
nel prato. Con tutta la delicatezza di cui sono capace (e, vi
assicuro, è tanta! tipo Giobbe) feci presente alla signora
l’incoveninente. Ma madame, in quanto condomina,
rivendicava il diritto di portare il cane nel prato condominiale.
Era - diceva - una facoltà insita nelle sue prergoative di
consomina. Credetemi, usai pazientemente tutte le argomentazioni
del caso, ma niente lei sui suoi diritti di condomina non intendeva
cedere di un millimetro, mettendo a dura prova la mia notoria
cortesia. Nessuna argomentazione o evidenza la convinceva, proprio
nessuna. Allora ricorsi ad un ragionamento più articolato, giocato
proprio sul suo terreno, quello del diritto. Partii da lontano
però. Le chiesi se concordava con questa mia premessa: il cane va
nel prato non per diritto proprio, ma per riflesso del diritto
condominiale della padrona. Un randagio, per esempio, non sarebbe
ammesso, nel nostro giardino. Su questo la signora concordò, non
poteva dire il contrario. Ed allora passai al secondo punto.
“Se è così - dissi con dolcezza, per non contrariarla -
bisogna ammettere che io ho gli stessi diritti: sono anch’io
condomino“. Ed anche su questo la signora non potè
contrastarmi: “certo anche lei può portare un cane“,
esclamo, ingenuamente, ignara del proseguo! Si aspettava di avermi
dato soddisfazione. Ma io continuai con grande garbo e signorilità:
“quindi se può far la caca il cane, come facoltà riflessa del
diritto della padrona-condomina, a maggior ragione la posso fare io
come condomino”. La donna, lì per lì, rimase spiazzata,
perplessa e incredula, ma la mia gentilezza era tale da non
consentirle di mandarmi al diavolo. “Certo che ha il diritto
pure lei, ci mancherebbe!“, rispose sorridendo e confidando
nel carattere del tutto astratto e sforzato dell’argomentazione.
“Scherzi, paradossi“, ha pensato la matura donzella. E li,
con voce flautata per alleggerire l’impatto, tra il serio e il
faceto, calai la carta decisiva: “Signora, se lei domani porta
il suo cane a fare caca nel prato condominiale, anch’io prendo a
farla lì, come quando da bambino andavo a funghi. Buon
giorno, a domani!“.
Voi chiederete cosa è successo dopo. Semplice: la signora ha
finalmente capito e dal giorno dopo a far passeggiare il cane è
andata per strada.
Morale della favola: per pareggiare il trattamento fra cani e
bimbi, diciamo a Conte che facciamo fare ai nostri bambini per
strada ciò che fanno i cani. Chissà, forse chi si oppone, da
Fontana a Truzzu, tacerà. Miracoli dei discorsi di caca!
- SARDA NEWS -
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