Gianfranco Sabattini
Mai in passato la disuguaglianza distributiva tra i vari gruppi
sociali di ciascun Paese, ma anche quella tra i singoli Paesi,
aveva raggiunto i livelli attuali. Il fenomeno ha assunto degli
aspetti che hanno dell’inverosimile; come ricorda Walter Scheidel
(docente di Storia antica alla Stanford University) in “La grande
livellatrice. Violenza e disuguaglianza dalla preistoria ad oggi”),
il patrimonio individuale più consistente negli USA è ora pari a
circa un milione di volte il reddito familiare medio annuo, venti
volte più di quanto non fosse nel 1982; ciononostante – continua
Scheidel – “gli Stati Uniti potrebbero perdere terreno rispetto
alla Cina, che si dice essere la patria di un numero ancora più
grande di miliardari in dollari [rispetto al numero dei miliardari
americani], malgrado il suo PIL nominale notevolmente
inferiore”.
Ciò, tuttavia, non significa che i ricchi siano diventati sempre
più ricchi; la disuguaglianza distributiva presenta anche altri
aspetti singolari. Contemporaneamente all’approfondirsi del
fenomeno, la ricchezza è oggi meno concentrata di quanto non lo
fosse, ad esempio, nel 1929; mentre in Inghilterra, alla vigilia
della Grande Guerra, il 10% delle famiglie più ricche possedeva il
92% di tutta la ricchezza privata, oggi la loro quota supera di
poco la metà.
Malgrado i livelli raggiunti dalla disuguaglianza distributiva,
questa ha una storia molto lunga, la cui dinamica ha subito nel
tempo profondi cambiamenti, delle cui cause, nonostante
l’attenzione rivolta al fenomeno da schiere di studiosi di ogni
epoca, si conosce molto meno di quanto ci si potrebbe aspettare. E’
questo il motivo per cui le crescenti disparità di reddito e
ricchezza che si registrano oggi nel mondo hanno rilanciato lo
studio della disuguaglianza nel lungo periodo; ciononostante -
afferma Scheidel – continua a mancare “una percezione adeguata del
quadro generale”, per via del fatto che ancora non è stata condotta
“un’indagine globale che copra l’ampio arco della storia
osservabile. Una prospettiva interculturale, comparativa e a lungo
termine è essenziale per la comprensione dei meccanismi che
modellano la distribuzione del reddito e della ricchezza”.
Se si considera il fenomeno della disuguaglianza distributiva nella
sua dinamica temporale, tenendo conto che il suo affermarsi ha
richiesto l’accesso a un quantitativo di risorse oltre il minimo
necessario per conservarsi in vita, occorre prendere atto che le
eccedenze esistevano già decine di secoli fa, così come esisteva la
disponibilità “degli esseri umani a condividerle in modo
sperequato”. Ciò che ha consentito la formazione delle eccedenze è
stata la rivoluzione agricola (occorsa circa 10.000 anni fa), che
ha spinto gli uomini che vivevano di “caccia e raccolta” verso
forme primitive di organizzazione sociale, che hanno consentito la
creazione di ricchezza secondo una scala del tutto nuova. In questo
modo – secondo Scheidel – “la crescente e persistente
disuguaglianza [è divenuta] una caratteristica distintiva
dell’Olocene” (cioè dell’era geologica nella quale vive attualmente
l’umanità).
L’addomesticamento di piante e di animali (cioè il processo
attraverso cui il ciclo di vita di una specie vegetale o animale è
stato reso dipendente dal controllo esercitato su di esso
dall’uomo) ha permesso di accumulare e di preservare risorse
produttive, stimolando nel contempo un lento processo di formazione
di norme sociali che ne hanno regolato la distribuzione. In queste
condizioni, la distribuzione del reddito e della ricchezza è stata
plasmata da una varietà di esperienze, quali le dinamiche
produttive, le scelte di consumo e di investimento, l’andamento dei
raccolti, le condizioni di salute, le strategie matrimoniali ed
altre ancora. Accumulandosi nel tempo, le conseguenze di tali
esperienze hanno favorito, nel lungo periodo, la formazione di
ineguaglianze individuali sul piano distributivo.
In linea di principio, osserva Scheidel, le istituzioni sociali che
disciplinavano la vita in comune avrebbero potuto eliminare, o
quanto meno contenere, le disparità distributive; in pratica, però,
“l’evoluzione sociale [ha prodotto] generalmente l’effetto
opposto”; ciò perché l’addomesticamento delle fonti alimentari ha
comportato anche quello delle persone, in quanto l’organizzazione
sociale, che aveva consentito all’uomo di abbandonare la vita
erratica della dedizione alla caccia e alla raccolta, ha comportato
l’instaurazione di rigide “gerarchie di potere e stringenti
modalità di coercizione che [hanno distorto] le opportunità di
accesso al reddito e alla ricchezza”.
La conseguente disuguaglianza sociale e politica ha rafforzato e
ampliato la disuguaglianza economica, che è diventata il carattere
distintivo della società nata con la rivoluzione agricola;
all’interno di tale tipo di società, per tutto il tempo in cui il
suo carattere agricolo si è conservato, l’arricchimento di pochi è
avvenuto a svantaggio di molti. Di conseguenza, nelle società
premoderne, la disuguaglianza distributiva è cresciuta fuori ogni
controllo, consolidando “gli eccessi appropriativi perpetrati da
piccole élite in condizioni di bassa produzione pro capite e di
minimi livelli di crescita”.
Col sopraggiungere dell’età moderna, l’urbanizzazione, le
innovazioni finanziarie e lo sviluppo dell’industriale e del
commercio hanno messo in crisi la fonte tradizionale di
arricchimento delle élite, che era fondata sulle rendite connesse
all’esercizio del potere, ma successivamente sostituite dai
guadagni conseguiti dai possessori di capitali; per cui anche se le
norme sociali e politiche che avevano presieduto precedentemente ai
processi di appropriazione e di distribuzione della ricchezza sono
cambiate, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della
ricchezza è rimasta comunque elevata.
Per migliaia di anni, le organizzazioni sociali che si sono
susseguite non hanno mai manifestato la tendenza a perequare la
maldistribuzione dei beni materiali; la stabilità politica ha avuto
l’effetto di favorire il consolidarsi della disuguaglianza
economica e il protrarsi di meccanismi che hanno di continuo
alimentato il suo approfondimento. Nell’arco della storia
documentata – sostiene Scheidel – i momenti di perequazione più
marcati “sono stati invariabilmente il risultato” del verificarsi
di potentissimi shock, che hanno dato luogo a “rotture violente”
del risultato dei processi di disuguaglianza distributiva; egli
individua quattro diversi tipi di queste rotture, denomindoli i
“Quattro Cavalieri del livellamento” (simili alle loro controparti
bibliche, che hanno “tolto la pace dalla terra”): tali sono state
le guerre con mobilitazione generale della popolazione, le
rivoluzioni trasformative interne alle singole società, le cadute
degli Stati e la pandemie letali.
Solo specifici tipi di guerra hanno attenuato la disuguaglianza; la
maggior parte di esse, infatti, non ha avuto un effetto profondo
sulla distribuzione delle risorse. Per perequare le disparità di
reddito e di ricchezza è stato necessario che le guerre
coinvolgessero le società intere, “mobilitando persone e risorse
secondo una scala che spesso era alla portata solo degli
Stati-nazione moderni”. Gli shock delle guerre totali moderne hanno
dato origine – afferma Scheidel – “a quella che è nota come ‘Grande
compressione’, un’enorme attenuazione delle disuguaglianze di
reddito e ricchezza avvenuta nei paesi sviluppati”; essa è stata
per lo più concentrata nel periodo compreso tra la Grande Guerra e
la fine del secondo conflitto mondiale, richiedendo quindi un arco
di tempo di diversi decenni, per il suo completo compimento.
Le due guerre mondiali che si sono svolte nella prima metà del
secolo scorso hanno generato il secondo “Cavaliere”, cioè la forza
livellatrice delle rivoluzioni trasformatrici espresse dai
conflitti interni ai singoli Stati. Il tipo di perequazione
distributiva causato dai conflitti interni, così come il
livellamento prodotto dalle guerre con mobilitazione totale di
persone e risorse, è stato un fenomeno del XX secolo; la violenza
di tale tipo di rivoluzioni ha avuto la capacità di suscitare la
comparsa del terzo “Cavaliere”, cioè la distruzione completa degli
Stati nei quali le rivoluzioni traformatrici si sono verificate.
Guerre totali, rivoluzioni e distruzione degli Stati hanno avuto in
comune la violenza, attraverso la quale, mentre veniva realizzata
la ridistribuzione del reddito e della ricchezza, veniva anche
ricostruito un nuovo ordinamento giuridico e sociale.
Oltre che per volontà umana, la violenza perequatrice è stata
talvolta prodotta, che in passato hanno distrutto intere società,
“con più forza di quanto avrebbero potuto sperare anche i più
grandi eserciti o i più ferventi rivoluzionari”. Le pandemie
letali, ad esempio, hanno spesso integrato l’azione dei “Quattro
Cavalieri”, con un effetto livellatore altrimenti impossibile. Solo
in età contemporanea, le guerre totali, le rivoluzioni
trasformatrici e le pandemie sono state tendenzialmente sostituite
da azioni politiche riformatrici, che hanno avuto successo solo
quando ad esse si è associato il pericolo del sopravvenire della
violenza.
I risultati dell’attività riformatrice, però, non sempre hanno
condotto ad esiti perequativi sul piano distributivo. Inoltre, in
età contemporanea, non esistono prove univoche che la crescita
economica e la democrazia possano consentire di ridurre la
disuguaglianza, o quantomeno non esistono prove, a parere di
Scheidel, che le attività riformatrici pacifiche possano permettere
di raggiungere “risultati anche solo lontanamente paragonabili a
quelli prodotti dai Quattro Cavalieri”. Se cosi stanno le cose,
perché allora – si chiede Scheidel – la lotta contro la
disuguaglianza distributiva riveste nel mondo contemporaneo tanta
importanza? E perché vale la pena che la sua storia sia di continuo
esplorata?
La necessità dell’impegno a sconfiggere l’eccessiva concentrazione
del reddito e della ricchezza è giustificata dall’influenza
negativa esercitata dalla disuguaglianza sulla crescita economica,
anche se la trattazione teorica della relazione esistente tra
disuguaglianza e crescita non sempre ha consentito di pervenire a
risultati certi; ciononostante, si sostiene che livelli elevati di
disuguaglianza sono strettamente associati a tassi di crescita più
bassi. Ma oltre al problema della crescita, che interseca la lotta
contro la disuguaglianza, va anche considerato quello riguardante
il modo in cui possono essere cambiate le regole che presuppongono
la disuguaglianza, tenendo però presente che, nel perseguire il
riequilibrio della distribuzione del reddito e della ricchezza, non
é possibile – avverte Scheidel – “chiudere gli occhi su quello che
è servito per raggiungere questo obiettivo in passato”.
In altri termini, occorre chiedersi se un’eccessiva disuguaglianza
sia mai stata rimossa senza il ricorso ad alti livelli di violenza;
oppure se “fattori più benigni possano agire nella stessa maniera
di questa grande forza livellatrice”. Ora, però, continua Scheidel,
le risposte possono non piacere, perché, se la storia è “maestra di
vita”, semplici attività politiche riformatrici potrebbero essere
giudicate inadeguate per affrontare l’incremento della
disuguaglianza indotta da mercati informati all’avvento
dell’ideologia neoliberista.
Sarà bene – è la conclusione di Scheidel – ricordare che una
perequazione radicale è sempre stata “generata solo nel dolore”; un
motivo, questo, che dovrebbe essere sufficiente ad indurci “a fare
attenzione“ a ciò che vorremmo vedere sempre realizzato. Ciò
significa, per lo studioso di storia antica, che un certo grado di
disuguaglianza, connesso alla crescita realizzata dall’economia di
mercato senza alterare la stabilità politica, è il prezzo da pagare
per vivere pacificamente, lontani dalla violenza dei “Quattro
Cavalieri”.
Se è plausibile “pagare” il ben vivere con l’esistenza di un certo
grado di disuguaglianza, meno tollerabile appare l’accettazione di
una situazione globale come quella che nel 2015 era espressa dal
fatto che le sessantadue persone più ricche del pianeta possedevano
la stessa ricchezza netta privata di oltre 3,5 miliardi di persone,
rappresentanti la metà più povera dell’umanità. E’ difficile
pensare che l’ulteriore peggioramento di tale disuguaglianza, come
l’ideologia neoliberista dominante lascia presagire, non scateni,
prima o poi, l’azione di qualcuno dei “Cavalieri” protagonisti
delle più violente “compressioni” già sperimentate, al fine di
rimuovere l’ineguale distribuzione del reddito e della
ricchezza.
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