Gianna Lai
Oggi domenica post settimanale sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019[1].
Disoccupazione di massa,
la temutissima prospettiva in città, così come nel resto del Paese:
a detta di Giorgio Candeloro i senza lavoro aumentano, “dai 2
milioni di gennaio, ai due milioni e mezzo di giugno”, rimanendo
tale per parecchi anni il livello della disoccupazione, un
“elemento per così dire strutturale dell’economia italiana, solo in
parte attenuato, nella prima parte degli anni cinquanta, dalla
ripresa dell’emigrazione verso l’estero”. E per far avanzare la
lotta ci si prepara alla “non collaborazione”, nuova forma di
protesta contro il cottimo, secondo una spinta rivendicativa
egualitaria, quella che nel dopoguerra, principalmente, “animava
gli operai dell’ industria”, come sottolinea spesso Vittorio Foa
nei suoi scritti sulla storia del sindacato in Italia. “Compiere le
operazioni strettamente previste”, rifiutando il cottimo che impone
tempi pesantissimi e salari che prescindono dalla quantità di
lavoro svolto, aggravando, per quanto riguarda ad esempio i
cantieri minerari, la condizione dell’operaio impegnato in luoghi
particolarmente disagevoli. Da uno sciopero che blocca la
produzione a una forma di astensione che conserva il salario e
induce la massa a comprendere i meccanismi divisivi cui viene
sottoposto l’operaio dall’azienda, attraverso appunto l’uso del
cottimo. Una nuova presa di coscienza emerge durante la
mobilitazione anche a Carbonia, tale da rendere così simile,
reciproca, l’esperienza già in atto tra i lavoratori della
penisola, sopratutto nel rapporto con sorveglianti e tecnici, che
controllano direttamente il cottimo di ciascun operaio. E nel
rapporto con l’azienda, che pretenderà di dichiarare fuorilegge la
pratica del lavoro in economia, così centrale, ben specificata e
riconosciuta, invece, nei Contratti Collettivi Nazionali.
Verso una lotta dura, dunque, anche a Carbonia, mentre già L’Unità
del 12 giugno denuncia un piano di licenziamenti per migliaia di
operai, insieme alla chiusura immediata di Sant’Antioco, secondo
decisioni appena annunciate dall’amministratore delegato Stefano
Chieffi in una lettera destinata all’Alto Commissario: vi “si
prospetta il licenziamento del 50% dei minatori”, conclude
l’articolo, non di alleggerimento si tratterebbe, dunque, come
invece avevano assicurato in quei mesi i dirigenti SMCS. Ed intanto
diviene prioritario “combattere le nuove forme di boicotaggio della
produzione, messe regolarmente in atto dall’azienda”: declassamenti
delle qualifiche, operai qualificati che diventano manovali,
trasferimenti a Sirai di manovali dall’esterno all’interno, con lo
scopo di diminuire la resa-uomo, e quindi la produzione, come
denuncia ancora L’Unità del 19 e del 20 giugno 1948.
Il 2 giugno, ordine del giorno della Camera del lavoro di Carbonia
contro i licenziamenti effettuati senza alcun preavviso né alle
Commmissioni interne né al Consiglio di gestione, tra i licenziati
alcuni dei suoi membri, e contro l’ostruzionismo dell’azienda e
dell’Associazione Industriali all’apertura di nuove trattative.
Un’ora di sciopero per i 3 turni, mentre parte la “non
collaborazione” e l’invito a tutti gli operai licenziati e
trasferiti a non lasciare il posto di lavoro in miniera. E la
richiesta, estesa a tutte le forze democratiche, di partecipazione
alla protesta e alle assemblee popolari, senza dimenticare che
quella lotta si innesta e si affianca agli scioperi dei braccianti
dell’isola e della penisola: questo il richiamo contenuto
nell’ordine del giorno della Camera del lavoro cittadina, centrale
l’alleanza tra operai e contadini. Mentre si susseguono incontri e
manifestazioni, grande assemblea popolare con Antonio Selliti e
Silvio Lecca, i due dirigenti massimi della Camera del lavoro
cittadina, rispettivamente comunista e sardista lussiano, ma nel
silenzio della controparte, annuncia ancora L’Unità dell’8 giugno.
E nel profondo dissenso della corrente democristiana interna alla
CGIL, preannuncio della imminente scissione.
Così, in risposta agli operai trasferiti e licenziati che
continuano a scendere nei pozzi, la direzione fa staccare la luce,
impedendo il funzionamento degli ascensori, mentre definitiva si
annuncia la chiusura dello stabilimento per la distillazione di S.
Antioco e il licenziamento dei 216 operai dipendenti. Anche le
donne licenziate dalla laveria ora rifiutano di abbandonare il
luogo di lavoro, i minatori di abbandonare i pozzi, dove restano
chiusi in segno di protesta, dando inizio al cosidetto “sciopero
alla rovescia”. Ed è solo grazie all’interpellanza di Renzo Laconi
e di Velio Spano in Parlamento, e all’intervento del Consultore
Borghero presso l’Alto Commissario della Sardegna, che l’azienda si
vede costretta al rinvio della chiusura di S. Antioco e
l’Associazione degli Industriali a convocare le rappresentanze
sindacali, intermediazione garantita dallo stesso prefetto di
Cagliari.
Non per questo si interrompe la protesta, Pozzo Roth e i 2500
operai di Bacu Abis scioperano ancora un’ora, l’11 giugno, per
imporre alla SMCS la trattenuta diretta sul salario della quota di
iscrizione alla CGIL che, al momento, la direzione si rifiuta di
eseguire. Il 12 giugno, sciopero di un’ora ancora a Pozzo Roth e a
Bacu Abis, contro gli accertamenti del commissario capo, sulla
denuncia di un operaio “minacciato per motivi politici”, che ebbe
“esito negativo”, come si legge sulla relazione del questore,
mentre gli operai “chiedono l’allontanamento dell’operaio stesso,
non gradito” come si precisa poi in chiusura. Ed ancora il 23
giugno, 700 operai, sempre a Pozzo Roth, scioperano contro
l’affissione di un manifesto della direzione, che ribadisce le
norme disciplinari contrattuali nei confronti degli operai assenti
arbitrariamente al turno di lavoro 6). E manifestazioni a Tanas e
Schisorgiu e Pozzo Vigna, i minatori trasferiti continuano a
scendere nei pozzi, pur sospesi dalla direzione, come apprendiamo
ancora da L’Unità del 20 e del 22 giugno 1948.
Fino alla “grande manifestazione ieri, 21 giugno, a S. Antioco, dei
lavoratori del Sulcis”, su L’Unità del 22 giugno. “Comizio di Velio
Spano, contro la politica sabotatrice della Carbosarda, vecchi di
cinquanta anni i sistemi di lavorazione dello stabilimento per la
distillazione del Sulcis; oramai orientati verso la smobilitazione
i dirigenti, a favore dell’imperialismo americano e per la
distruzione, in Sardegna, delle punte avanzate del movimento
isolano”. E sollecitano ancora, lavoratori e sindacato,
“l’intervento del prefetto Villasanta, perché la riunione [per
dirimere la vertenza, n.d.a.] avvenga a Carbonia, sede naturale, e
non a Cagliari, onde assicurare il giusto peso al problema e, al
prefetto, di potersi rendere conto di persona della situazione”.
Sua quindi, la convocazione immediata delle parti, come ricorda
L’Unità del 18 e del 23 giugno.
Nella relazione del prefetto di Cagliari al ministro dell’Interno,
l’andamento della protesta di giugno, fin dalla data del 9 del mese
quando, nell’incontro fra le parti, i rappresentanti sindacali
spiegano le ragioni che hanno spinto gli operai “a negare la
propria collaborazione all’azienda”. E si parla poi dell’accordo
raggiunto il 24, dopo aver appreso espressamente dal direttore
generale, le rappresentanze sindacali, come fosse “esclusa la
possibilità di una smobilitazione”, nel quadro della situazione
economica data. L’accordo del 28 giugno consentirà all’azienda di
“procedere alla riorganizzazione con una certa tranquillità”,
conclude il prefetto, pur prevista la chiusura dell’impianto di
distillazione per il mese successivo, “a causa degli alti costi di
produzione: gli operai trasferiti ai lavori della diga di
Monteprama”. Il prefetto, presente alle trattative, ne delinea il
30 giugno i passaggi significativi, così come li abbiamo desunti
dalla lettura; più lapidario invece il questore, in data 25 giugno:
“Le astensioni dal lavoro nell’inquieto bacino minerario del
Sulcis, ad opera delle organizzazioni sindacali appoggiate dalla
Camera del lavoro, sono il risultato di un sistema ormai inveterato
negli esponenti estremisti che manovrano le masse a loro piacimento
e che di un futile argomento ne fanno motivo di sciopero”. Accordo
tuttavia ormai firmato, alla presenza del prefetto Villasanta,
dall’ingegner Sirchia per gli industriali, dall’ingegner Cosentino
per la Carbosarda, Giovannetti e Cocco per la Federazione regionale
minatori: un impegno a non smobilitare, a sviluppare le miniere, ad
assorbire i lavoratori licenziati di Sant’antioco e a rivedere il
trasferimento dei componenti il Consiglio di gestione e della
impiegata Maxia Bonaria, licenziata per motivi politici. E poi al
pagamento delle giornate di sciopero, comprese quelle della “non
collaborazione” e degli “scioperi alla rovescia”
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