Alfiero Grandi
La sentenza della Corte costituzionale tedesca ha messo in
evidenza – paradossalmente – problemi politici. Il primo è che la
Corte costituzionale di uno stato dell’Unione non riconosce come
unica sede di giudizio per decisioni e materie europee la Corte
Europea, o almeno non completamente e arriva a chiedere
perentoriamente alla BCE, istituzione europea, di giustificare
entro tre mesi le sue azioni di interventi di politica monetaria
minacciando il divieto alle sedi tedesche, in particolare alla
Bundesbank, di contribuire a queste azioni a livello europeo e
intima al parlamento e al governo tedesco di pronunciarsi su tutta
la materia. Forse per questo il Ministro delle Finanze ha
preannunciato che il Bundestag sarà chiamato a pronunciarsi sulle
misure anticrisi. Questo intervento a gamba tesa della Corte
tedesca, se diventasse realtà, metterebbe in discussione un
principio fondamentale degli accordi sovranazionali in Europa e
cioè la non possibilità per le Corti costituzionali dei singoli
paesi di invadere lo spazio europeo, essendo chiaro che se il
cattivo esempio venisse dalla Germania non si capisce perchè
dovrebbero rinunciare a dire la loro le altre Corti costituzionali
nazionali, con la conseguenza che il processo di integrazione si
avvierebbe sul viale del tramonto, apparentemente non per una
scelta politica.
Il secondo è che la Corte tedesca, a differenza di quella italiana,
si pronuncia su istanza di singoli e di associazioni. Da noi questo
non è possibile, l’accesso alla Corte non può avvenire da parte di
singole persone, per quanto autorevoli, o di settori della società.
I ricorrenti sono evidentemente difensori strenui della politica di
austerità, su posizioni apertamente conservatrici, se non di
destra, ed è la Corte tedesca che amplifica la loro voce con una
evidente scelta politica perché arriva ad intimare chiarimenti alla
Bce, pena il blocco del meccanismo per affrontare la crisi
economica, che deve cercare di recuperare i danni economici e
sociali della pandemia, in particolare nei paesi più colpiti, di
cui la politica monetaria e di acquisto di titoli pubblici sul
mercato secondario è un punto decisivo, anche se insufficiente.
Inoltre questi sono i giorni in cui dovrebbero essere chiariti gli
altri punti di intervento: dal meccanismo di sostegno al reddito di
chi rimane senza lavoro (Sure) agli interventi a favore degli
investimenti delle aziende attraverso la Bei, all’eventuale
utilizzo del Mes, senza trascurare il punto di caduta degli
interventi ulteriori sotto l’ombrello del recovery fund europeo che
dovrebbe valere secondo alcune versioni almeno 1500 miliardi
aggiuntivi. Del resto tutti gli stati importanti del mondo hanno
previsto interventi massicci per uscire dalla crisi e l’insieme di
questi filoni costituirebbe l’intervento europeo.
Se tutto questo dovesse fermarsi, ad esempio per l’improvvida
sentenza tedesca, l’Europa entrerebbe in una fase di sofferenza
dagli esiti imprevedibili.
Sia la Commissione europea che la Bce hanno avvertito il pericolo e
hanno subito rivendicato l’autonomia delle decisioni europea. Oggi
è arrivata anche la sentenza della Corte europea che ha rivendicato
in modo chiaro la propria esclusiva competenza, escludendo che
interventi nazionali, come quello della Corte tedesca, possano
bloccare questo percorso provocando la crisi del disegno europeo.
Su questo piano i chiarimenti ci sono stati, anche se le risposte
istituzionali tedesche avrebbero potuto essere più forti e rapide.
La riunione dell’Eurogruppo ha sciolto alcuni nodi ancora
aggrovigliati. Era ormai chiaro che il Mes era la via più
rapida per gli interventi. Rimanevano ambiguità da sciogliere come
la possibilità di avere parti non scritte all’inizio ma in grado di
essere poste anche dopo l’utilizzo del Mes. È vero che la
Commissione europea potrebbe anche senza il Mes chiedere misure
aggiuntive per fare rientrare i bilanci pubblici nel sentiero
previsto prima della pandemia, tuttavia è evidente che questo non è
possibile vista la situazione. Per evitare che questo possa
avvenire successivamente occorrono patti chiari e qualche
affermazione recente ha mantenuto un’alea di incertezza. È
necessario che la decisione sull’intervento del Mes sia netta.
Anche cambiargli nome non sarebbe male. Se i tempi per i prestiti
saranno mediamente di 10 anni si sarà fatto un bel passo avanti.
Anche i tassi siano debbono essere molto bassi e non un cappio che
si stringerà più avanti.
Resta ancora invece vago il Recovery fund. Cambiare nome non è una
tragedia, ciò che conta è che arrivi rapidamente a costituire un
fondo di intervento per la ripresa di grande forza, che abbia la
dimensione adeguata e che operi con strumenti a medio lungo sia con
tassi bassissimi che con interventi a fondo perduto. La Presidente
Von der Leyen aveva ipotizzato interventi 50 % con prestiti e 50 %
con interventi a fondo perduto, sarebbe un punto di partenza
rilevante. Per ora c’è un rinvio, sia pure con impegni confermati e
la crisi morde ora. Tutto questo per partire ha bisogno
dell’intervento della Bce a sostegno della raccolta di fondi a
costi pressoché inesistenti per finanziare i diversi capitoli di
intervento, quindi è necessario che non solo la Corte tedesca
rinunci alle sue intemerate ma anche che la Bundesbank partecipi a
pieno titolo alle iniziative della BCE. È giunto anche il momento
di andare oltre l’emergenza e ridiscutere i trattati in vigore, da
Maastricht fino ad oggi. Ci sono aspetti degli interventi di
emergenza che possono essere l’inizio di innovazioni di fondo,
modificando il rapporto tra intervento pubblico e mercato, tra
mercato e solidarietà. Resta da esaminare un aspetto
rilevante, cosa accadrà in Italia? Non si può dare l’impressione
che tutto dipende dall’Europa. Certo molto dipenderà dagli
interventi europei che possono essere anche l’occasione per un
passo avanti verso una vera Unione Europea.
C‘è anche da decidere ciò che deve fare l’Italia. Su questo c’è una
disattenzione preoccupante. Conte disse che piuttosto che ricorrere
a strumenti discutibili avremmo fatto da soli, un conto è tornare
alla realtà sapendo che in realtà fare da soli comporterebbe una
crisi gravissima del nostro paese, ma sapendo che ci sono scelte
che dipendono da noi. In sostanza gli interventi europei debbono
arrivare su canali già preparati per rafforzarli, non per
sostituire interventi nazionali. Gli interventi costano. Se c’è una
parte del paese che rischia di essere sospinto verso la povertà e
di imprese che potrebbero non riaprire occorre recuperare le
risorse necessarie là dove sono, cioè dalla parte che detiene
risorse e redditi sufficienti per partecipare ad una iniziativa di
solidarietà. Il silenzio ogni volta che l’argomento viene sollevato
è un errore e indebolisce la nostra trattativa in Europa. Questo è
un problema politico di fondo, non stupisce tanto che il governo
Conte 2 faccia fatica a parlarne ma che i partiti che lo sostengono
non aprano su questo una discussione con lo stesso impegno che vien
messo per recuperare risorse europee. Inoltre c’è un punto su cui
c’è un silenzio poco comprensibile. In altri paesi europei ci sono
esperienze che in diversi campi possono costituire un valido
esempio, come del resto anche iniziative italiane lo sono per altri
paesi. Perché non si possono studiare e copiare altre esperienze se
funzionano?
Ad esempio la Cassa Depositi e Prestiti è stata riformata
positivamente anni fa, oggi potremmo imitare l’esperienza tedesca
sulla gestione del debito pubblico. La gestione del debito pubblico
in Italia è un problema di prima grandezza e un’agenzia pubblica
specializzata potrebbe aiutare non poco a risparmiare e quindi
perché non adottare altre esperienze nella gestione del debito
pubblico, ad esempio sul modello tedesco. Se la proposta è valida
come dimostra il fatto che la Germania pur essendo in condizioni di
finanza pubblica più solide assicura una gestione del debito
attenta ci dice che probabilmente anche l’Italia avrebbe da
guadagnare da quel modello con risultati molto maggiori, visto che
il nostro debito pubblico ha un peso rilevante e richiede più
attenzione di altri.
Non sarebbe uno strumento risolutivo ma potrebbe aiutare a gestire
meglio un punto dolente della nostra economia.
- SARDA NEWS -
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE DI OGGI
Sarda News non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità nei suoi contenuti originali. La responsabilità del contenuto degli articoli importati dai feed rss è totalmente a carico della reale fonte dell'informazione indicata al termine di ogni notizia.
Sardanews.it - portale web informativo, non gode di finanziamenti pubblici, non chiede registrazioni personali agli utenti, totalmente gratuito, autofinanziato e sostenuto dai banner pubblicitari che compaiono tra le notizie. Se vuoi sostenerci ti ringraziamo per la fiducia e ti invitiamo a disabilitare eventuali adblock attivi sul tuo browser. Per info e segnalazioni scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.