Gianna Lai
Nuova domenica, nuova puntata sulla storia di Carbonia, il primo post il 1° settembre 2019[1].
Continuano ad essere anche per tutto il dopoguerra le sinistre e
le leghe l’unico sostegno per i nuovi arrivati in città, sempre
nella totale mancanza di forme pur minime di assistenza sociale:
l’ospitalità nelle sezioni e l’aiuto alle famiglie, attraverso il
contatto diretto con le sedi del PCI e del PSI in tutta Italia,
quando dalla miniera la direzione apre a nuove assunzioni. E
mantenevano gli stessi iscritti ai partiti, in tal modo, i contatti
col luogo di provenienza e si rinsaldavano legami nati in
precedenza, nell’esercito, in altre miniere, se non nelle
campagne o nei cantieri edili o nelle bonifiche. Un movimento
continuo di lavoratori e disoccupati provenienti da tutta la
Sardegna, nel quale Carbonia risultava una sorta di centro di
smistamento, sembrava che tutti, un giorno o l’altro, in quel
secondo vorticoso dopoguerra, dovessero passare per Carbonia. E si
andava, tra gli iscritti ai partiti della sinistra, ben oltre il
rapporto interno alla sezione e alla diffusione della stampa e del
materiale di propaganda, sopratutto verso uno vero scambio di
conoscenze e di esperienze, fondato sull’agire quotidiano, in
luoghi diversi e tra uomini diversi. Le prime relazioni di
grande solidarietà tra vecchi e nuovi minatori nascevano proprio
così, l’intesa politica e la comunanza di idee e poi
l’addestramento professionale al mestiere di minatore. Nella lega,
infine, la formazione sindacale per trovare, ciascuno, una
collocazione definita a seconda del lavoro da svolgere in
miniera. In sostituzione di una scuola per minatori, l’azienda
governativa non assicurando neppure l’alfabetizzazione delle
centinaia di lavoratori che, ancora nel dopoguerra, a Carbonia, non
sapevano leggere, scrivere, né far di conto.
Così anche molti partigiani comunisti, ingiustamente
perseguitati con l’accusa di aver compiuto delitti subito dopo la
fine della guerra, e che per porre fine alle persecuzioni
preferivano allontanarsi dal luogo di residenza, avrebbero trovato
a Carbonia, come racconta Renato Mistroni, l’aiuto e l’assistenza
degli attivisti cittadini, la miniera il luogo di lavoro, per poter
poi proseguire nell’impegno politico quotidiano. Ed è questa
provenienza ad allargare in città le conoscenze sulla guerra e
sulla lotta partigiana, dalla battaglia di Stalingrado allo sbarco
alleato in Sicilia, ai luoghi della Resistenza in Italia, le
vicende e le narrazioni intorno alla linea gotica. E sui
lavoratori delle città del Nord, con gli scioperi del 1943, quel
primo fronte compatto, nel fronte interno, a dire no al fascismo e
al nazismo. E la difesa delle fabbriche contro i tedeschi,
che volevan trasferirle in Germania, e la fuga dei padroni,
subito dopo quella del re, di Mussolini e dello Stato Maggiore
dell’esercito. Il significato che assumeva anche nel Sulcis
la conoscenza del movimento di Liberazione, la volontà di quei
giovani di non cedere all’invasione nazista, per riacquistare
dignità e libertà. Di resistere di non farsi sopraffare dalla
rassegnazione, quel ‘militarismo ribelle dei partigiani della
montagna’ di Giorgio Bocca. In miniera a Carbonia, tra di loro,
anche due partigiani sardi, che qui vogliamo ricordare,
Antonino Usai nato a Narcao nel 1922, che fu partigiano tra la
Toscana e l’Emilia Romagna, a Bologna il giorno della
Liberazione, rientrato in Sardegna a lavorare nella
miniera di Serbariu, fin dal settembre 1945. E Eugenio Tatti, Tirsu
il nome di battaglia, nato a Bitti nel 1919, partigiano combattente
in Piemonte nella Brigata Garibaldi, battaglione Gavagnino, già
militare nell’esercito, prima dell’8 settembre, nel dopoguerra a
Carbonia, alla fine degli anni quaranta. Che raccontava di essere
artificiere guastatore, riparato presso una famiglia piemontese al
confine con la Francia, dove fece l’agricoltore, come a
Ruinas, da cui proveniva, fino a quando un rastrellamento tedesco
non lo costrinse alla fuga in montagna, dove si unì ai
partigiani.
Una tensione ideale che ebbe funzione educativa nel Sulcis, le
bande partigiane formate da ragazzi poco più giovani, o coetanei,
di chi, a quel tempo, sentiva le loro storie in miniera e
sicuramente il più valido sostegno, negli anni della Guerra fredda,
al processo di formazione, anche in città, del movimento per la
pace.
Ancora una nuova massiccia immigrazione di lavoratori durante
questo secondo dopoguerra e tanti nuovi iscritti e
simpatizzanti nelle sezioni della sinistra, dove ferve la
riorganizzazione del lavoro politico, con i programmi di
partito da far avanzare in una realtà locale che, nel mentre, sta
mutando profondamente, in particolare dopo la riapertura dei
mercati, invasi dal carbone americano. E mentre il PCI modifica il
suo quadro dirigente in città, dopo il rientro nella penisola di
molti attivisti, Montagni, Contorni e Poletti, tra i primi,
Carbonia diventa centro di interesse della politica nazionale,
intensificando in quel tempo la loro attività in Sardegna Renzo
Laconi e Velio Spano che, più di altri, si sarebbero impegnati a
saldare le lotte di Carbonia a quelle dei lavoratori sardi.
Continuo il riferimento alla classe operaia nazionale e
internazionale, in un contesto ampio di alleanze operai-contadini
del Sulcis e della Sardegna, dove la protesta nelle campagne
comincia a far avanzare richieste di applicazione, anche
nell’isola, dei decreti del ministro comunista Gullo, emanati nel
1944, sulla distribuzione delle terre incolte alle cooperative di
contadini. E sarà assidua la presenza a Carbonia, di
Spano e Laconi, numerosissimi i comizi e gli interventi nelle
sezioni, mentre quadri nazionali di uguale prestigio vengono
inviati in tutto il Mezzogiorno, secondo una direttiva che, oltre a
Velio Spano e Renzo Laconi in Sardegna, vedeva Amendola in
Campania, Li Causi in Sicilia, ecc. E sarebbe stato lo stesso
Palmiro Togliatti a sostenerne l’importanza, durante la
Conferenza regionale dei quadri a Cagliari, aprile 1947, che
preparò l’elezione di Velio Spano, sei mesi dopo, a Segretario del
Partito comunista in Sardegna.
L’intervento su Carbonia andava collocato nell’ambito di un
progetto di democratizzazione dell’isola e dell’intero
Meridione, la debolezza delle cui forze produttive, per decenni
oppresse dalla gestione di un Stato accentratore e burocratico, era
stata di impedimento alla crescita economica e sociale delle
popolazioni. Perciò il Partito nuovo che, con la sua politica di
unità nazionale, mira alla costruzione di una democrazia
progressiva nel paese, guarda con interesse alla nascita di un
vasto movimento popolare isolano, nel contesto della strategia
autonomistica allora emergente, ‘per l’autogoverno del popolo
sardo, per una nuova Sardegna autonoma e democratica’. Secondo
cioé, le parole d’ordine pronunciate da Renzo Laconi al Congresso
regionale del maggio 1945 e fortemente sostenute dallo stesso
Togliatti, coinvolgimento cioè di tutte le forza
progressiste, nella realizzazione di un programma di sviluppo e di
avanzamento sociale.
“Unità antifascista degli operai, dei contadini degli intellettuali
di Sardegna, in accordo con le forze democratiche progressive del
Continente, contro gli sfruttatori e gli oppressori continentali e
sardi”, aveva scritto su Rinascita Velio Spano nel luglio del
1944, per la cui realizzazione tuttavia, secondo Renzo
Laconi, non erano ormai più sufficienti le sole forze di
avanguardia, “ma era necessario che la classe operaia uscisse
dal suo isolamento, mobilitasse con sé la classe contadina e i ceti
medi, promuovesse intorno a sé l’unità del popolo sardo”. Avendo
attuato, sulla divisione delle forze sociali, il passato regime, e
sull’isolamento dei lavoratori, la sua politica reazionaria. In
effetti anche le ragioni della scarsa incidenza dei partiti
nell’isola, ne erano convinti i due dirigenti, risalivano al modo
stesso col quale era avvenuta, dopo la caduta del fascismo,
la loro rifondazione, privi cioè, quasi del tutto, di rapporti
diretti col gruppo dirigente nazionale. E poiché attualmente la
presenza del partito comunista era forte solo nei centri
minerari, bisognava che la battaglia autonomistica partisse
proprio da qui, da questo nucleo di classe operaia organizzata.
Sarebbe servito, in primo luogo, a collocarne le lotte a fianco del
movimento dei contadini e a impostare, anche col Psd’az e con la
DC, non essendo ormai più possibile, non tener conto del suo
carattere popolare e di massa, come aveva ribadito lo stesso
Togliatti, un confronto critico ed aperto sulla condizione
politica e sociale della regione 3). In una regione povera di
centri ubani come la Sardegna, saldare le esperienze degli operai
della città a quella dei contadini nelle campagne, creando legami
con tutto il Sulcis-Iglesiente, da cui proveniva la maggior parte
dei minatori, molti dei quali ancora nei paesi risiedevano. E
Carbonia accolse questa linea politica rafforzando, tra gli
attivisti più impegnati, la coscienza di poter uscire
dall’isolamento proprio grazie alla ricostruzione del paese.Verso
una nuova unità con la classe operaia organizzata del Nord, così
avanzata da poter fare da traino alle masse del Sud, prima
scadenza, le lotte sindacali sui contratti collettivi
nazionali di lavoro.
References
- ^il 1° settembre 2019 (www.democraziaoggi.it)
- SARDA NEWS -
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