Gianna Lai
Nuovo post domenicale sulla storia di Carbonia. L’inizio il 1° settembre 2019.[1]
Massicce fin da subito le adesioni al sindacato a Carbonia,
ricreare il sindacato libero significa abituare, rieducare i
lavoratori ‘alla partecipazione democratica, dopo il sonno forzato
imposto dal fascismo, e cominciare a costruire nell’attività
quotidiana quadri e dirigenti in grado di rispondere ai bisogni e
alle richieste di tutela degli operai e dei lavoratori di fronte
all’arbitrio del padronato e all’estraneità dei poteri pubblici,
sopratutto in seguito alle speranze suscitate dalla
liberazione del paese’, allora in atto, dice la studiosa Giannarita
Mele, in Storia della Camera del lavoro di Cagliari, riferendosi
all’impegno del sindacato nella provincia di Cagliari1).
Ed alle leghe i minatori di Carbonia si iscrivono in massa,
liberi da preclusioni di natura politica, particolarmente evidenti
di fronte alla rigida disciplina imposta dal PCI ai suoi militanti,
perché i più indecisi ritenevano il sindacato una struttura meno
impegnativa del partito, più adatta a chi non intendesse fare
scelte considerate troppo radicali. La realizzazione, infine,
delle Commissioni interne aprì questa prima fase del movimento
sulcitano, verso la costruzione di strutture operaie
autonome. ‘Organismi rappresentativi di tutti i lavoratori di una
fabbrica, eletti dai lavoratori stessi ….esse diventarono
rapidamente organi di direzione militante delle lotte operaie’,
come scrive Vittorio Foa, pur sperando i capitalisti ‘di mettere
ordine in fabbrica, di mettere le commmissioni interne sotto la
disciplina dei sindacati’, avendo esse, ‘in questo periodo, poteri
di negoziazione sindacali, che dopo la Liberazione furono
tolti’. E sarebbe stato tale l’impegno dei militanti nel
corso di quei mesi in città, che già all’inizio del 1945 erano 145
i membri eletti a far parte delle Commissioni interne, sopratutto
di provenienza comunista. Rappresentanze ancora fragili, che
avrebbero fatto fatica a radicarsi in miniera, ma sempre
combattive e puntuali nell’informazione dei minatori: contratti di
categoria, regolamenti interni e loro applicazione, questi i
primi compiti su cui lavorare e dare risposte immediate.
Perciò le questioni su ‘orientamento produttivo e
organizzazione del lavoro’, pur previste negli accordi nazionali,
non trovarono spazio in quei mesi all’ordine del giorno delle
assemblee convocate dalle Commissioni interne, o nei rapporti fra
rappresentanze operaie e azienda. E, si può dire che, a
caratterizzare sopratutto la linea d’azione dei nuovi organismi
operai dentro i cantieri, fu l’aver avviato, insieme alle
leghe dei minatori, la battaglia sul salario e sullo
sfruttamento, a partire cioè, dal prolungamento dell’orario di
lavoro in miniera.
Un processo lungo e non privo di contraddizioni si
preparava per il movimento operaio organizzato, perchè
‘il sindacalismo libero, riemerso alla luce dopo la caduta del
fascismo, ha avuto una pesante eredità dal sindacalismo coatto del
periodo corporativo, 1926-1943. In primo luogo i bassi salari’ e
poi la disoccupazione di massa, ‘il vero grande protagonista della
storia italiana del secondo dopoguerra che,
costringendo i lavoratori ad una affannosa
ricerca di lavoro,..frenava le lotte rivendicative e la costruzione
del sindacato’, come dice Vittorio Foa in Sindacati e lotte operaie
1943-1973, fino a toccare la disoccupazione ‘nel dopoguerra la
cifra di due milioni, mentre quella parziale o nascosta toccava
punti ancora più alte’. 2)
Le funzioni attribuite alle Commissioni interne, anche in città,
riguardano, in particolare, la contrattazione locale con la
dirigenza della miniera, l’applicazione degli accordi e dei
contratti nazionali, l’intervento nelle controversie,
dall’inquadramento di categoria per i nuovi operai, ai gravi
contrasti con la direzione stessa sulla gestione del cottimo e
sulle condizioni di lavoro nei cantieri. Fino all’assistenza
sociale dei minatori e all’intervento sulla questione delle razioni
alimentari, prevedendo, in ultima istanza, la partecipazione
degli organismi di categoria territoriale, qualora le
trattative si protraessero troppo a lungo nel tempo. Ed è per
Statuto, nel primo Congresso nazionale della CGIL, Napoli,
gennaio del 1945, che si era stabilito ‘di accentrare la
contrattazione del salario a livello confederale, togliendo ogni
competenza alle Commissioni interne delle fabbriche, per
timore di troppe differenze aziendali e settoriali, e quindi,
in nome dell’unificazione del lavoro di fronte a tante
diseguaglianze e del raggiungimento di una base di diritti del
lavoro uguali per tutti’, come dice ancora Giannarita Mele.
Fondamentale l’intervento delle strutture territoriali, per
recepire e applicare gli accordi e i contratti nazionali, a partire
dall’intesa fra CGIL e Confindustria, del febbraio 1945, su
carovita e assegni familiari, prima grande prova della CGIL anche a
Cagliari. ‘Una politica verso tutte le categorie di lavoratori’,
nel contrasto con l’Associazione Industriali della provincia,
allorché si trattava di ‘richiedere la mediazione del prefetto e
far leva sulle disposizioni dell’Alto Commissario, perché gli
accordi nazionali venissero finalmente applicati’. E di sviluppare
grande impegno per la costituzione degli organi dirigenti di
tutte le altre Camere del lavoro, che coprono il territorio della
provincia e interagiscono con le leghe, vertenze e agitazioni
nei due luoghi determinanti per l’economia e per la concentrazione
di lavoratori, centri minerari, cioè, e campagne. Dai quali avrebbe
dovuto partire l’alleanza operai contadini, se pensiamo anche agli
esiti del decreto Gullo sulla concessione delle terre incolte ai
contadini, organizzati in cooperative, risalente al 19 ottobre
1944.3)
. A Carbonia le Commissioni interne vengono talvolta definite
Commissioni alleate, in quanto vi partecipa, inizialmente, anche un
rappresentante del Comando alleato di stanza in città. Qui
bisogna partire dalle esigenze più immediate di una massa
spoliticizzata, che scopre il valore del dibattito e della
discussione nei piazzali stessi della miniera, quando ancora le
Commissioni interne non erano riuscite ad ottenere dalla direzione
dell’ACaI neppure i locali in cui riunirsi. Nel passaggio da
un turno all’altro il momento giusto per intervenire e coinvolgere
anche i più rassegnati, la prima esperienza di libertà: civiltà
nuova sentir parlare di obiettivi da raggiungere e forme di
lotta a cui potersi unire, per l’avanzamento della propria
condizione e di quella degli altri operai della miniera.
Verso una vera presa di coscienza dello sfruttamento, che non era
affatto venuto meno rispetto ai tempi del fascismo, di definizione
dei propri interessi e delle nuove allenze da costruire nelle
lotte comuni per la trasformazione del territorio.
E non era distinta a quel tempo l’attività politica da quella
sindacale, lo si capisce attraverso la lettura dei verbali di
Sezione, lo confermano le testimonianze. Un dirigente di partito
poteva contemporaneamente ricoprire incarichi nella Lega dei
minatori, come succede a Renato Mistroni e a tanti altri, secondo
un difetto di origine, difficilmente superabile, a causa dello
scarso numero di quadri, già formati, esistenti in città. A
prevalere, come vedremo, l’immagine del sindacato cinghia di
trasmissione, formula molto in voga nelle fabbriche fino agli anni
Sessanta, pur avendo la CGIL definito la completa autonomia della
Confederazione generale dalle organizzazioni politiche.
In città, Commissioni interne, leghe e sezioni di partito a
svolgere quella funzione di accoglimento e di orientamento per i
nuovi arrivati che, solo dopo la caduta del fascismo e la fine dei
sindacati corporativi, Carbonia impara a conoscere e a promuovere.
Finalmente qualcuno che si prenda cura dei lavoratori oppressi
dagli eventi di guerra, che ne prenda le difese di fronte alla
direzione ACaI, di fronte alle autorità provinciali e governative.
Mai molto tenere con i minatori, con il movimento operaio e con le
sue dirette rappresentanze.
References
- ^ 1° settembre 2019. (www.democraziaoggi.it)
- SARDA NEWS -
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