Gianna Lai
Consueto post domenicale sulle origini di Carbonia. Il primo è stato pubblicato il 1° settembre[1]. Oggi si parla della guerra. -
Se Carbonia è nata per rispondere alle necessità del Paese in
guerra, ora può svolgere pienamente il suo ruolo, già
rafforzate ‘le installazioni militari in Sardegna, 200 mila i
soldati presenti, l’isola dichiarata dal regime ’sentinella
armata’, in prima linea per la sua posizione nel Tirreno’, come
sottolinea Girolamo Sotgiu. Un conflitto solo europeo che,
nel giro di due anni, interessa il mondo intero: spinta dal
successo tedesco, l’Italia entra in guerra il 10 giugno del
1940, aderendo al Patto tripartito, Italia, Germania, Giappone,
contro Inghilterra e Francia. E attaccando quest’ultima, già ormai
del tutto stremata dall’invasione tedesca, per riportare a
casa, fin da subito, i suoi primi 600 morti, essendone
stata immediatamente respinta. Malamente armata, e in ritardo
rispetto allo sviluppo delle grandi potenze coinvolte, la stretta
impressa alle miniere del Sulcis non avrebbe mai potuto, neppure
lontanamente, alleviare i problemi energetici del Paese.
Perché in una guerra globale così altamente
tecnologica, lo scontro in campo aperto e l’attacco già
programmato, e determinante ai fini dell’esito del conflitto,
contro le popolazioni civili nei bombardamenti sulle città,
abbisogna di flotte aeree e marinare e carri armati e
arsenali di guerra. Di un’industria pesante, cioé, la più
grande divoratrice di energia, che solo i paesi ricchi
possiedono con larghezza e disponibilità di mezzi finanziari e di
tecnologia avanzata: il ‘nuovo ordine’ nazista, della supremazia
tedesca in Europa, fondato su guerra, deportazioni e
genocidi, cui il regime di Mussolini fu determinante alleato,
tutto travolgendo, anche le persone e le cose di cui abbiamo
trattato fino a questo momento. Dalla piazza Roma di Carbonia
riecheggiano, attraverso la radio, i toni aggressivi e minacciosi
di Mussolini e le fatidiche parole, ’spezzare le catene di
ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare,
perché un popolo di 45 milioni di anime non può essere
veramente libero se non ha l’accesso all’Oceano’, vedi A. Desideri,
M.Themelly, Storia e storiografia, G. D’Anna, 2000, pag. 751, vol
3^. Una terribile pantomima i cui tragici effetti a Carbonia,
come nel resto del Paese, si sarebbero visti ben presto, quella
propaganda, tuttavia, contribuì nel Sulcis a definire ancora meglio
il carattere precario della miniera e della città, ora
con produzioni più spinte, a richiamare di nuovo nuove
maestranze, gli emissari AcaI continuano nella penisola ad
ingaggiare minatori per tutto il 1940 e oltre, ora con produzioni
rallentate, che provocano licenziamenti di massa e
disoccupazione su tutto il territorio.
A Sant’Antioco i primi allarmi aerei erano iniziati fin dal 6
settembre, in concomitanza ai 18 denunciati a Cagliari dal
prefetto Leone, dopo 3 mesi dall’inizio della guerra: bombe a
Machiareddu e ‘mine, che hanno arrestato il traffico marittimo,
lanciate nel porto del capoluogo’, dove cominciano a venir
meno sapone, olio riso e patate, mentre si annuncia
‘deficientissimo il raccolto del grano’. E ancora, ’scoramento ed
angustia in provincia per effetto dell’annata agraria scadente e
per i danni dell’alluvione’, il prefetto sollecita come
immediatamente ‘necessario l’approvvigionamento da fuori, poiché le
comunicazioni per Cagliari avvengono solo attraverso l’aereo civile
giornaliero’, la linea Civitavecchia-Olbia operativa ’solo in ore e
in giorni non fissati’. Si tratta infatti di una grave emergenza,
essendo ‘i piroscafi fermati direttamente nei porti di partenza’,
né avrebbero, le cinque linee di traffico navale
Sardegna-Continente, più avuto corso regolare fino alla fine della
guerra. Con la stessa informativa il prefetto Leone annuncia
che è stata ‘fermata l’attività costruttiva a Carbonia e ripresa
solo dopo l’ottenimento di 190 tonnellate di carburante’,
mentre si rivela ancora più intensa l’attività aerea nel mese di
novembre, ‘velivoli in sorvolo a Sant’Antioco e
Carbonia, contro i quali è intervenuta la nostra contraerea….: zona
che ritengo particolarmente esposta alle offese nemiche’, proprio
durante la battaglia aereo-navale che imperversa su Teulada e che
provoca due morti nella marina militare italiana. E tuttavia, se
pur drammatica può apparire la situazione a noi poveri lettori
della contemporaneità, ci conforta e ci rassicura, nel carteggio
del prefetto col ministro dell’interno la reiterata chiusa finale
’sempre altissimo si mantiene lo spirito pubblico nei
confronti guerra’, in tutta la provincia di Cagliari.
Nel 1940 la punta massima di 1.295.779 tonnellate di combustibile
prodotte nel Sulcis, ma Carbonia copre solo il 7-8% del fabbisogno
nazionale, mentre si aggrava il problema degli approvvigionamenti,
essendo il traffico marittimo di combustibile della flotta
permanente al servizio dei monopoli carboni, con le sue 130 navi,
spesso dirottato o costretto a soste, se non del tutto
bloccato dagli attacchi inglesi. Ridotta inoltre l’importazione di
carbone tedesco, sopratutto nei mesi invernali, quando
l’impossibilità di navigazione sui fiumi ne imponeva il trasporto
ferroviario, quella destinata all’Italia scese da 12.529.000
a 10.793.000 tonnellate, tra il 1940 e il 1942 . E nel mentre la
guerra avanza, i sovietici vincitori in Finlandia, Estonia,
Lettonia e Lituania, la Germania in Danimarca e Norvegia,
Olanda, Belgio, Lussemburgo e Romania. Mentre l’Italia aggredisce
in ottobre la Grecia, partendo dai confini
dell’Albania, il ’secondo fronte’, per bilanciare la presenza
tedesca nei Balcani: come contro la Francia, altrettanto
improvvida, sconsiderata, ‘gli alpini italiani calzati con scarpe
dalle suole di cartone, privi talvolta di indumenti
invernali’, e particolarmente esposta all’offensiva nemica, sì da
esserne presto respinta e sconfitta. Sommate ai rovesci
militari in Africa, sconfitte che ‘infersero gravi colpi al
prestigio del regime’, solo l’intervento tedesco a porre fine ad
ogni resistenza greca, mentre anche la Iugoslavia cadeva sotto i
colpi del Reich nell’aprile del 1941, quando ‘l’Italia
concorre all’offensiva tedesca contro la Iugoslavia,
partecipando alla spartizione dei territori di quel paese, con
circa 300mila uomini’, come dice Eric Gobetti in ‘Alleati del
nemico’, di recente pubblicazione.
Ormai fortemente contratte, fin dall’ottobre del 1941, le
importazioni di combustibile dalla Germania, rispetto al periodo
precedente, 1.041.000 oltre alle 9.500 della Croazia, l’ACaI, già
militarizzate le maestranze, passa sotto il controllo
del Commissariato, poi Sottosegretariato, generale per le
fabbricazioni di guerra. Nel 1943, infine, al Ministero della
produzione bellica, nato per controllare la
distribuzione delle materie prime nazionali e di
importazione, rame, stagno, nickel e carbone, il cui il
fabbisogno, dell’Italia in guerra, venne allora
‘calcolato in 16 milioni di tonnellate di combustibili
fossili annue, per circa 11,5 milioni coperto, nel ‘41-’42, dalle
importazioni dalla Germania’, dice Rosario Romeo, ‘mentre
l’estrazione di combustibili fossili italiani era salita dai
2,3 milioni di tonnellate nel ‘38, ai 4,9 nel ‘42, ma anche adesso
essi consistevano, per buona parte, di qualità inferiori e, in
potere calorifero, equivalevano dunque a circa 2,5 milioni di
tonnellate di carbone estero, sicché il fabbisogno previsto restò
coperto anche allora solo per 14 milioni di tonnellate’, grazie,
naturalmente, ai combustibili di importazione. Del tutto marginale
il lancio di un ulteriore programma di ricerche per l’Azienda
Carboni e l’ALI, Azienda Ligniti Italiane, impegnata
quest’ultima, dal gennaio del 1940, nella produzione di
ligniti toscane e antracite de La Thuile, così come marginale, la
costruzione di un altro villaggio minerario in Istria e di uno a
Tirana, in Albania .
Più critica ancora, infine, la situazione sugli
approvvigionamenti petroliferi: coperto solo per il 47% dagli olii
combustibili italiani il fabbisogno di 8 milioni e mezzo di
tonnellate annue, si sarebbe giunti, a causa del dimezzamento delle
importazioni nel 1942, alla semiparalisi delle industrie che
ne lavoravano i derivati, lasciando sguarnito un settore
molto importante per la produzione bellica e sul quale il regime
aveva, già da tempo, così tanto investito, come leggiamo ancora su
Rosario Romeo.
E’ l’estremo sforzo produttivo di un Paese impreparato
militarmente, povero di materie prime e separato dal mercato
mondiale, con un debito pubblico che ha raggiunto i 200 miliardi di
lire nel 1940, dice Pietro Grifone, e che resiste solo grazie al
sostegno della sua alleata Germania, alla quale è strettamente
legato, ‘avendo, la politica autarchica italiana, incentivato
l’indirizzo produttivistico tedesco, fino a rendere l’economia
nazionale totalmente subordinata ad esso’, già a partire dal 1935,
come sostengono anche Enzo Santarelli e, di nuovo, Rosario
Romeo.
Per quanto riguarda l’approvvigionamento di Sulcis destinato al
Nord, contro le almeno 100mila tonnellate di naviglio mensili
richieste dall’Azienda, i servizi di trasporto nazionali sono in
grado di metterne a disposizione appena 35.000. Cosicché, se
fin dall’entrata in guerra del Paese, solo 50 mila
tonnellate di combustibile fu possibile imbarcare ogni mese
verso i porti liguri, sempre maggiori quantità di carbone avrebbero
da quel momento cominciato ad ammassarsi presso le
banchine del Porto di Sant’Antioco, pericolosamente esposte
ai ben noti processi di autocombustione, a causa della pressione
stessa dei cumuli. Già interrotto, con l’entrata in guerra,
il completamento degli impianti nei pozzi e in miniera, venuto meno
quindi l’equilibrio tra lavori di preparazione e di
coltivazione, cioè di produzione di combustibile, cominciano a
farsi più gravi le difficoltà di approvvigionamento
dalla Penisola, a causa delle ‘incursioni aeree sul Tirreno’. Manca
il legname per armare le gallerie, tenendo conto, come dice
l’Azienda, che per produrre 150mila tonnellate di
carbone sono necessari 4.500 metri cubi di legno. Inutile
l’acquisizione di interi boschi della Sila, destinati alle miniere
ACaI, durante tutto il corso del ‘41 ne arriverà solo un terzo
della quantità necessaria, ciò che non avrebbe comunque
impedito un ulteriore avanzamento della produzione di Sulcis,
sempre a ritmi più sostenuti, come si legge nelle Relazioni
dell’Azienda al duce. Sospese le ricerche sul territorio nazionale
e abbandonato l’impianto sperimentale di lavorazione del carbone
Sulcis a Sant’Antioco fin dal 1941, in seguito al mal funzionamento
delle sue parti meccaniche, per una produzione registrata nel
novembre dello stesso anno fino a 2.500 tonnellate di carbone
cotto, 300 di catrami,15 di benzina, sempre più precarie divengono
le condizioni dell’Azienda che, se al 30 giugno 1940
registrava utili per 11.679.000 di lire, a garanzia di un dividendo
pari al 4%, nel ‘41 avrebbe dichiarato, poco dopo, un deficit
di 34 milioni di lire ed aggravi del 57,13%, a causa
dell’aumento del costo di produzione, come denunciano le Relazioni
dei presidenti ACaI, nei primi anni di guerra, al duce e al
ministero delle corporazioni
References
- ^ 1° settembre (www.democraziaoggi.it)
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