Andrea Pubusa
Col Coronavirus torna d’attualità la
questione della costituzionalità dei decreti del presidente dell
Consiglio. Conte dispone limitazioni delle libertà individuali e
collettive con suo decreto. Ma è corretto tutto questo? Non è
esente da dubbi di legittimità costituzionale? E’ un lusso porsi
questi interrogativi nella grave situazione attuale? Pasquino
si domanda se un’emergenza di lunga durata accompagnata dalla
costante presenza di un solo decisore politico, non possa
costituire un pericolo per la democrazia. E osserva:
“cittadini-elettori abituati al fatidico “uomo solo al comando”
potrebbero affidarvisi anche una volta che l’emergenza sia
terminata”. Dal canto suoMarco Olivetti in un articolo
sull’Avvenire dei giorni scorsi evidenzia il rischio di
cadere nello “stato di eccezione”, nella sospensione delle libertà
fondamentali. E mette in luce come lo stato di eccezione sia
sempre presente negli ordinamenti civilizzati, fin dai romani, che
facevano ricorso alla Dittatura “in situazioni di
pericolo per la Repubblica, introducendo in quel caso una figura
giuridica – il dictator, appunto – che per sei mesi sostituiva i
consoli“. In epoca più recente non fu sulla possibilità dello
stato di eccezione che s’infranse la bella Costituzione di
Weimar?
Interrogativi comuni a tanti costituzionalisti da Flick a Pertici,
e (ben
riassunti da Riccardo Mastrorillo)[1]
e una comune considerazione sintetizzata così da Pasquino:
“terminata l’emergenza e sconfitto il coronavirus ci saranno
molte scelte difficili da fare. Si dovrà stilare una scala di
priorità. Risorse scarse dovranno essere motivatamente assegnate a
attività da privilegiare. Non basterà l’autorevolezza di un uomo
solo. Soltanto una società che abbia mantenuto l’attenzione alle
regole, alle procedure, alla necessità di un confronto potrà agire
in maniera soddisfacentemente democratica. Meglio riflettervi già
adesso“. Insomma, senza allarmismi, manteniamo l’occhio vigile
sulla nostra già troppo maltrattata Carta.
Vediamo più in dettaglio la questione. L’assemblea costituente ha
negato la possibilità di dichiarare lo stato d’eccezione nel nostro
ordinamento. Nel corso dei lavori preparatori della Costituzione fu
proposto dall’on. Crispo un articolo secondo il quale
“l’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o
sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo e dallo
stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo
stato d’assedio. Nei casi suddetti le Camere, anche se sciolte,
saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la
proclamazione dello stato d’assedio e i provvedimenti
relativi”. Questo testo, benché accolto dalla Commissione che
aveva predisposto il progetto, non fu mai posto in votazione e non
entrò quindi a far parte della Costituzione: è pertanto
manifestamente inaccettabile la tesi secondo cui esso potrebbe
trovare egualmente applicazione. La Costituzione contiene invece
all’art. 78 la previsione dello stato di guerra esterna, che è
deliberato dalle Camere le quali conferiscono altresì al governo i
poteri necessari. Ne deriva - ha osservato un autorevole
costituzionalista come Alessandro Pizzorusso - che una
dichiarazione di ’stato d’assedio’ avente una portata del tipo di
quelle che si ebbero durante la monarchia costituzionale o di
quelle previste da ordinamenti di altri paesi non è ipotizzabile in
Italia e che le situazioni che potrebbero giustificare
provvedimenti siffatti debbono essere fronteggiate con
provvedimenti ordinari, a cominciare dai decreti legge,
disciplinati dall’art. 77 della Costituzione e dall’art. 15 della
legge del 23 agosto 1988, n. 400, i quali non possono peraltro
derogare alle norme costituzionali che garantiscono i diritti
fondamentali di libertà e la forma di governo attualmente vigente.
E, se merita attenzione la tesi secondo la quale l’art. 78 potrebbe
venir applicato a situazioni di emergenza del tipo di quelle
derivanti da una guerra esterna ma dovute ad altre cause (come oggi
il Coronavirus - n.d.r.) , sembra per contro comunque certa la
competenza del Parlamento ad adottare ogni decisione definitiva in
proposito.
Quindi, si può osservare che se la sospensione delle libertà non è
ammesso in caso di guerra a maggior ragione non lo è in caso di
pandemia.
Il Governo italiano, in questi giorni, ha considerato la situazione
di emergenza generata dal coronavirus come un evento
igienico–sanitario idoneo a far scattare l’apparato della
Protezione civile e ha dichiarato a tal fine lo stato di emergenza
sanitaria. In conseguenza, ha adottato un decreto legge (il n. 6
del 2020), che ha individuato una serie di interventi limitativi
delle libertà e di altri diritti fondamentali e ne ha rimesso
l’attuazione a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
In questo quadro, tre dpcm (sigla che, appunto, indica i decreti
del Presidente del Consiglio) si sono susseguiti in pochi giorni,
per far fronte all’emergenza. Manca l’intervento del Parlamento.
Con il sistema attuale il Presidente del Consiglio viene di fatto
abilitato a stabilire quali limitazioni dei diritti fondamentali
possono essere adottate. Uno schema problematico proprio per
l’assenza di una base legislativa.
C’è un’elusione del principio di legalità. Il decreto legge
autorizza limitazioni assai invasive ai diritti fondamentali, ma lo
fa in modo generico, sicché tutte le regole sono delegificate, in
quanto il loro contenuto è rimesso a decreti del Presidente del
Consiglio. Questi ultimi sono sottratti a qualsiasi controllo
preventivo, dato che non sono emanati dal Presidente della
Repubblica (come decreti legge e regolamenti) e non sono sottoposti
a conversione in legge come i decreti legge e quindi non sono
soggetti a esame successivo delle Camere. Il Presidente del
Consiglio diventa quindi il temuto “uomo solo al comando”,
abilitato a stabilire effettivamente quali limitazioni dei diritti
fondamentali possono essere adottate. Questo schema appare
costituzionalmente problematico perché il principio di legalità
richiede che tutti gli atti degli organi politici e amministrativi
abbiano un loro fondamento specifico nella legge, espressione della
rappresentanza parlamentare. Occorre, dunque, che la strumentazione
per le situazioni emergenziali coniughi le esigenze di efficacia
con soluzioni procedurali più compatibili con la struttura
costituzionale italiana. Per esempio una legge che dichiari
l’emergenza igienico sanitaria e indichi precisi principi e
direttive al governo, sul modello del decreto legislativo.
Per l’attuazione di interventi di emergenza si assume a riferimento
la legge sulla protezione civile (n. 225/1992). Ma anche questa è
problematica. Essa ammette che si provveda “anche a mezzo di
ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto
dei princìpi generali dell’ordinamento giuridico”. Tali
ordinanze “devono contenere l’indicazione delle principali
norme a cui si intende derogare e devono essere motivate.”
Esse, infine, “sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana, nonché trasmesse ai sindaci interessati
affinché vengano pubblicate” nell’albo pretorio dei
comuni.
Come si vede, colpisce anzitutto il potere di deroga delle leggi
sulla base di atti amministrativi. Le legge che prevede queste
ordinanze, infatti, non contiene e non può contenere principi
specifici sulla situazione che non è in atto nè è prevedibile nelle
sue caratteristiche. Viene violato, dunque, il principio di
legalità, che - si ripete - richiede vincoli legislativi specifici
e puntuali. Tuttavia, si deve subito considerare che le
“ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente” “devono
essere adottate “nel rispetto dei princìpi generali
dell’ordinamento” e, dunque anzitutto dei principi
costituzionali. E fra questi ci sono i diritti fondamentali, le
prerogative del parlamento e c’è anche quello di autonomia. Dei
diritti e delle prerogative del parlamento vale quanto già detto.
La deroga con atto di governo che s’imponga anche alle autonomie
significa che queste, dichiarato lo stato d’emergenza, non
esistono. Non vi sembra troppo? Qui la deroga non è alle leggi, ma
alla Costituzione e allo Statuto speciale (che è legge
costituzionale). Questo non è ammissibile e non è detto nella legge
225/92. Non a caso di solito si precisa che le ordinanze in deroga
devono essere assunte “d’intesa col Presidente della Regione”. E
dunque quest’ultimo che deve farsi garante del rispetto della
autonomia e della legge regionale e non deve dare l’intesa ove
questa glielo vieti.
Discutere di questi temi oggi - come hanno detto tanti, da Pasquino
a Flick - può apparire un lusso. Ma attenzione a non fuoriuscire
dai binari della legittimità costituzionale e della legalità perché
si scade, senza accorgercene, alle “vie di fatto“, ossia
si fuoriesce dalla legalità. Ed allora, attenzione, un potere che
si esprime con le vie di fatto è sempre abusivo e
pericoloso. Siamo fuori dallo Stato di diritto e dalle garanzie che
esso ci offre. Oggi lo si fa per il coronavirus, domani chissà… E
poi oggi c’è Conte, democraticamente affidabile, domani chissà! Con
certi personaggi in circolazione non c’è da star tranquilli!…Vien
da preferire il rischio del contagio! Su queste questioni non
c’è spazio per disattenzioni o pigrizie: dobbiamo essere
esigenti.
References
- ^ (ben riassunti da Riccardo Mastrorillo) (critlib.it)
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