Gianna Lai
Oggi nuovo post domenicale su Carbonia, dal 1° settembre 2019[1].
Al 1945, e per tutto il 1946, i salari orari medi dei lavoratori
dell’interno, nel Sulcis-Iglesiente, si attestano intorno
alle 25,75 lire per i manovali, 33,25 per i minatori, 42,38
per i sorveglianti, mentre si registra un incremento
del rendimento medio totale per operaio, da 0,281 tonnellate,
gennaio 1946, a 0,302, dicembre dello stesso anno.
Così basse le paghe in Italia, secondo lo storico Paolo Spriano,
vera sofferenza “del vivere quotidiano: uno dei dati più
drammaticamente reali dell’immediato dopoguerra, il salario
reale medio scende al 50-60% di quello del 1938″. E, per
l’immediato futuro, niente di buono, “al 30 ottobre 1946, data di
inizio della tregua salariale stabilita con le organizzazioni
sindacali, il salario reale è in costante diminuzione”.
Questo il quadro secondo Giorgio Candeloro, “fra il ‘39 e il ‘45 il
costo della vita aumentò di quasi 25 volte, mentre l’indice medio
dei salari operai salì solo di 5 volte, i bilanci familiari
assorbiti totalmente dalle spese per la sussistenza, poco meno di
due milioni i disoccupati”. E se ne individuano le cause
nelle politiche governative, fondate sulla compressione della
spesa, “prevalendo nei programmi per la ricostruzione le scelte
liberiste, che ponevano al margine l’intervento dello Stato e
difendevano la sovranità dell’impresa privata e la centralità del
mercato”.
Anche a Carbonia la ricostruzione si fa coi bassi salari e mettendo
in pericolo migliaia di posti di lavoro, a fronte di una massa
sempre crescente di disoccupati, sempre all’insegna
dell’emigrazione di origine rurale il quadro dell’avvicendamento in
città. L’ACaI, miniera a gestione governativa di proprietà
dello Stato per il 98%, per il 2% di enti parastatali, resta
più che mai domina della città, né mai si sogna di costruire
relazioni più consone alla nuova fase politica dell’Italia della
Repubblica, miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita per
i minatori, a garanzia della dignità umana e del futuro della
città. “Principale responsabile dello sfruttamento in miniera, il
sistema di cottimo, le cui tabelle si aggiornano man mano, a
seconda dei ritmi che i lavoratori stessi davano alla produzione, e
tutto basato sui conteggi definiti dal sorvegliante: ne
consegue una struttura fortemente gerarchizzata, non
certo per ragioni tecniche, ma per poter esercitare un controllo
continuo e diretto sul personale”. Questo secondo la testimonianza
di Aldo Lai, a quel tempo dirigente regionale degli
autoferrotranvieri CGIL e della locale sezione del PSI. “Impiegati
tecnici, ma sopratutto amministrativi, e poi sorveglianti e
capisquadra, erano tutti fortemente legati alla direzione nello
svolgimento delle loro mansioni e, sopratutto, garantiti da
un decente trattamento economico. Ben pagati in particolare i
sorveglianti, rispetto ai minatori, minatori essi stessi che
controllano i ritmi di lavoro, ma considerati talvolta dagli
operai vere e proprie spie dell’azienda, nella
segnalazione dei minatori considerati ‘insubordinati e riottosi’ .
E fortemente coinvolti nella gestione del lavoro assegnando
essi stessi, su incarico del caposervizio, i cantieri alle
varie squadre. E poiché non si fanno reali e serie
distinzioni tra filone e filone, i minatori
assegnati a quelli più redditizi, in base alle simpatie del
sorvegliante stesso, lavorano di meno e
guadagnano di più, con grave nocumento per il lavoratore destinato
ai luoghi meno redditizi, spesso in modo punitivo. Come nel caso
dei comunisti e dei minatori sindacalizzati. La retribuzione ad
incentivo, calcolata su tabelle di cottimo continuamente aggiornate
dalla direzione aziendale, indennità di cottimo e indennità di
presenza, da aggiungere alla misera paga base, essendo le altre
varie indennità e i vari premi una tantum, sempre sganciati dal
salario base”. E rigida sempre la disciplina in miniera, in
particolare ai tempi dell’ingegner Giorgio Carta che, entrato
come dirigente locale, fece poi carriera, divenendo direttore
di gruppo e poi direttore generale. “A Seruci fu considerato tra i
peggiori, trattava gli operai come schiavi, sottoponendi in
continuazione a sanzioni pecuniarie, secondo il giudizio del
sorvegliante, persino quando i lavoratori si riposavano fuori
orario-riposo, o quando non producevano come i dirigenti avevano
stabilito che producessero, non riuscendo a completare l’intero
ciclo”. Ed aggiunge Vincenzo Cutaia, della lega minatori, al tempo
membro di Commissione interna, “in quel clima antisindacale,
difficile la contrattazione aziendale sulle condizioni di
lavoro: restammo a lungo privi di vere attrezzature
antinfortunistiche, mentre fioccavano multe e punizioni, in
particolare durante i momenti di maggior contrasto, durante
un’agitazione o una protesta; e poi sospensioni durante gli
scioperi cosidetti politici, e poi schedature, come sempre, dal
tempo del fascismo. E sempre mal retribuite le maestranze,
arrivando al colmo, noi operai, di sperare che il tempo passasse
più lentamente, per riuscire a lavorare di più, proprio a causa
dell’applicazione del cottimo, la stessa del tempo degli alleati”.
E se, rincarando la dose, Cutaia considera “venduti molti
capisquadra, in gara fra loro per imporre ritmi più veloci ai
minatori”, certo sorvegliata speciale ad oltranza deve ritenersi
quella massa in continuo movimento, e ancora sottoposta alle solite
forme di ricatto che, nelle pessime condizioni di
lavoro della miniera, possono spingere alla reazione immediata e
alla ribellione incontrolla. A risponderne son chiamati i dirigenti
il movimento, per impedire l’esercizio delle libertà sindacali in
miniera e per avere, d’ora in poi, mano libera sui licenziamenti,
che si annunciano di massa: ignorati se non addirittura
perseguitati i componenti le Commissioni interne nei vari
cantieri.
Così il dirigente nazionale CGIL Aladino Bibolotti, in visita a
Carbonia nel 1945, aveva drammaticamente svelato, senza
incertezze, responsabilità e ingiustizie, come riferisce Ignazio
Delogu, “Questi uomini erano esasperati per l’incuria in cui erano
da troppo tempo lasciati dai dirigenti della Carbonifera che sono,
al tempo stesso, dirigenti e padroni della municipalità e di
tutta quanta la vita del paese…: i minatori e le e loro famiglie
sono stati abbandonati a se stesssi, alla loro miseria, alle loro
malattie e, come se ciò non bastasse, nelle miniere si è instaurato
un sistema di vessazione e di angherie contro cui si leva la
coscienza di ogni uomo civile”. Non cambiano le cose nemmeno dopo
la nascita della Repubblica.
References
- ^1° settembre 2019 (www.democraziaoggi.it)
- SARDA NEWS -
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